La scuola immaginata da don Milani voleva uguaglianza e democrazia ma, a conti fatti, dopo 50 anni produce analfabeti funzionali. Una controlettera dalla scuola, una risposta critica “dalla professoressa” ai ragazzi di Barbiana.

– Scuola, università e ricerca;
– Istruzione e competenze (dati OCSE…);
– Cinema, teatro, spettacolo;
– Musei, beni culturali.
La scuola immaginata da don Milani voleva uguaglianza e democrazia ma, a conti fatti, dopo 50 anni produce analfabeti funzionali. Una controlettera dalla scuola, una risposta critica “dalla professoressa” ai ragazzi di Barbiana.
Una ricerca internazionale ci colloca ai primi posti come “percezione della realtà”. Però la percezione non è la conoscenza, e la ricerca mostra i suoi limiti.
Breve analisi sociologica di X Factor. Il talent come metafora della vita 2.0 e la sfida come affermazione di sé nel mondo dell’immagine.
Leggere è fondamentale ma in Italia non si fa. Per i pochi che amano leggere, quali sono i migliori classici di sempre?
Dilaga la protesta contro i compiti a casa. E contro le mense scolastiche. Ma chi ha ragione? I pedagogisti sono divisi, e i genitori sempre più arrembanti a difesa dei figli. Ma se stessero gravemente sbagliando?
Ogni anno, i test di accesso all’università danno luogo a polemiche e ricorsi. I test sono davvero utili?
Assieme alla primavera, nelle nostre scuole tornano le prove Invalsi, accompagnate dalle consuete, feroci polemiche e, ancora una volta, da una “chiamata alle armi” dei sindacati di base e di alcune associazioni di studenti che invitano al boicottaggio di questa “schedatura dei bambini, dei docenti e delle scuole”, affidata, come recita un volantino dei Cobas, a “demenziali e umilianti indovinelli”. Ma come stanno davvero le cose?
Penose ragioni di spazio che mi costringono a cedere ampi settori della mia biblioteca mi hanno fatto imbattere, fra l’altro, nelle enciclopedie in mio possesso. Sono quattro:
Ci sono alcuni temi che noi di Hic Rhodus seguiamo con una certa costanza, perché riteniamo che siano determinanti per il presente e il futuro del nostro paese. Uno di questi è il deficit che l’Italia accusa in termini di cultura e di conoscenza, e a quello che si può fare per contrastarlo a partire dalla scuola, fino all’Università, ai luoghi di lavoro, alla ricerca scientifica.
Non potevamo quindi non commentare un’ennesima notizia che evidenzia questo deficit, e cioè il fatto che negli ultimi anni il numero degli studenti che si immatricolano all’Università in Italia sta diminuendo. Ne parla con efficacia, sul Corriere, Ernesto Galli della Loggia, ma non è forse superfluo aggiungere qualche nostra considerazione.
L’istruzione dei figli che provengono dal mondo dell’immigrazione è un tema scottante: una parte dell’opinione pubblica, una frazione degli insegnanti, molte autorità scolastiche, molti responsabili politici ritengono che gli immigrati (o, meglio, i loro figli ) siano responsabili del degrado del rendimento scolastico, dei problemi disciplinari che si accumulano nelle scuole e della pessima classifica del sistema scolastico ottenuta dal loro paese (o regione) nell’indagine internazionale PISA (qui i risultati provvisori dell’indagine più recente). In molte scuole non c’è traccia di studenti immigrati, ma questo fatto purtroppo è ignorato.
Nelle ultime settimane, abbiamo assistito al culmine (almeno finora…) delle polemiche prodotte dalle nuove norme introdotte dal programma governativo battezzato un po’ ottimisticamente La Buona Scuola. Gli insegnanti precari sono vivacemente insorti contro i criteri per le nuove assunzioni e soprattutto per l’assegnazione delle destinazioni che potrebbero costringere molti di loro a spostarsi in regioni diverse, con le ovvie difficoltà logistiche ed economiche. I toni del dibattito sono diventati molto accesi, con gli insegnanti e i loro sindacati che hanno evocato scenari di “deportazione”, mentre altre voci hanno invitato gli insegnanti stessi a smetterla di lamentarsi “di non poter lavorare a qualche minuto di macchina da casa”. Noi di Hic Rhodus abbiamo deciso di sfidare il calor bianco di questo argomento e di proporre un nostro punto di vista, cercando di rappresentare la situazione in modo non di parte.
Nei giorni scorsi, su Internet si è scatenata una vivacissima polemica generata da un articolo di Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano (seguito poi da un secondo altrettanto controverso), eloquentemente intitolato “Il conto salato degli studi umanistici”. L’autore, in sostanza, sostiene che iscriversi a un corso di laurea umanistico è sostanzialmente un lusso, visto che poi si trova difficilmente lavoro, e se lo si trova è sottopagato, e invita i giovani che non siano ricchi di famiglia a dedicarsi piuttosto a studi ingegneristici o scientifici. Naturalmente, le reazioni contrarie sono state accese, ma la cosa che mi ha spinto a scrivere questo post è che secondo me sia Feltri che i suoi critici sbagliano completamente obiettivo. Vediamo perché.
Le classifiche prestano spesso il fianco a numerose critiche, non ultime quelle sulla qualità della vita di cui ha già parlato Hic Rodus in un post a cui ispiro scherzosamente il titolo. Le classifiche delle Università non fanno eccezione (oramai sono un fenomeno del dibattito nazionale e locale). Le critiche sono facili perché è difficile sintetizzare fenomeni complessi con pochi, e talora discutibili, indicatori.
In Italia ci sono scarsi investimenti nella ricerca, sia pubblici che privati. Ce lo dicono molte classifiche internazionali. Alla ricerca va l’1,27% del PIL (OECD Science, Technology and Industry Outlook 2014) contro il 3% previsto dall’Agenda di Lisbona. Ne ha parlato anche Ottonieri su Hic Rhodus evidenziando come questo costituisca un problema enorme per la produttività del nostro sistema economico e quindi per la ricchezza del nostro paese.
A me pare che la protesta degli insegnanti, assieme a molte giuste ragioni vorrei dire “d’ufficio” (nel senso che ognuno è ben titolato a comprendere il proprio stato e legittimato a protestare per quel che gli pare), ne abbia altre di spiccato corporativismo meno accettabili. E anzi questo corporativismo è banalmente analogo ai mille e mille corporativismi, particolarismi, sclerosi sindacali che bloccano da sempre l’Italia, non mostrando particolare specificità intellettuale, per capirsi, non distinguendosi per dialettica argomentativa o per liberalità pedagogica o per una qualsiasi proprietà distintiva rispetto alle proteste dei tassisti, dei netturbini, dei medici, degli statali, dei commercianti, dei notai, dei farmacisti, di qualsivoglia categoria alla quale un qualunque governo abbia tentato di mettere mano nei decenni. Tolte le molteplici buone ragioni degli insegnanti, che vanno ascoltati anche come portatori di competenze, oltre che di meri interessi, a me pare che raschiando un pochino la scorza corporativa faccia premio.