Lettera a Don Milani da una professoressa

Caro Don Lorenzo Milani,

a 50 anni dalla sua lettera le risponde una professoressa (no, non è colpa della lentezza delle Poste Italiane, è questo articolo apparso recentemente sul Sole24ore che ha innescato una polemica e mi ha spinto a scriverle). La professoressa delle medie a cui lei si rivolgeva oggi le scrive da una scuola completamente cambiata rispetto al 1967, anche grazie alle sue idee.

O piuttosto dovrei dire a causa delle sue idee?

Quella che lei auspicava, attraverso le parole dei ragazzi di Barbiana, era una scuola che fosse inclusiva, democratica, che aiutasse i figli dei contadini e degli operai a riscattarsi dalla propria condizione di svantaggio culturale e che allo stesso tempo facesse scendere i professori, tutti appartenenti alla borghesia colta, dalle proprie posizioni di privilegio al ruolo di servitori del popolo. Ma c’era anche dell’altro nella lettera, idee sconosciute ai molti che ne parlano con convinzione senza averla mai letta; è un’abitudine molto diffusa oggigiorno, caro Don Milani, oggi che l’analfabetismo è stato praticamente sconfitto siamo tutti esperti e ci sentiamo autorizzati ad esprimere pareri autorevoli su qualsiasi argomento. Basta fare una rapida ricerca in rete e leggere la prima voce, quasi sempre tratta da Wikipedia (un’enciclopedia libera che farebbe la gioia dei suoi alunni), per avere voce in capitolo.

Chi le scrive è un raro esempio di professoressa che quella lettera invece l’ha letta, dato che svolgere un esame approfondito sul caso in questione io lo considero ancora un requisito imprescindibile per argomentare.

Io e i miei colleghi siamo cresciuti tutti in questa nuova scuola, sortita dalla rivoluzione sessantottina, quasi mezzo secolo fa. E tuttavia i nostri insegnanti erano quelli ai quali lei e i suoi alunni vi eravate rivolti chiedendo di eliminare certe materie, cambiare i programmi, abolire la bocciatura: in pratica ripensare tutto il sistema scolastico in cui i professori erano i depositari del sapere che, a suo avviso, custodivano gelosamente per trasmetterlo unicamente a chi ne era degno per nascita. Non certo ai figli dei contadini, Gianni e Sandro, bensì al figlio del dottore: Pierino.

don-milaniRicordiamo un’infanzia in cui in classi da 30 alunni c’erano compagni bocciati alle scuole elementari, si imparavano le poesie a memoria, quelle dei poeti classici, si faceva ancora latino alle medie, e la matematica era una cosa seria. Si leggevano i libri, si studiava storia, geografia, epica, scienze, una lingua straniera, si ascoltava e studiava la musica classica, e chi non si impegnava restava indietro, ma arrivava comunque ad assolvere l’obbligo scolastico, a volte alle scuole serali. I nostri insegnanti erano severi ed autorevoli, ci dicevano che “La scuola è maestra di vita” e sapevamo che era vero: la vita non regala niente a nessuno. Poi progressivamente le cose sono cambiate e alle superiori è arrivato il sei politico, le manifestazioni di protesta, le assemblee di classe, i tatzebao. All’università ci si è potuti laureare in lettere senza aver studiato latino alle scuole superiori.

Noi professori facciamo quotidianamente il confronto tra il ruolo che avevano quegli insegnanti e il nostro ruolo, tra il loro riconoscimento sociale ed il nostro. Forse il feroce attacco da lei condotto a quella professoressa, rappresentante di una borghesia privilegiata che cercava di perpetuare i privilegi della classe cui apparteneva, ha ottenuto il suo scopo. I professori italiani sono i peggio pagati e i meno considerati in Europa, il loro ruolo è costantemente messo in discussione, i metodi di insegnamento criticati da genitori ed esperti, la loro preparazione lacunosa è derisa impietosamente.

E le devo confessare una cosa, caro Don Milani: credo che chi critica i docenti della scuola pubblica italiana abbia proprio ragione. Ma non per i motivi che sosteneva lei, no, anzi: gli insegnanti di oggi sono proprio il frutto della scuola che anche lei ha contribuito a cambiare. Diciamolo: molti sono ignoranti e demotivati, esattamente come gli alunni a cui insegnano.

Rileggo le sue parole:

La laurea non è necessaria per insegnare matematica alle medie, il latino va abolito, la matematica “per insegnarla alle elementari basta saper quella delle elementari. Chi ha fatto terza media ne ha tre anni di troppo. Nel programma delle magistrali si può dunque abolire”.

E i risultati di ciò sono sotto gli occhi di tutti.

06aQuando io e i miei colleghi iniziamo con una classe prima, alla scuola media, che oggi si chiama secondaria di primo grado, ci rendiamo conto ogni anno con sempre maggiore stupore e rabbia, di avere a che fare con piccoli semianalfabeti, usciti così dalle elementari. Ma lo stesso problema ce l’hanno pure i nostri colleghi delle superiori, scuola secondaria di secondo grado (perché amiamo chiamare le cose con nomi altisonanti, per sottolineare che si tratta di qualcosa di diverso e più nobile).

Leggere, scrivere e far di conto sono divenute ‘competenze’ accessorie piuttosto che fondamenti dell’istruzione. Credo non sia onesto scaricare la colpa sulle famiglie, la televisione, le connessioni Internet, gli smartphone, i computer, e altre nuove e tecnologiche agenzie educative molto più influenti, nella formazione di bambini e ragazzi, rispetto alla scuola.

La colpa è anche degli insegnanti, dei dirigenti, e pure dei ministri che si sono avvicendati nella prima e seconda repubblica e che hanno cercato in ogni modo di riformare la scuola; guidati da un falso principio egualitario e democratico hanno voluto che la scuola inclusiva, per scongiurare il rischio abbandono e la segregazione dei meno ‘dotati’ intellettualmente ed economicamente, si adattasse al livello di quelli che sono più indietro. Che aspettasse gli ultimi, che chiudesse un occhio sulle difficoltà perché “poverini, accontentiamoci degli obiettivi minimi, di ciò che riescono a fare” e per carità, niente voti sotto il 4 e soprattutto niente bocciature! Un trauma che sarebbe ingiusto con i più sfortunati.

Proprio come chiedeva lei, Don Milani. Ma chi l’ha detto che anche i meno portati per lo studio, con gli strumenti didattici adeguati, non possano riuscire a raggiungere livelli almeno accettabili in termini di competenze e conoscenze di base?

don-milani-a-barbiana-fonte-la-gazzetta-di-luccaPurtroppo gli obiettivi minimi sono diventati per tutti il livello massimo cui ogni alunno della scuola dell’obbligo, anche il più dotato, può aspirare. Perché spesso la scuola non è in grado di offrire di più dovendo sopperire alle carenze formative troppo vaste della maggioranza degli alunni.

E badi bene che quando parlo di più dotati non mi riferisco ai Pierino, che per lei rappresentava il figlio privilegiato della professoressa e del suo consorte giudice. Parlo di figli del popolo, che grazie alla riforma post ’68 sono potuti arrivare fino alla laurea.

Solo che purtroppo quella laurea oggi vale poco o nulla, se non ci si può permettere una scuola d’eccellenza privata o la frequenza a una prestigiosa università, spesso straniera. E si finisce poi per lavorare in un call center o lavare piatti in un ristorante di Londra “perché così imparo anche l’inglese”. Proprio come Gianni e i suoi compagni, che durante l’estate, a 14 o 15 anni, andavano all’estero a lavorare, perché bocciati dalla professoressa destinataria della sua lettera.

Chi non ha saputo insegnare loro l’inglese adeguatamente? Una figlia del popolo, come loro, la quale ha preso una laurea in lingue nell’era post ’68, quella del 18 politico e dell’istruzione accessibile a tutti a scapito della qualità dei contenuti. La scuola che ha cominciato a promuovere alunni con livelli sempre più bassi di preparazione, a cui anche l’università si è dovuta adeguare. I corsi di ‘Italiano zero’ non sono una novità degli ultimi tempi, pensata per venire incontro agli studenti stranieri: all’Università Ca’ Foscari di Venezia sono stati istituiti negli anni ’90 per consentire ai laureandi di scriversi la tesi da soli in una lingua italiana accettabile.

scuola-protesteLei chiedeva giustamente che si insegnasse l’arte dello scrivere, materia sconosciuta nelle scuole del suo tempo. E tuttavia proponeva di abolire le lingue classiche ‘nate morte’ e lo studio della letteratura, da sostituire con la lettura dei quotidiani e lo studio del Vangelo. Sì, proprio del Vangelo, è una sua proposta, caro Don Milani.

Ciò che ne è sortito è stata una scuola fantasiosa ed approssimativa, che ha visto fiorire bellissimi progetti artistici e creativi, pseudoletterari e multiculturali, ma si è dimenticata le basi: il metodo, quello che si impara proprio studiando le lingue classiche e facendo matematica come si deve.

La collega insegnante d’inglese di cui dicevo, e come lei molte altre, si è ritrovata con un registro in mano per la sua prima supplenza, senza nessuna formazione pedagogica (perché la pedagogia secondo lei andava levata: “ma non son sicuro”, sono le sue parole) e senza alcuna motivazione all’insegnamento. Spesso per ripiego.

Quanti tra noi insegnanti svolgono questa professione perché non hanno trovato nulla di meglio? Certamente essere un insegnante oggi in Italia non è la massima aspirazione per un laureato, ma in mancanza d’altro si può entrare in un comparto in cui non c’è praticamente selezione in entrata, con un comodo orario che consente anche di farne un altro, di lavoro; ma non le ripetizioni contro le quali lei si scagliava, e giustamente (per dare ripetizioni efficaci bisogna essere preparati, altrimenti i risultati non vengono). E nessun controllo sul proprio operato in nome della libertà d’insegnamento. Certo, si resta precari a vita, ma non è forse così un po’ dappertutto?

115740229-8ae70cae-6a1a-4bbd-9edd-b0561733fefaEra una professione prestigiosa prima che si iniziasse, come ha fatto lei con la sua lettera, ad alimentare il risentimento nei confronti di una categoria di lavoratori considerati privilegiati dai più: lei paragonava l’orario di lavoro di un professore con quello di un operaio o di un contadino; è un paragone metodologicamente inaccettabile, ed improponibile in una società democratica in cui il libero accesso all’istruzione a tutti i livelli è sancito dalla costituzione. La sua lettera del resto è zeppa di attacchi immotivati ad insegnanti della scuola pubblica a cui lei contrappone la scuola privata di Barbiana, popolare sì, ma di impronta cattolica più che laica: lei arriva a suggerire addirittura il celibato per coloro che volessero dedicarsi all’insegnamento in modo efficace.

Il risultato invece è stato un progressivo deterioramento del patrimonio di conoscenze del docente medio italiano, uscito dalla scuola riformata senza alcuna selezione, in un mondo che ha dato sempre meno valore alla conoscenza, alla cultura, al piacere della scoperta (se n’è appropriato un programma televisivo disertato proprio dal pubblico per il quale era stato pensato). E per i professori e maestri l’aggiornamento serve solo ad alimentare il business milionario degli inutili e costosissimi corsi che danno il punteggio necessario per arrivare all’agognato posto fisso, il ‘ruolo’.

scuolaLe statistiche di cui la sua lettera è ben fornita (schemi e diagrammi utili ad inquadrare lo stato della scuola nel secondo dopoguerra) oggi si preoccupano principalmente di aumentare la percentuale di diplomati e laureati sulla popolazione italiana (la più bassa in Europa) senza curarsi della corrispondenza dei titoli di studio alle reali conoscenze e competenze acquisite. Nessuno controlla ciò che si insegna, come lo si insegna, e soprattutto quanto efficace sia il metodo d’insegnamento. Chi ha cercato di farlo è stato duramente contestato e prontamente defenestrato (il ministro Berlinguer, ad esempio).

Tuttavia i dati internazionali sul livello dei nostri studenti (P.I.S.A.), confrontati con gli altri paesi dell’OCSE, parlano chiaro: i quindicenni italiani sono agli ultimi posti nella comprensione del testo, in scienze e matematica.

Caro Don Milani, la scuola che lei e i ragazzi di Barbiana desideravate era frutto dell’astio e dell’odio di classe covato per generazioni, ma non ha portato i risultati sperati, il riscatto dei figli delle classi subalterne e la loro affermazione nella società. La mobilità sociale che la scuola dell’Italia post unitaria poteva garantire, ed ha garantito a molte persone con talento e scarsi mezzi, ma con un impegno personale adeguato, oggi non è più garantita dal sistema di istruzione italiano.

La scuola pubblica sforna analfabeti funzionali, gli abbandoni sono ancora in numero considerevole.

E Pierino? Che fine hanno fatto i bambini e i ragazzi con capacità superiori alla media? Chi si occupa di loro organizzando attività di potenziamento, quando non ci sono nemmeno più i denari per i corsi di recupero destinati agli alunni in difficoltà?

itagliano_foto-jpg_296222360Se non si valorizzano le eccellenze, come era nelle intenzioni delle ultime riforme, ma in pratica non è stato fatto per mancanza cronica di fondi, nulla potrà cambiare. Pierino oggi dovrebbe iscriversi ad una scuola privata (lo Stato fornisce i contributi alle famiglie che fanno questa scelta, pur non avendo un reddito adeguato), ma nella maggior parte delle scuole private, soprattutto in provincia, vale l’assioma: pago quindi vengo promosso. La qualità dell’insegnamento è discutibile, i professori ricevono il minimo sindacale e spesso non sono nemmeno abilitati all’insegnamento. Solo in alcune grandi città esistono scuole private di eccellenza, il resto è un parcheggio per i figli della borghesia svogliati e viziati, ma che a tutti i costi devono portare a casa un ‘pezzo di carta’.

I figli dei dottori, dei giudici e delle professoresse che lei odiava tanto, ma alla classe dei quali apparteneva pure lei, caro Don Lorenzo, avrebbero oggi davanti a sé il futuro radioso che lei deprecava perché riservato esclusivamente ai privilegiati? Certamente no, dato che la scuola cui lei ambiva è praticamente una realtà ed ha inesorabilmente livellato verso il basso la preparazione dei propri alunni.

Pierino è ora al livello di Gianni e Sandro, e tutti assieme veleggiano tristemente verso un futuro incerto. Un futuro in cui non hanno nemmeno più il conforto dell’amore per la cultura, per la lettura e la conoscenza scientifica, quella che porta all’educazione che dura tutta la vita (long life learning) anche se si svolge un mestiere non intellettuale.

italiano-500x330La situazione è estremamente complessa: lei, Don Milani, proponeva soluzioni ed io non posso esimermi dal farlo, ma non entrerò nello specifico; la sua lettera era lunga 166 pagine, mi riservo di fare delle proposte puntuali in un altro scritto. Proposte che, come lei sostiene sia corretto, vengono da chi nella scuola ci lavora tutti i giorni.

Tuttavia ad un principio fondante credo sia giusto ispirarsi: smettere di utilizzare la scuola come ammortizzatore sociale (per gli insegnanti) e parcheggio baby sitter gratuito (per gli alunni).

Partiamo dalla missione che, pur se all’apparenza banale, storicamente e culturalmente è imprescindibile dall’istituzione stessa: una scuola che insegni e trasmetta conoscenza a discenti che apprendano.

Articolo scritto per Hic Rhodus da Michela Piovesan

Domatrice di bonobo alle scuole medie, insegno anche italiano, storia e geografia. In 
precedenza consulente aziendale e segretaria factotum per fisici e ingegneri. Diplomata in lingue, in erboristeria, laureata a Ca' Foscari in lettere (studi storici), veneziana doc 
(specie in via di estinzione), occasionalmente guida turistica per gli amici (gratis). 
Velista per passione, vogo alla veneta in laguna.