Viva l’Ucraina, senza se e senza ma. Del suo ingresso nell’Unione Europea, però, ne parleremo più in là.

Viva l’Ucraina, senza se e senza ma. Del suo ingresso nell’Unione Europea, però, ne parleremo più in là.
Se Putin si fosse mangiato l’Ucraina in un paio di giorni, come contava di fare, con l’esercito ucraino in rotta e Zelensky in fuga, adesso gli europei sarebbero tanto costernati e starebbero ancora a pensare se e come infliggere qualche tiepida sanzione al dittatore russo. Ma Zelensky è restato lì, e gli ucraini non mollano un metro di terreno senza sparare e soffrire e morire. Stupita, l’Europa assiste a questa resistenza e comincia, lentamente (quanto lentamente!) a fare un po’ più sul serio, come le piazze russe che si vanno riempiendo di cittadini che protestano. Se l’Ucraina resiste qualche altro giorno, Putin potrebbe vedere negli occhi la sua fine.
Il documento sul linguaggio “inclusivo” ritirato dalla Commissione Europea merita di essere letto con preoccupazione.
Cosa fare coi “dittatori”? Fin dove si può spingere la realpolitik? Una questione spinosa che non possiamo risolvere con appelli ideologici.
All’ultimo minuto c’è stato l’accordo fra UK ed Europa per evitare un disastroso “no deal”. Johnson esulta, ma in realtà ha raccolto poco.
Fra una settimana la Gran Bretagna sarà un paese extracomunitario, con gravissime conseguenze economiche e sociali soprattutto per lei. Un esempio inquietante dell’uso spregiudicato della politica.
L’UK sta giocando col fuoco avviandosi verso una Brexit “no-deal”. Come ne usciranno? E perché questo esito è inevitabile?
L’Italia ha giustamente ottenuto finanziamenti europei per la ripresa. Ora però il difficile è non buttarli via.
Conte esce vittorioso dal vertice europeo sul Recovery Fund. Ma anche Rutte e i “frugali”. Ne esce ammaccata l’idea di Europa ma, specialmente, ora dobbiamo dimostrare di esserci meritati quei soldi.
L’Europa si è assunta le sue responsabilità per la gestione della crisi creata dal Coronavirus, ora tocca all’Italia usare bene le risorse che saranno erogate dall’Europa.
Tedeschi? Cattivi! Olandesi? Pessimi! Italiani? Inaffidabili! Se continuiamo così non andremo da nessuna parte e ripeteremo, crisi dopo crisi, gli stessi ruoli prevedibili, come in un film scadente.
Le misure concordate e da concordare per risollevare l’Europa non sono poca cosa, nonostante la propaganda negativa.
L’avversione al Mes appare sorprendente per un paese come l’Italia, che non ha mai fatto ricorso al Meccanismo. Al contrario, i paesi che hanno ricevuto prestiti dal Mes, come la Spagna, il Portogallo, la Grecia, l’Irlanda e Cipro, sono a favore della riforma del Mes discussa nel corso del 2018-19 (tuttora sospesa per il veto dell’Italia) e dell’istituzione di una nuova linea di credito sanitaria, che verrà discussa in occasione del Consiglio europeo del 23 Aprile. A meno di ritenere che questi paesi siano affetti da una sorta di sindrome di Stoccolma, che li rende psicologicamente dipendenti dai loro creditori, è il caso di capire meglio come mai chi ha avuto l’esperienza concreta del Mes non condivide la posizione negativa dell’Italia. (Lorenzo Bini Smaghi, Il Foglio del 22 apr 2020)
La splendida terra pro-mes, emersa nel dibattito di queste ore è lì a indicare che Conte o non Conte il futuro dell’Italia non può prescindere dall’Europa. E qualora il governo non dovesse tenere, qualora l’economia dovesse ancora di più sprofondare, qualora la gestione della riapertura dovesse essere più drammatica del previsto non c’è geometria futura che possa prescindere da un concetto semplice: un paese molto inguaiato, molto indebitato, molto debilitato, molto sfiduciato per non finire ancora di più nei guai e per tentare di ritrovare nuova fiducia avrà bisogno sempre più di farsi guidare dall’Europa. E lo spettacolo della terra pro-mes ci aiuterà a capire presto se i protagonisti dello show saranno o no gli stessi di oggi oppure no. (Claudio Cerasa, Il Foglio, 16 apr 2020).
Dovremmo fare un ragionamento razionale: l'UE ci sta dando un aiuto fondamentale con l’acquisto di titoli del debito pubblico, che ci consente di pagare le pensioni, i medici e fare i nostri piani per rimettere a posto l’economia. Ma allo stesso tempo non sta facendo un pezzo del lavoro necessario, cioè un grande piano di rilancio gestito dalla Commissione Europea finanziato dagli eurobond. (Carlo Calenda)