Il bello della politica italiana, e non solo della politica, è che anche l’argomento più dibattuto, più importante, più decisivo per la vita di tutti i cittadini può sparire dal radar ed essere sostituito nell’attenzione di tutti da questioni francamente irrilevanti come lo stipendio del presidente dell’INPS (che sarebbe la metà di quello che avrebbe meritato Boeri e dieci volte quello che meriterebbe Tridico) o la “lotteria degli scontrini”.
Ricordate il Recovery Fund? La lunga trattativa che ha condotto a stabilire che l’Italia riceverà dall’UE (e quindi anche dall’Italia stessa) 63,7 miliardi in sussidi (ossia soldi “regalati”) e 127,6 miliardi di prestiti (ossia soldi da restituire)? Ebbene, noi di Hic Rhodus abbiamo scritto chiaramente che era giusto che l’Europa decidesse una misura di solidarietà reale come questa; con la stessa chiarezza, ribadiamo che sperperare questi soldi secondo il classico stile della spesa pubblica italiana sarebbe un crimine storico:
- contro l’Europa, intesa sia come paesi partner che devono cofinanziare questo fondo che come istituzione, perché un uso improprio di questi soldi peserebbe ulteriormente sulle prospettive dell’Europa unita;
- contro i giovani e le future generazioni, che si ritroverebbero un’ulteriore valanga di debiti sul groppone, come se non bastassero quelli che abbiamo già addossato loro.
Come ha detto giustamente Mario Draghi, esiste un debito buono e un debito cattivo. Se usiamo i soldi del Recovery Fund per creare debito cattivo, non solo avremo perso un’occasione storica, non solo non riusciremo a limitare i danni della crisi, ma avremo anche sulle spalle un ulteriore debito, pari a oltre il 7% del PIL annuo. E cos’è il debito cattivo? Per un paese come il nostro, soffocato dalla spesa per interessi e sempre minacciato da un declassamento del rating di credito, c’è un solo tipo di debito che non sia cattivo, ossia quello che si contrae per investimenti che moltiplichino la capacità produttiva del paese. Nelle parole dello stesso Draghi, investimenti «nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca». Ogni forma di spesa che non abbia questa capacità moltiplicativa è spesa cattiva e va tassativamente evitata. Punto e basta.
Quindi, esiste un solo modo buono di spendere i soldi del Recovery Fund, ed è investirli in grandi iniziative ad alto moltiplicatore. E, per quelle che sono le condizioni del nostro paese, stiamo pur tranquilli che ce n’è d’avanzo per impiegare tutti i fondi che l’Europa ci mette a disposizione. Il governo dovrebbe individuare non più di cinque grandi programmi destinati a cambiare la faccia del paese, e non è difficile identificare quali possano essere: la digitalizzazione totale della Pubblica Amministrazione, la creazione di alcuni poli di ricerca tecnologica di eccellenza (o il potenziamento di quelli realmente di valore esistenti), la creazione di una rete a larghissima banda che copra tutto il paese, il potenziamento delle infrastrutture (in particolare strade e ferrovie) del Sud. In aggiunta a questo, si dovrebbe prevedere un rafforzamento (oculato) delle strutture sanitarie, attingendo all’apposito fondo costituito all’interno del MES. Fine.
Forse non ci sono altri scopi meritevoli su cui dovremmo spendere soldi? Certo che ce ne sono, ma non questi soldi. Per tutto il resto i soldi devono venire dalle normali entrate fiscali, contando che l’economia si riprenda appunto grazie ai programmi di investimento di cui parlavo. Questi programmi devono ovviamente essere progettati in modo unitario, da una cabina di regia che ne fissi gli obiettivi, i tempi, le modalità di verifica dei risultati.
D’accordo, ma cosa sta facendo il governo? Potremmo dire che sta facendo esattamente il contrario. Ha faticosamente elaborato un documento intitolato Linee guida per la definizione del Piano Nazionale di ripresa e resilienza, il cui tasso di fuffologia è evidente già dal titolo. All’interno del documento, si parte dall’individuazione di cluster di intervento (sette in tutto, non troppo dissimili dall’elenco che ho fatto qui sopra), per poi però frammentarli in cinquantuno (sì, 51) sottoobiettivi, a cui poi dovrebbero ricondursi i progetti da approvare. Già, perché, diciamolo chiaramente, queste Linee guida in realtà servono solo a offrire dei “punti di aggancio”; i progetti da finanziare non sono stati definiti da una regia unitaria, ma il Governo ha chiesto proposte ai singoli ministeri, che hanno prodotto un elenco di 557 progetti (che Corriere della Sera ha pubblicato in anteprima, provocando l’indignata reazione del ministro per le Politiche Europee Vincenzo Amendola). In questi progetti c’è letteralmente di tutto: quelli palesemente già pronti e tirati fuori dal cassetto nella speranza di riuscire finalmente a finanziarli (facile riconoscerli dalla precisissima indicazione di quanto costerebbero, tipo 2.250.637.840 Euro), quelli che con la crisi che stiamo attraversando non c’entrano una mazza (come gli interventi di riqualificazione antisismica del patrimonio immobiliare penitenziario), quelli che puntano palesemente a creare un “serbatoio” di soldi da distribuire non si sa secondo quali criteri (la proroga del piano per l’Industria 4.0, per il quale si ipotizza la spesa della bellezza di 60 miliardi di Euro), quelli surreali (l’implementazione di un modello di intelligenza artificiale per prevedere l’esito delle cause dell’Avvocatura dello Stato), e così via, con sovrapposizioni, duplicazioni, contraddizioni, un pasticcio indecente.
Il ministro Amendola ha sottolineato che «i file pubblicati sono risalenti a uno stadio iniziale dei lavori con ipotesi e proposte già ampiamente superate. La presentazione ufficiale del progetto avverrà a gennaio 2021 e sarà a cura della Presidenza del Consiglio dei ministri», ma il problema non è quello di selezionare in quel marasma di “progetti” quelli davvero “buoni”. Il problema è che questo metodo assurdo che raccoglie proposte “dal basso” ha l’unico esito possibile di polverizzare i fondi disponibili in centinaia di progettini che non rispondono ad alcuna visione unitaria, non contribuiscono in modo misurabile a indicatori di risultato stabiliti in partenza, non consentono alcun coordinamento effettivo. Basta che sia possibile appiccicare loro una delle etichette “approvate” dalle Linee Guida per candidarli ad attingere ai finanziamenti, e poi chi se ne frega del PIL o della produttività (è sintomatico l’elevatissimo numero di progetti che riguardano sostanzialmente interventi di edilizia pubblica e non solo. Non vorremo certo rifiutarci di spendere 66 milioni di Euro per il «Restauro e valorizzazione del patrimonio artistico e architettonico del patrimonio vincolato del Fondo Edifici del Culto»?).
Dato che il ministro dice che il progetto sarà presentato a gennaio 2021, lo prendo in parola e, nel mio piccolissimo, gli dico chiaramente che questa roba va presa e buttata tutta nella carta straccia. La spesa a pioggia secondo la logica “troviamo un titolo buono per farci dare i soldi, poi vediamo” è la via sicura per condurre il paese alla catastrofe, né più né meno. Ripeto: cinque grandi programmi, gestiti in modo rigorosamente centralizzato, con tempi e obiettivi misurabili, e finalizzati a investimenti sulle infrastrutture fisiche, digitali e della ricerca a beneficio della produzione, punto e basta. Tutto il resto, per meritevole che sia, va gettato senza rimpianti nel cestino (salvo quello che riguarda la Sanità che però non va finanziato col Recovery Fund). Se questo governo, come credo, non è neanche intellettualmente, oltre che politicamente, in grado di fare quello che va fatto, sono disposto a fare una colletta per un governo tecnico affidato a Draghi, che è incidentalmente anche l’unico italiano che ha la credibilità in Europa per poter presentare un piano che non butti via i soldi nostri e dei nostri partner.