Mentre tutti seguiamo le nostre, dolorose, vicende sanitarie e attendiamo, speriamo a breve, l’inizio delle campagne vaccinali contro il Covid, sta per arrivare alla sua ingloriosa conclusione l’estenuante trattativa tra UE e UK per un accordo commerciale che potesse evitare la cosiddetta “Hard Brexit” che aleggia ormai da tempo sui tavoli negoziali tra il governo di Boris Johnson da una parte e il team del capo negoziatore UE, il francese Michel Barnier, dall’altra. Si tratta certamente di una cattiva notizia per tutti i cittadini dell’Unione, vista l’importanza che il Regno Unito ha come nostro partner commerciale (ma non solo), ma si tratta di una notizia che considero disastrosa per il Regno Unito stesso, nonostante l’ottimismo che Johnson continua a esprimere per la meravigliosa occasione che si presenta al suo paese.
Naturalmente, per quanto l’Unione Europea abbia da perdere, i suoi cittadini possono soltanto constatare che quello che sta accadendo è sostanzialmente determinato dalle scelte dell’UK, e in questa fase dal suo Premier, un uomo notoriamente spregiudicato e, nonostante la sua formazione classica, ben poco osservante del motto latino pacta sunt servanda. Insomma, noi non possiamo che prendere atto dell’indisponibilità britannica ad accettare qualsiasi accordo che, e gli accordi non possono che essere così, comporti vincoli e lacciuoli normativi. Ben altro, a mio parere, è o dovrebbe essere lo stato d’animo dei cittadini del Regno, che dovranno subire conseguenze importanti (e che hanno già subito conseguenze non insignificanti). Si annuncia un importante calo del valore della Sterlina, ma dobbiamo ricordare che da quando si è tenuto il referendum sulla Brexit la valuta britannica ha già perso molto del suo valore rispetto all’Euro, come si vede dal grafico qui sotto, in cui la drammatica inversione di tendenza in corrispondenza con il 2016 è più che evidente:
Fonte: https://www.xe.com/currencycharts
D’altra parte, se guardiamo ai dati del PIL, le cose non sono molto diverse: fino al 2016 l’UK era forse il paese con l’economia più dinamica e moderna d’Europa, e cresceva molto più rapidamente della media degli altri paesi UE; dopo il 2016, questo rapporto si è invertito, come mostra il grafico qui sotto (nostra elaborazione di dati Eurostat):
Ma l’economia UK non è certo stata (finora) la principale vittima della Brexit, visto che gli effetti maggiori sono ancora da venire: i maggiori danni sono stati politici, con Cameron travolto dall’esito del referendum, Theresa May bruciata dallo stallo sul deal/no-deal, e Corbyn a sua volta messo fuori gioco dalla propria incapacità di prendere una posizione. Ma se a Londra la Brexit per quattro anni ha di fatto monopolizzato la politica, paralizzando il dibattito su tutti gli altri fronti (basti pensare al blocco imposto da Johnson al Parlamento, poi cancellato), i danni peggiori, politicamente, potrebbero derivare da Scozia e Irlanda del Nord. Non è affatto impossibile che la Brexit finisca per diventare la causa della fine del Regno Unito come lo conosciamo, ad esempio con la Scozia che finisca per dichiarare la propria indipendenza.
Sto dipingendo un quadro troppo fosco? La Gran Bretagna è un grande paese, dotato di fortissime relazioni a livello globale, capace di essere efficiente e pragmatico laddove spesso l’Europa continentale soffre di eccessi di burocrazia; insomma, non è affatto detto che l’UK alla fine non riesca a trasformare la Brexit, se non in un successo, in un “non disastro”. Diciamolo anzi chiaramente: se c’è un paese che può riuscirci, sono loro, il cui rapporto con l’UE è sempre stato nel segno di un’ampia autonomia in tutti i campi, dalla diplomazia alla finanza, dalle relazioni con i paesi del Commonwealth al sistema “imperiale” di unità di misura.
Il vero centro della questione è che anche se l’UK “ce la farà”, avrà dovuto per almeno un decennio spendere le sue risorse politiche, economiche, diplomatiche e organizzative a risolvere un problema che semplicemente non esisteva, abbandonando un percorso apparentemente assicurato di crescita e prosperità.
Perché? Gli inglesi sono forse dei pazzi? No. Più semplicemente, sono stati tra le prime vittime della saldatura tra demagogia populista e tecniche di propaganda basata su Social e Big Data, di cui abbiamo molte volte parlato qui. Il populismo che ha determinato il voto per la Brexit e l’ascesa di Farage e Johnson è la stessa forza che obbliga Johnson a una posizione intransigente nei negoziati. Se oggi il Regno Unito sta per imbarcarsi definitivamente in un’avventura isolata e dal risultato incerto, non è per una necessità storica o sociale, ma per la forza della propaganda e della disinformazione. Una forza che, sconfitta di misura in USA nelle ultime presidenziali, nonostante i record di menzogne collezionati da Trump, è ben lontana dall’essere in declino, finché i mezzi di cui è forte e le vulnerabilità che sfrutta continueranno a esistere. E se anche l’UK, come è augurabile, potrà trovare le energie e le capacità per limitare i danni di questa crisi tutta autoinflitta, non è detto che tutti i paesi possano essere altrettanto fortunati e abili.