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Noi robot domineremo la Terra

Qualche giorno fa, il direttore delle Risorse Umane della Volkswagen ha annunciato che gli operai che in futuro andranno in pensione non saranno sostituiti da nuovi assunti, ma da robot, che quindi progressivamente rimpiazzeranno integralmente la manodopera umana nelle fabbriche di auto del marchio tedesco. Il lavoro di un robot già oggi costerebbe infatti un ottavo di quello di un metalmeccanico tedesco.

Può fare un certo effetto pensare che tra pochi anni l’intera categoria degli operai automobilistici possa essere (in Germania e altrove) solo un ricordo, ma in fondo non dovrebbe sorprenderci troppo. Sono decenni che si dice che i robot sostituiranno l’uomo nel lavoro manuale; tuttavia, a ben guardare, il futuro in un mondo popolato da robot potrebbe riservarci delle sorprese rispetto agli scenari futuribili che la maggioranza di noi ha in mente.

Cominciamo dalla domanda fondamentale: è vero che stiamo per assistere a un’impressionante proliferazione dei robot? La risposta è certamente sì, a patto di non attenderci che il tipico robot sia un robot antropomorfo.

Se la Democrazia è gratis non vale nulla

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La Democrazia è gratis. Se sei cittadino italiano e non hai fatto qualche boiata pazzesca (ma proprio brutta brutta) tu puoi votare, fondare un partito, candidarti, governare il Paese e rappresentarlo nel mondo. Non devi fare nulla. Votare, per esempio, non costa nulla salvo quell’enorme seccatura di recarti al seggio, ma è proprio l’unica fatica. Non ti è richiesto di capire qualcosa di politica e puoi votare anche solo per sentito dire, perché un candidato ha la faccia che ti piace, perché lo vota anche il tuo amico del cuore; oppure puoi fare una scelta a caso, così per gioco, fare ambarabà cicì cocò e votare secondo la conta. È un tuo diritto, perché tu sei un cittadino, vali uno come tutti gli altri, e col tuo voto puoi fare ciò che credi. Anche se sei un vero bastardo hai diritto a votare; se picchi tua moglie e maltratti i figli, sei un lazzarone buono a nulla, abbandoni il cane e incendi i boschi, non sei capace di tenerti un lavoro, imbrogli, menti e sputi per terra, anche in questo caso sei e resti un cittadino, vali uno come tutti gli altri e hai il diritto di andare a votare come credi.

Io sto coi kurdi di Kobane

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Mi chiedevo perché mai l’ISIS avesse deciso di attaccare, con tanta determinazione, la città kurda di Kobane, così pericolosamente vicina al confine turco. Strategicamente parlando l’ISIS non ha bisogno di Kobane. Non mi sembrano molto credibili le ragioni relative alla necessità di un passaggio di rifornimenti clandestini dal confine turco (così il Washington Post) considerando che un’amplissima parte di quel confine è già controllata da ISIS e che, con la complicità turca, ingenti quantità di denari arrivano all’ISIS via Gaziantep e miliziani dall’Europa via Nusaybin. Certo, così circondata, soffocata ormai da ISIS, Kobane deve essere sembrata un boccone facile, ma credo ci sia qualcosa di più.

Il prezzo giusto della Cultura e il caso dell’Opera di Roma

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Molti di voi avranno seguito in queste ultime settimane le violente polemiche legate alla vicenda piuttosto sconfortante dell’Opera di Roma, dove a seguito delle dimissioni del Direttore Riccardo Muti si è giunti all’annuncio del licenziamento in blocco degli orchestrali e dei coristi. Nelle discussioni, che peraltro sono ancora in corso visto che la questione è ancora aperta, è a mio parere possibile cogliere innanzitutto lo scontro tra presupposti estremamente diversi sulla cultura, sul suo ruolo sociale, su come possa e debba essere finanziata.

Dato che su Hic Rhodus siamo molto sensibili ai temi culturali (includendo come parte essenziale della cultura quella scientifica), vogliamo proporre il nostro punto di vista, a partire appunto da quello che nel titolo un po’ provocatoriamente chiamiamo prezzo della Cultura.

Come ho imparato a dimenticare la bomba

Più di una volta ho immaginato l’incanto che seguirebbe a una guerra atomica: finalmente la terra senza uomini! (Emile Michel Cioran)

Siete giovani? Siete troppo giovani per ricordare La Bomba? L’incubo di una generazione addirittura precedente la mia e che io bambino, poi ragazzo, ho assimilato di sfuggita, nella ricca fantascienza americana apocalittica, nell’ormai stracco confronto fra i blocchi cessato repentinamente nel 1989-1990. Il confronto nucleare non c’è mai stato, per fortuna, e adesso che abbiamo un’America così democratica da essere presieduta da un nero (!) e una Russia capitalista governata dal “caro amico” Putin (cit.) nessuno pensa alla Bomba. Non che il mondo sia perfetto, questo no, ma la Bomba… la Bomba no, non popola più i nostri incubi notturni. Male. Personalmente credo che ci si dovrebbe preoccupare molto più adesso che non trent’anni fa. Trent’anni fa il potere della Bomba era in mano a mezza dozzina di persone sul pianeta, soggette a diversi controlli di sicurezza. Oggi chi ha le chiavi degli arsenali nucleari? Perché questi arsenali sono ancora ricchi e pronti all’azione…

Il cesarismo renziano all’epoca della crisi di rappresentanza

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O Captain! My Captain! rise up and hear the bells; Rise up-for you the flag is flung-for you the bugle trills; For you bouquets and ribbon’d wreaths-for you the shores a-crowding; For you they call, the swaying mass, their eager faces turning (Walt Whitman)

Sì, Renzi è un leader decisionista, arrembante, poco incline alla mediazione. Semplificare l’atteggiamento renziano come “berlusconiano”, “democristiano” o addirittura – come a chiare lettere denunciato dalla minoranza PD – “di destra” è inaccettabile e privo di qualunque consistenza logica, come ho scritto un po’ di tempo fa qui su HR; liquidare il suo atteggiamento come cesarismo dispotico, mera comunicazione senza costrutto, improvvisazione demagogica, può avere indubbiamente un fondamento, ma solo parziale, e non aiuta ad andare molto avanti nell’analisi. Ancora una volta per capire cosa accade occorre uno sguardo diverso e non ideologico,

Le scie chimiche distruggono i neuroni cerebrali. Ecco le prove

99 Le scie chimiche

Le scie chimiche come elemento di allarme sociale e di denuncia complottista rappresentano un banco di prova ideale per studiare da vicino come si costruiscono e sostengono le bufale più assurde. In questo articolo spero di fornirvi una ragionevole documentazione per mostrarvi non tanto l’inconsistenza dell’argomento (che spero sia una tesi già chiara per voi) ma l’intricata architettura logico-argomentativa che i sostenitori del complotto delle scie adducono a loro sostegno; un’architettura assolutamente inconsistente a un’analisi appena più approfondita ma difficile da cogliere con immediatezza per un pubblico più disinformato, poco incline all’analisi delle fonti e tendenzialmente credulo, che quindi si lascia facilmente sedurre da tesi fantasiose ritenendole vere per poi, a sua volta, diventarne propagatore. Deve essere chiaro che parlo di scie chimiche come esempio, e che l’approccio qui suggerito vale per tutte le notizie assurde, inquietanti, allarmistiche che ogni giorno incontriamo su Facebook o su Twitter.

Cosa succede quando gli scienziati sbagliano, e perché

History_of_the_UniverseA volte, le scoperte scientifiche finiscono sui media “normali”, quelli che normalmente si occupano (un po’ come noi…) di politica, economia, società, e anche (non come noi) di sport, gossip, celebrità.

Qualche mese fa, gli onori della cronaca sono toccati all’annuncio che erano state osservate le tracce delle onde gravitazionali prodotte immediatamente dopo il Big Bang primordiale, e che queste tracce erano coerenti con un’accreditata teoria cosmologica detta “dell’inflazione”. I toni dei commentatori competenti erano entusiasti, e già molti accreditavano gli scopritori di un Nobel quasi scontato. Ebbene, quel risultato era inficiato da un errore, ma il modo in cui l’errore è stato commesso, è stato rilevato ed è stato gestito è istruttivo anche (e specie) per tutti noi che lavoriamo in altri settori.

Abolire gli statuti speciali regionali

99 Abolire gli statuti speciali regionali

Nella faticosa approvazione in prima lettura della riforma del Senato sono state introdotte non poche modifiche rispetto all’impianto originario anticipato a suo tempo da Renzi. Ciò è inevitabile (si discute anche per migliorare e “venirsi incontro”) ma fra le varie buone intenzioni perse per strada una mi colpisce sfavorevolmente, ed è l’abolizione degli Statuti speciali regionali.

L’ Articolo 18, un falso problema e un autentico campo di battaglia

In questi giorni, è in corso un acceso scontro a proposito della riforma del Diritto del Lavoro che il Governo Renzi ha avviato, sia pure in forma preliminare, con il disegno di legge (il cosiddetto Jobs Act) corredato da un importante emendamento che è stato approvato dalla Commissione Lavoro del Senato e che prevede la successiva stesura di una Legge Delega che tra l’altro preveda, per le nuove assunzioni, il “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio”. In altre parole, uno degli obiettivi del Jobs Act diventerebbe la revisione del celebre Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che prevede la reintegrazione nel posto di lavoro appunto come tutela per il lavoratore in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo.

Le ragioni dell’animalismo

61 Le ragioni dell’animalismo

Fra i concetti utilizzati in senso duplice, come bandiera e come ingiuria, quelli designati con un -ismo sono indubbiamente i più comuni. Se siete comunisti sarete fieri della vostra appartenenza e dovrete sopportare i dileggi degli anti-comunisti; se siete fieramente laici vi beccherete l’accusa di laicisti dai cattolici integralisti, intendendo con ciò qualcosa di negativo e sbagliato, l’esagerazione del concetto di laicità; e così i garantisti (eccessivamente tolleranti secondo coloro che vorrebbero tutti in galera), i giustizialisti (eccessivamente persecutori secondo coloro che non vorrebbero tutti in galera), i liberisti (eccessivamente fiduciosi nel libero mercato) e così via. Naturalmente il linguaggio è qualcosa di vivo e mutevole e non c’è una vera regola: il liberista non ritiene che questo aggettivo sia un insulto, ma se a me laico date del laicista sì, comprendo che volete diminuire e criticare la mia visione del mondo. Animalista è uno di questi termini un po’ ambigui: come femminista, comunista, e altri che fanno riferimento alla difesa di minoranze, o di parti sociali, è ritenuto termine neutro per chi ama gli animali e indicatore di una certa fanatica esagerazione da parte di chi non crede che agli animali si debba dare tutta questa attenzione. Ebbene, consapevole dei rischi che corro, mi dichiaro animalista anti-specista; ciò mi ha portato ad aderire a una dieta vegetariana; alla festa di San Firmino faccio il tifo per i tori; ho una pessima opinione dei cacciatori; credo che nei circhi non debbano esserci esibizioni di animali; e via discorrendo tutto l’armamentario tipico degli animalisti che voi lettori, a seconda della vostra visione del mondo, potete sostenere o irridere.

E adesso provo a spiegare la natura etica e filosofica dell’animalismo;

Tanti separatismi per contare meno di niente

Il referendum scozzese, a prescindere dal suo risultato, ha scatenato speranze e data nuova linfa ai molteplici separatismi europei. Senza includere il baraccone leghista e la sua invenzione padana, nella sola Italia contiamo l’indipendentismo sardo, friulano, veneto, altoatesino (pardon: sud-tirolese), per citare solo i maggiori; i principali partiti indipendentisti europei sono rappresentati dall’European Free Alliance, sul cui sito troverete più informazioni sui membri che però – si veda in fondo a questo articolo – non esauriscono le ambizioni separatiste in Italia. Io non appartengo a comunità spiccatamente identitarie, mi sento italiano (che non è un concetto reazionario) ed europeo (che non significa essere un servo della Troika), e per ragioni familiari che non è necessario vi riveli ho forti sentimenti di compartecipazione anche verso un Paese lontanissimo dalla stessa Europa, e quindi non partecipo emotivamente a questa così forte sensazione di essere qualcos’altro, questo desiderio di marcare il proprio territorio con una divisione. Sono quindi in una condizione neutrale per fare una riflessione sul senso e sulle conseguenze dell’indipendenza della Scozia, o della Sardegna o della Valle d’Aosta. Immagino che molti lettori possono avere opinioni diverse da queste da me espresse e gradirò le loro critiche, specie se non umorali ma di carattere razionale come spero di mantenere questo articolo.

Spending review, non ne parliamo più

Chigi - spending review
È ufficiale: Carlo Cottarelli, il commissario alla spending review, ha gettato la spugna e ha annunciato che lascerà il suo incarico dopo la redazione della Legge di Stabilità (la Finanziaria, si diceva in altri tempi). Ora, premesso che certamente Cottarelli, tornando al Fondo Monetario Internazionale, non è poi da compiangere, è degna di nota l’indiscrezione che sarebbe già pronto il nome del suo successore, ossia Yoram Gutgeld, un economista e senior partner della McKinsey, parlamentare del PD e consigliere economico di Renzi.

Noi di Hic Rhodus abbiamo seguito con attenzione fin dall’inizio le sorti delle proposte di Cottarelli, e non possiamo esimerci dal tracciarne un sommario bilancio, anche per capire se, indipendentemente da quello che si sa delle idee di Gutgeld, abbia senso ingaggiare un ennesimo esperto per la spending review.

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I talk show ammorbano le coscienze

 

Il potere delle parole non ha nulla a che vedere con il loro senso o con la logica della loro costruzione (Joseph Conrad, Lord Jim).

Volete capire. Volete informarvi. Comperate alla mattina un quotidiano, scambiate opinioni coi colleghi alla macchinetta del caffè e, soprattutto, non vi perdete un talk show. Ballarò è appuntamento imperdibile (anche se con Giannini chissà…?); Floris un mito e non vedete l’ora di rivederlo sul nuovo programma su la7; se vi interrompono quando c’è Santoro diventate delle bestie. E poi La Gabbia, Zeta, che tripudio di salotti politici, quanto approfondimento, quanto godimento!

Eppure…