Il velo islamico non riguarda la libertà religiosa

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Anni fa in Turchia fui sottoposto a una sorta di terzo grado da un collega turco che voleva sapere che ne pensavo del velo, se mi dava fastidio e così via. Ricordo il mio imbarazzo non tanto nel cercare una risposta diplomatica, quanto nell’intrusione che percepivo in quella domanda, il fatto che il mio interlocutore riponesse così tanto “capitale emotivo” su questa faccenda del velo. Da allora sono piuttosto sensibile al tema; alle Olimpiadi abbiamo visto le atlete velate, i veli appartengono ormai al nostro paesaggio urbano e, di tanto in tanto, qualche tragico fatto di cronaca ci ricorda i padri-padrone, o i fidanzati-padrone, o i mariti-padrone, che in Italia picchiano donne islamiche che non voglio portare il velo (solo gli ultimissimi fatti: Padova, Luglio 2014; Cremona, Luglio 2014; Treviso, Settembre 2014). E nei paesi islamici è molto peggio e si arriva a uccidere, come nel caso del sociologo del Bangladesh recentemente ucciso per strada a colpi di machete perché aveva vietato il velo alle sue lezioni.

Ma il velo è obbligatorio per le musulmane? Se così fosse dovremmo vedere tutte le islamiche velate ma è abbastanza chiaro che così non è; il velo sembra appartenere a tradizioni islamiche più rigorose, fondamentaliste. Cosa dice in proposito il Corano? i) il velo NON è una prescrizione coranica in senso stretto; ii) il velo è un segno distintivo di appartenenza che ha vari significati simbolici tutti facoltativi; iii) il velo diventa obbligatorio (= imposto) nelle tradizioni islamiche più fondamentaliste come il salafismo, dove si dà un’interpretazione ristretta del Corano e vige una cultura maschilista. Non sono mie conclusioni, ho attinto da autorevoli fonti che cito in fondo.

Vorrei segnalare che l’imposizione del velo (laddove non sia una libera scelta) si accompagna a una pletora di altre imposizioni (in alcuni casi solo raccomandazioni) presenti un po’ in tutte le religioni. Dalla circoncisione (islam ed ebraismo), ai digiuni e prescrizioni alimentari (quasi tutte) fino ai diversi precetti, rituali e comandamenti che ogni religione ha formalizzato per stabilire il corretto comportamento sociale nei riguardi della divinità. In alcuni casi sono comportamenti dettati da Dio e registrati nei rispettivi testi sacri; in altri casi si tratta di interpretazioni o di comportamenti aggiuntivi rispetto a quanto prescritto nei testi, come nel caso del velo.

Da laico sono molto sospettoso verso queste tradizioni (per lo più, come detto, sono tradizioni e non parole di Dio) sia quando le vedo mutevoli nel tempo (una volta se mangiavi carne di venerdì eri segnato col dito, ora non ci guarda quasi nessuno) sia quando riguardano, in modo abbastanza palese, una specifica categoria di persone a suo danno. Quest’ultimo è appunto il caso del velo, imposto alle donne per dichiarate ragioni di pudore, virtù, dedizione al maschio che contrastano fortemente con l’idea emancipativa che si è sviluppata in Occidente. Perché non mi si può dire che il velo abbia una particolare funzione estetica, protettiva o igienica (come per esempio viene invocata – a torto – per la circoncisione); la sua funzione è semplicemente sociale e serve per sottolineare la particolare relazione fra uomini e donne. Ciò diventa abbastanza evidente analizzando i particolari tipi di velo.

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I casi estremi del burqa mi paiono assolutamente ingiustificabili, su un piano razionale, sotto tutti i punti di vista.

Ma cosa ne pensano le dirette interessate? Potete trovare in Internet centinaia di testimonianze di donne islamiche con vistosi cartelli pro-burqa; mi permetterete di essere cauto. Che una donna afghana, o pakistana, o iraniana, si faccia fotografare in Afghanistan, Pakistan o Iran con un cartello islamista non mi può convincere del tutto, e il fatto che in Occidente alcune di costoro, se appena provano a togliersi l’hijab, vengano massacrate di botte, mi sembra un indizio non trascurabile. Circa un anno fa è stata fatta una ricerca comparativa interessante sulle percezioni di donne egiziane, irakene, libanesi, pakistane, saudite, tunisine e turche in merito, fra le altre cose, al velo. Cito direttamente dal rapporto (una mia sintesi dopo la lunga citazione):

To assess the extent of cross-national variation in the style of dress that is considered appropriate for women, respondents were presented with the following six pictures of women in different styles of dress. They were asked: “Which one of these women is dressed most appropriately for public places?” The style #1 is en vogue in Afghanistan; #2 is popular among both conservatives and fundamentalists in Saudi Arabia and other Persian Gulf Arab countries; #3 is the style vigorously promoted by Shi’i fundamentalism and conservatives in Iran, Iraq, and Lebanon; #4 and #5 are considered most appropriate by modern Muslim women in Iran and Turkey; and #6 is preferred by secular women in the region.

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The most appropriate garment for women is #4 (52%) for Egyptians; #4 and #3 (44% and 32%, respectively) for Iraqis; #6 and #4 (49% and 32%, respectively) for Lebanese; #4, #3, and #2 (24%, 31%, and 32%, respectively) for Pakistanis; #2 (69%) for Saudis; #6, #5, and #4 (15%, 23%, and 57%) for Tunisians; and #6, #5, and #4 (32%, 17%, and 46%) for Turkish citizens.

Based on these findings, it would be hard to connect women’s style of dress on the aggregate level to a country’s level of development and modernity. Saudi Arabia, which is economically more developed, is most conservative in terms of women’s style of dress. Rather, it reflects a country’s orientations toward liberal values as well as the level of freedom people enjoy. In Lebanon, Tunisia, and Turkey, where people tend to be less conservative than the other four countries, the preferable style for women also tend to be much less conservative than the other four countries (fonte).

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Conclusioni della ricerca: lo stile di velo “preferito” è correlabile col livello di tolleranza politica e sociale dei diversi paesi e non con le condizioni economiche o con la “modernità” esteriore, relativa ai beni materiali. E questo significa che i condizionamenti sociali e culturali impongono il velo e – se posso dire così – lo fanno piacere e accettare, anche obtorto collo, alle interessate.

Mi pare quindi che il velo non possa essere una pretesa legittima in contesti culturali differenti, per esempio nell’ambito delle società occidentali. Un atteggiamento laico mi pare consista nell’indifferenza verso il velo portato volontariamente da donne musulmane, tranne nei casi in cui ciò sia contrario alle norme vigenti (va ricordata la legge 152 del 1975) o nei casi in cui possa creare discriminazioni (pensiamo al caso delle scuole…). Deve invece essere assolutamente vietata ogni imposizione; i padri-padrone che pretendono di imporre il velo alle figlie devono essere fortemente sanzionati fino all’intervento delle autorità e all’allontanamento della donna, specie se minore. Di più: l’inanità, il laissez-faire in nome di una presunta libertà religiosa (che non è “libertà” e neppure “religiosa”) è un modo per non guardare in faccia il problema, abbandonare le donne che cercano, in Occidente, un’aria di libertà, assecondare il più spregevole maschilismo e lavorare contro l’effettiva integrazione.

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