Recentemente, è tornata all’attenzione dei media la questione dello stabilimento FIAT di Termini Imerese, o, meglio, lo stabilimento chiuso dalla FIAT a fine 2011. A quella data risale l’accordo in base al quale ai dipendenti fu erogata, fino a oggi, la Cassa Integrazione Straordinaria. Adesso, precisamente a fine 2014, sarebbe terminato il periodo coperto dalla CIGS, e per circa 760 lavoratori (più circa 300 del cosiddetto “indotto”, posto che una fabbrica inattiva abbia un indotto) si sarebbe aperta la prospettiva della definitiva perdita del “posto di lavoro”. Quest’esito è stato evitato, ma è davvero una buona notizia?
In extremis, il 23 dicembre, è stato firmato presso il MISE l’accordo in base al quale la neocostituita società Blutec rileva gli impianti e s’impegna a riassumere i lavoratori, per impegnarli nella produzione di componentistica e di autovetture ibride. Il ministro Guidi ha commentato: «Con questo accordo si mettono al riparo posti di lavoro e si restituisce una prospettiva industriale all’area». Anche il premier Renzi non ha mancato di twittare “Oggi Termini Imerese, domani Taranto. Anche questo è #jobsact”. Tutto bene, quindi? Guardiamo più da vicino, perché questo accordo è emblematico e ci permette di illustrare perché talvolta dico che in Italia lo Stato finanzia il “non lavoro”.
Cominciamo esaminando meglio i termini dell’accordo, firmato “dal Ministro Federica Guidi, dai rappresentanti di Blutec, di FIAT/FCA e del Ministero del Lavoro, dall’Assessore alle Attività Produttive della Regione Siciliana Linda Vancheri, dal Sindaco Salvatore Burrafato, da Invitalia e dalle Organizzazioni Sindacali” (cito il comunicato stampa del ministero). Già da questo lungo elenco di firmatari è facile intuire che sono parecchi i “tasselli” che devono andare a posto per chiudere un accordo di questo tipo.
E, in effetti, è proprio così. Da un lato, Blutec ha presentato un piano industriale, accettato dai lavoratori, che prevede circa 300 milioni di investimenti, prima poco meno di 100 per attivare un impianto di componentistica, e poi circa 200 per procedere all’avvio della produzione di autovetture ibride di due diversi segmenti. Dall’altro, lo Stato ha autorizzato la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per riconversione, di durata pari a due anni più altri eventuali due, mentre secondo quanto dichiarato dai sindacati all’iniziativa sono destinati 290 milioni di fondi pubblici, 140 regionali e 150 nazionali. Insomma, i conti per la Blutec tornano. E per i contribuenti?
Mi sembra infatti che la sostanza di questa meritoria “soluzione” sia:
- Si è trovato il modo di prolungare di altri quattro anni la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per i dipendenti ex-FIAT.
- Gli impianti saranno riqualificati (?), nuovamente, a spese delle finanze pubbliche.
Insomma, nel momento in cui si era arrivati al limite di quanto la legge consentiva di tenere a carico del bilancio pubblico gli ex-dipendenti FIAT, questo onere non solo è stato rinnovato, ma incrementato, a dimostrazione che per certi problemi l’unica soluzione concepita da politici e sindacati è il ricorso alla spesa pubblica.
Ma, resta da chiedersi, qual è la logica di questa trasformazione industriale? In vista di cosa stiamo spendendo questi soldi pubblici? Se per la FIAT non era economicamente sostenibile produrre automobili a Termini Imerese, perché mai dovrebbe poterlo fare questa Blutec, che è una società di nuova costituzione e ovviamente priva di un marchio automobilistico? In un mercato automobilistico in cui i grandi produttori devono accorparsi per fare economie di scala e non sparire, chi diavolo è la Blutec?
La Blutec effettivamente è stata fondata apposta per quest’operazione: è una società controllata al 100% dalla Metec, un’azienda del settore automobilistico il cui primo cliente è… la FIAT. Il suo azionista unico, Roberto Ginatta, è tra l’altro socio di Andrea Agnelli in un’altra società di capitali, la Investimenti Industriali S.p.A. Insomma, dalla FIAT a un amico della FIAT. E, domani, immaginando che davvero da Termini Imerese escano delle auto ibride, chi le comprerà? La Regione Sicilia? Se davvero produrre auto ibride a Termini potesse essere economicamente efficiente, non l’avrebbe fatto direttamente la FIAT anziché una sconosciuta azienda del suo “indotto”? Certo, la FIAT avrebbe dovuto farlo con i suoi soldi…
Ora, mi si potrà obiettare: ma non conosci la gravissima condizione del nostro mercato del lavoro? Pensi forse che i 760 lavoratori ex-FIAT avrebbero potuto trovare un posto di lavoro in un’area così industrialmente svantaggiata se non fosse intervenuto lo Stato? Preferiresti che andassero a incrementare le file dei disoccupati cronici, senza speranza di essere reimpiegati, disperdendo il residuo know-how industriale di Termini Imerese?
Intendiamoci: il mio scopo non è accanirmi contro Termini Imerese, né dedicarmi a previsioni sul futuro destino di quel polo industriale. Voglio solo sottolineare che quando i nostri politici e sindacalisti annunciano la “felice conclusione” di una crisi industriale, quando certe vertenze arrivano sui tavoli ministeriali e vengono lì “risolte”, possiamo star sicuri che la “soluzione” include un prelievo dalle nostre tasche, presente e futuro, sotto forma di “ammortizzatori”, “incentivi”, “contributi” e quali altre forme può assumere la spesa pubblica a sostegno di aziende strutturalmente in difficoltà. E mi sento di dire che questi interventi sono in gran parte inefficaci, se il loro obiettivo è favorire la costituzione di una realtà produttiva sana e autosufficiente; sono invece efficacissimi se il loro scopo reale è assicurare consenso a politici e sindacalisti e a offrire occasioni d’oro a finti imprenditori e ad amici degli amici, il tutto a spese della minoranza produttiva di questo paese.
Prendiamo anche solo la Cassa Integrazione Guadagni: come si sa, ne esistono diverse varianti, che a mio avviso producono effetti radicalmente diversi:
- La Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria: il suo scopo è consentire a un’azienda di superare una crisi temporanea, e condizione essenziale perché possa essere applicata è che “non sussista alcun dubbio circa la possibilità effettiva di ripresa dell’attività produttiva”. Insomma, la CIGO protegge dei posti di lavoro che in fase di crisi rischierebbero di essere tagliati ma che sono strutturalmente “buoni”. Proprio per questo, la CIGO può durare fino a un massimo di dodici mesi, ed è a mio parere la forma di CIG che davvero difende dei posti di lavoro.
- La Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria: il suo scopo è gestire una situazione di eccedenza strutturale di dipendenti, in casi di crisi grave e perdurante o in casi di ristrutturazioni, riorganizzazioni, riconversioni, chiusure per varie ragioni. In questo caso, in generale, non si tornerà ai livelli occupazionali precedenti la crisi aziendale: la riduzione dell’organico è strutturale. La sua durata può arrivare fino a tre anni in un quinquennio. In pratica, anche se non è piacevole dirlo, la CIGS non difende posti di lavoro: difende semmai il reddito dei lavoratori, mantenendo artificialmente in vita dei posti di non-lavoro.
- La Cassa Integrazione Guadagni in Deroga: si applica, principalmente, ad aziende di settori per i quali non sono previste le prime due forme di CIG.
Come si vede, si tratta di situazioni molto diverse, che vanno dal sostegno per qualche settimana a un’azienda altrimenti sana fino al mantenimento in stato vegetativo per anni di aziende decotte che non riprenderanno mai le attività. Nei casi in cui viene applicata la CIGS il risultato a mio avviso è generalmente negativo sotto tutti i punti di vista, tranne ovviamente quello di aver garantito un minimo reddito ai lavoratori coinvolti, tenendoli però a non far nulla e accelerando l’obsolescenza dei loro profili professionali: è davvero la difesa di posti di non-lavoro. Eppure, nonostante che questo sia certamente chiaro a tutti, dal Bilancio 2013 dell’INPS si constata che la CIGS è costata 3,5 miliardi di Euro, mentre la CIGO “solo” 1,9 miliardi e 1,3 la CIG in deroga. Come spesso capita in Italia, l’eccezionale e “straordinario” diventa la regola.
Intendiamoci: gli ammortizzatori sociali servono. Ma il loro scopo dev’essere innanzitutto favorire la difesa e la creazione di posti di lavoro “veri”, aiutando i lavoratori che hanno perso il lavoro a riqualificarsi e cercarne un altro, non a fingere che esista ancora quello perduto. Questo è, o dovrebbe essere, anche il senso principale del Jobs Act, almeno come lo avevo compreso io: in una fase come questa non è possibile ridurre le protezioni sociali senza contropartita; e la contropartita dev’essere costituita da “ammortizzatori” che non si basino sul congelamento del posto di non-lavoro e da servizi utili e concreti per trovare una nuova occupazione (su questi punti è molto chiaro un articolo del Corriere.it). Che avvenga attraverso i Centri per l’Impiego (ma certo non come sono oggi) o per altri canali, i lavoratori dovrebbero ricevere un’indennità temporanea e un aiuto efficace a ricollocarsi, come avviene in altri paesi europei. In questo senso, l’affermazione di Renzi per cui “anche Termini Imerese è #jobsact” non pecca solo di propagandismo: è contraria al senso stesso del Jobs Act.