Quando per risolvere un problema complesso viene proposta una soluzione “semplice” bisogna diffidare.

Quando per risolvere un problema complesso viene proposta una soluzione “semplice” bisogna diffidare.
Da diversi mesi negli USA si registra un incremento record delle dimissioni dei lavoratori dipendenti. Si tratta di un problema o di un’opportunità? E cosa accade in Italia?
Se gli stagionali vengono pagati poco e assunti al nero non è solo colpa dell’avidità degli imprenditori.
Si può parlare di meritocrazia in Italia, nel lavoro? Certamente no…
La miopia con cui aziende, sindacati e governi evitano di affrontare le trasformazioni del lavoro ha un costo insostenibile, e crescente.
La politica economica italiana si alterna fra periodi di gioiosa incoscienza preelettorale e tragica sistemazione dei conti di governi di emergenza.
Il governo Gentiloni ha ormai esaurito il suo compito, e l’avvicinarsi di importanti scadenze dovrebbe convincere tutti che il tempo dei giochi postelettorali è finito
I moderati progressi che registriamo su scala nazionale (PIL, occupazione, ecc.) si riscontrano stavolta anche nel Mezzogiorno. Ma il divario col Nord resta enorme.
La ripresa ecomomica e l’aumento dei posti di lavoro sono delle realtà innegabili. Ma non sempre avere un lavoro significa poter contare su condizioni di vita dignitose.
Come sempre, i fautori di spesa e assistenzialismo tornano alla carica appena ci sono segnali che l’economia migliori.
Negli ultimi giorni, l’INPS e l’Istat hanno pubblicato importanti rapporti sull’andamento dell’economia e dell’occupazione in Italia. In particolare, ha suscitato un certo scalpore la notizia che, in base ai dati dell’Osservatorio sul Precariato INPS, il numero di nuovi posti di lavoro creato nel primo trimestre del 2016 è stato di circa 51mila unità, inferiore di ben il 77% rispetto allo stesso periodo del 2015. Ovviamente, le opposizioni ne hanno tratto l’occasione per concludere che il Jobs Act renziano è in realtà un “Flop Act”, per usare le parole del sempre colorito Renato Brunetta; da parte sua, il premier ha definito queste critiche “clamorose balle”. Come stanno davvero le cose?
(La prima parte di questa riflessione, relativa a demografia, ambiente, accesso alle risorse e guerre, la trovate QUI)
Nei giorni scorsi, su Internet si è scatenata una vivacissima polemica generata da un articolo di Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano (seguito poi da un secondo altrettanto controverso), eloquentemente intitolato “Il conto salato degli studi umanistici”. L’autore, in sostanza, sostiene che iscriversi a un corso di laurea umanistico è sostanzialmente un lusso, visto che poi si trova difficilmente lavoro, e se lo si trova è sottopagato, e invita i giovani che non siano ricchi di famiglia a dedicarsi piuttosto a studi ingegneristici o scientifici. Naturalmente, le reazioni contrarie sono state accese, ma la cosa che mi ha spinto a scrivere questo post è che secondo me sia Feltri che i suoi critici sbagliano completamente obiettivo. Vediamo perché.
Pochi giorni fa, l’INPS ha pubblicato il rapporto dell’Osservatorio sul Precariato relativo al primo semestre 2015. Secondo il rapporto, nel 2015 in Italia c’è stato un marcato incremento dei contratti a tempo indeterminato, e ovviamente il Presidente del Consiglio non ha mancato di sottolineare queste evidenze affermando che si tratta della dimostrazione che «siamo sulla strada giusta contro il precariato e che il Jobs Act è una occasione da non perdere».
Davvero possiamo ritenere che il Jobs Act sia la pietra filosofale che consentirà di alleviare la gravissima situazione occupazionale dei giovani in Italia? Come al solito, proviamo a guardare i dati con attenzione.
In questo inizio di 2015, abbiamo assistito a un insolito fenomeno: il manifestarsi di alcuni segnali positivi per l’economia italiana. Da un lato la Banca d’Italia ha comunicato che prevede per il 2015 una crescita del PIL “significativamente superiore” delle sue stesse precedenti proiezioni; dall’altro lo stesso annuncio è stato dato dal Centro Studi di Confindustria. Infine, l’Istat ha comunicato che, finalmente, ci sono segni di ripresa dell’occupazione, e che a dicembre il numero degli occupati è cresciuto di circa 93.000 unità.
Si tratta di segnali di un reale miglioramento, o di un fenomeno statistico magari stagionale, come qualcuno ha suggerito?