Ansia per il futuro? Allora NON leggete cosa vi aspetta. 1 – Demografia, alimentazione, clima e guerre

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Astrologia a parte, che non interessa Hic Rhodus, c’è un serio filone di studi che cerca di prevedere il futuro. Una previsione probabilistica, ovviamente, basata sui dati disponibili al momento e loro proiezioni; una previsione quindi orientativa che nulla ha di deterministico. Si chiamano future studies (generalmente al plurale), sono praticati in numerose branche di studio (da fisici come da sociologi, per intenderci) e se digitate il termine su Google troverete moltissimi materiali che non ho intenzione di proporvi qui. Proverò invece a estrapolare una sorta di piccola sintesi di ipotesi di natura e peso differente (non tutte basate su studi accademici, non tutte parimenti accreditate anche se nessuna ripresa da fonti palesemente screditate e amatoriali). Il quadro complessivo che si delinea non è particolarmente rassicurante; lo riepilogherò alla fine.

Demografia

pil22Mi sembra necessario partire da qui: quanti saremo fra un po’ d’anni? Secondo studi ONU saremo oltre 9 miliardi nel 2050; la metà di 9 miliardi saranno residenti in soli nove paesi: India, Pakistan, Nigeria, Etiopia, Stati Uniti, Repubblica Democratica del Congo (DRC), Tanzania, Cina e Bangladesh. Ma quel che più conta è che 8 di quei 9 miliardi risiederanno nei paesi più poveri, mentre il ricco Occidente resterà più o meno invariato come popolazione solo grazie alla massiccia immigrazione. Queste proiezioni ONU si basano sull’ipotesi di una diminuzione globale della fertilità nei paesi in via di sviluppo; in caso contrario altro che 9 Miliardi! Alcune interessanti elaborazioni di questi dati le trovate QUI dove potrete osservare il ritmo forsennato del crescente sviluppo demografico; quando è nato il mio bisnonno in tutto il mondo erano un po’ più di 1,2 miliardi; quando sono nato io eravamo 2,5; quando è nato mio figlio circa 4,5; con mio nipote eravamo già oltre i 7 miliardi…

Alimentazione

Schermata 2016-03-05 alle 16.53.18Per nutrire quei 9 miliardi di individui occorrerà, nel 2050, il 60% in più di cibo rispetto al 2006 (fonte: World Resources Report; QUI una sintesi; QUI il rapporto completo); occorre quindi investire in un’agricoltura che, contrariamente all’attuale, eviti impatti ambientali. Attualmente il settore agricolo è responsabile del 24% della produzione di gas serra e per il 70% dello sfruttamento dell’acqua e delle falde (stessa fonte). È facile capire come l’aumento auspicato di produzione di cibo, ai livelli necessari, deve realizzarsi in maniere completamente differente da quelle attuali. Oltre a produrre cibo in maniera sostenibile diverrà fondamentale imparare a non sprecarlo. Attualmente un quarto di tutto il cibo prodotto al mondo viene sprecato (stessa fonte), particolarmente nel ricco Occidente ma massicciamente anche nell’Asia industrializzata.

Cambiamento climatico e produzione di cibo

Purtroppo per realizzare un’agricoltura sostenibile e sfamare tutti quanti occorre fare i conti col cambiamento climatico già gravemente compromesso, come abbiamo discusso su HR non molto tempo fa. Non si tratta solo di avere terreni coltivabili difesi dalla desertificazione con fonti d’acqua per l’irrigazione eccetera. Ma di economie di mercato che cambieranno in ragione della difficoltà a produrre quel cibo. Guardate per esempio questa figura (fonte: Oxfam):

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Il mais – fonte principale di nutrimento per ampie popolazioni del Sud America – potrebbe raddoppiare di prezzo in caso di scenario climatico negativo; il riso – altro elemento base per molte popolazioni asiatiche – fra il 40 e l’80%. Disuguaglianze alimentari, malnutrizione, mortalità infantile e molte altre sciagure continueranno insomma ad essere all’ordine del giorno.

Cambiamento climatico e migrazioni

Schermata 2016-03-05 alle 17.33.15Il problema del cambiamento climatico, sia in quanto a desertificazione di aree equatoriali sia come sommersione dalle acque a cause dello scioglimento dei ghiacci, agendo sulla possibilità di produrre cibo, alimenterà i flussi migratori. Le conseguenze dirette e indirette entro il 2100 potrebbero coinvolgere circa 500 milioni di persone (fonte: Focsiv); questi fenomeni sono poco considerati in Europa, dove affrontiamo migrazioni di altro tipo (prossimo paragrafo) e ignoriamo che dal 2008 al 2014, oltre 157 milioni di persone sono già state costrette a spostarsi per eventi meteorologici estremi (fonte: Internal Displacement Monitoring Centre).

Guerre e migrazioni

La violenza ha costretto alla migrazione 38 milioni di persone negli anni recenti; 11 solo nel 2014 (fonte: Internal Displacement Monitoring Centre). Su questo tema abbiamo pubblicato diversi articoli su HR che i lettori troveranno facilmente dove si sottolinea come il fenomeno non sia contingente e temporaneo ma destinato a durare per molto tempo. Schermata 2016-03-05 alle 17.50.04Considerate che un serio studio delle Nazioni Unite considera – al netto dei flussi dovuti alla guerra e al terrorismo – che per contrastare il drammatico calo di natalità in Europa serviranno entro il 2050 oltre 47 milioni di immigrati, dei quali 12,5 solo in Italia, ma ci sono scenari peggiori (per esempio per mantenere l’equilibrio fra popolazione attiva e non attiva servirebbero addirittura 674 milioni di immigrati in tutta Europa). Vale a dire: per mantenere il nostro tenore di vita, assicurare produttività e PIL al Paese e pagare le pensioni di anzianità, saranno indispensabili, specialmente in Italia, milioni di lavoratori extracomunitari. Naturalmente non ci sono dati sui migranti che arriveranno a causa delle guerre future ma alcune riflessioni possiamo farle.

Le guerre nel futuro

Schermata 2016-03-05 alle 19.43.28Non ci saranno dati, certo, ma previsioni sì; possiamo facilmente immaginare i think tank militari impegnati a costruire scenari, ipotesi, tattiche e strategie per sconfiggere nemici e accaparrarsi risorse. Non ci sono proiezioni pubbliche sul futuro ma abbiamo però indicatori indiretti, per esempio la spesa militare che negli ultimi vent’anni è sempre cresciuta, nel mondo, arrivando alla cifra globale stimata di 1.776 miliardi di Euro nel 2014, pari al 2,3% del PIL mondiale (fonte: Iriad su dati Sipri). Dietro questo dato generale ci sono cambiamenti interessanti; per esempio gli Stati Uniti è notevolmente calata la spesa, cresciuta moltissimo in altri scenari di guerre attuali e (forse) future. Per esempio, del pericolo di un prossimo conflitto Cino-Giapponese abbiamo parlato da poco su HR.

Il cambiamento degli equilibri internazionali

Che il mondo stia cambiando è sotto gli occhi di tutti. Il Medio Oriente sta velocemente collassando e l’avanzata del Daesh e dei suoi affiliati sta cambiando parte dell’Africa. La Cina avanza pretese egemoniche nel Pacifico. Nei prossimi dieci anni dovremo cambiare più volte gli atlanti. Ma al di là delle modifiche dei confini a seguito di guerre, ci sono le già menzionate migrazioni a dare volti nuovi al mondo e – così chiuderemo il cerchio col primo paragrafo – i processi demografici che non fluiscono in maniera analoga in tutti i paesi. Per esempio quelli musulmani hanno tassi di fertilità notevolissimi e da qui al 2050 saranno sostanzialmente in numero analogo, nel mondo, a quello dei cristiani (fonte: Neodemos su dati Pew Research Center). Tutto questo sarebbe assolutamente indifferente se non fosse che i problemi nell’arcipelago musulmano sono ampi, crescenti e cruenti coinvolgendo violentemente il mondo occidentale (ne abbiamo parlato QUI).

Energia

Gli scenari fin qui delineati parlano di cambiamenti climatici che renderanno difficile un’agricoltura sostenibile capace di sfamare i miliardi che saremo. E di guerre. Una delle principali motivazioni delle guerre è l’acquisizione di fonti di energia. Anche se la necessità di carburanti fossili sta già diminuendo (fonte: World Energy Outlook) e continuerà a diminuire, a favore di energie alternative più pulite, la necessità di idrocarburi resterà impellente nei prossimi anni. Basti pensare che ancora oggi 1,2 miliardi di persone non hanno accesso all’elettricità, e che il 95% di costoro vivono nell’Africa subsahariana e in Asia (fonte). Per alcune di queste popolazioni, per esempio i cinesi e gli indiani, progresso e benessere significa ovviamente anche un’automobile, un condizionatore d’aria e altri simbolici strumenti di una vita più agiata che, in milioni di esemplari, impattano in maniera devastante sull’ambiente e sul consumo energetico. Uno studio prospettico di alcuni anni fa, definito “ottimistico” dal suo stesso autore, mostra un picco di consumo energetico che va esaurendosi in questi anni e che declinerà (ma non in maniera uguale in tutte le aree del mondo) fino al 2100:

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Fonte: Gian Paolo Beretta, World Energy Consumption and Resources: An Outlook for the Rest of the Century for the Rest of the Century

Ma risorsa – come abbiamo accennato trattando della produzione di cibo – è anche l’acqua; uno studio un po’ datato stimava che nel 2025 Schermata 2016-03-06 alle 09.40.08il 40% della popolazione mondiale vivrà in aree con problemi (da moderati a estremi) di insufficienza d’acqua, e che tale percentuale potrebbe salire al 60% combinando i dati dello sviluppo industriale, cambiamento climatico, etc. (fonte). L’OECD, proprio in ragione di questo quadro, sostiene progetti per un’agricoltura moderna capace di consumare meno acqua (fonte, anche della figura a fianco: OECD).

Riassumendo questa prima parte: la popolazione mondiale cresce a ritmi difficilmente sostenibili; i bisogni di cibo e acqua si moltiplicheranno ma, complici i cambiamenti climatici e l’industrializzazione, i terreni coltivabili, le risorse d’acqua e le fonti energetiche diverranno problematici. Ciò produrrà massicce migrazioni e potenziali scenari di guerra.

Vedremo nella seconda parte cosa accadrà (forse) nel futuro per altri importanti aspetti sociali.