L’economia migliora, quindi il governo e i sindacati cercano il modo di affossarla

I parametri della nostra economia migliorano. Davvero? Sì, davvero: basta guardare i dati senza essere prevenuti in negativo. Il PIL cresce più del previsto e quasi (quasi) quanto sarebbe auspicabile per una vera ripresa; l’occupazione cresce (sì, cresce: chi dice il contrario mente per ragioni di bottega); le esportazioni vanno bene. Niente di spettacolare, intendiamoci, siamo sempre un paese nella fascia bassa delle performance economiche, ma rispetto a tre anni fa le cose sono cambiate in meglio, e molto. Per una volta vorrei evitare di infliggervi una pioggia di dati e mi limito quindi a riportare un paio di inequivocabili grafici relativi al numero di occupati e al PIL.

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Andamento dell’occupazione – Dati Istat
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Andamento PIL tendenziale – Fonte: Istat

Dobbiamo quindi congratularci con il governo attuale, e magari anche con il precedente? Andiamoci piano.

Innanzitutto c’è da ricordare che l’Italia (e non solo l’Italia) negli ultimi anni ha goduto di condizioni eccezionalmente favorevoli. I bassi prezzi del petrolio (che incidono su di noi più che sui nostri partner/concorrenti che più di noi utilizzano altre fonti di energia), il corso relativamente basso dell’Euro, la crescita globale che amplia il mercato per le nostre esportazioni, e soprattutto il Quantitative Easing della BCE (che ci “regala” parecchi miliardi di Euro l’anno di minori interessi sul debito) sono una combinazione quasi irripetibile, paradossalmente rafforzata dai fatti di cronaca internazionale che hanno spostato sull’Italia parte dei flussi turistici precedentemente destinati a paesi oggi meno “tranquilli” del nostro.

Insomma: perdere questo comodo autobus ci avrebbe proiettati ancora più lontani dal treno dei paesi economicamente avanzati, quindi non c’è da erigere statue equestri ai nostri governanti. D’altra parte, è inutile nascondersi che anche le migliori congiunture possono essere azzoppate da governanti improvvidi (un record in questo senso sembra stia per essere stabilito dai politici britannici), quindi diciamo che poteva andarci anche peggio. Un minimo di riconoscimento a Padoan in particolare credo che sia dovuto, pasticci con le banche a parte.

Ora però sta accadendo quello che era prevedibile: come sempre, appena l’Italia tira le narici sopra il pelo dell’acqua, le nostre forze politiche e sociali cercano il modo di rimandarla a fondo, per lucrare qualche vantaggio di bottega. Come al solito, in prima linea ci sono i sindacati, e in primissima linea la CGIL, ma il PD renziano e la variopinta sinistra non sono da meno. Vediamo di che si tratta, tenendo presente che apparentemente le idee in discussione sono relative ai due estremi del mondo del lavoro.

Un primo punto riguarda gli incentivi all’assunzione dei giovani. Come leggiamo sui giornali, il governo ha allo studio una misura di decontribuzione per le imprese che assumono giovani. Verrebbe da pensare che sia un buon modo per favorire l’occupazione giovanile, no?
In realtà, secondo me, è una pessima idea. Nel 2015 c’è stata un’impennata delle assunzioni grazie appunto alle agevolazioni contributive per i nuovi contratti a tempo indeterminato. S’è trattato di una misura efficace ma molto costosa per le casse pubbliche, e si potrebbe discutere a lungo sul suo rapporto costi/benefici; quello che per me invece è certo è che è completamente assurdo il coro di lamentazioni sul fatto che dopo quell’impennata le nuove assunzioni a tempo indeterminato sono drasticamente calate. Un incentivo come quello poteva avere solo lo scopo di aumentare lo stock dei dipendenti facilitando la conversione da contratti precari nel momento in cui si abolivano i Co.Co.Co., non certo quello di aumentare stabilmente il flusso dei nuovi assunti: per quello occorre una crescita economica reale, non aiuti pubblici.
Il problema delle nostre imprese è che hanno una produttività bassissima. Anche di questo abbiamo già parlato, ma una cosa è sicura: sovvenzionare le assunzioni non migliora la produttività; a maggior ragione, ripetere provvedimenti di sovvenzione alle assunzioni non fa altro che regalare soldi alle imprese senza nessuna contropartita. Se si volesse davvero tagliare il cuneo fiscale si dovrebbe ridurre l’Irpef e per farlo l’unica via è ridurre la spesa e non aumentarla. In pratica l’opposto delle ricette di sindacati e neokeynesiani di casa nostra.

Il secondo punto è anche peggiore del primo, e riguarda nuovamente le pensioni. Sotto la pressione dei sindacati, il governo ha aperto un confronto con l’obiettivo di discutere l’aumento dell’età pensionabile che scatterà per via dell’aumento dell’aspettativa di vita, e di facilitare i prepensionamenti per alcune categorie, in particolare le donne, per le quali molti giornali hanno “scoperto” con orrore l’ovvio, ossia che a partire dal 2018 dovranno andare in pensione alla stessa età degli uomini. Apriti cielo! D’altronde è da tempo che, nonostante le giuste puntualizzazioni del presidente dell’INPS Boeri, i politici si arrovellano su come fare per prepensionare i lavoratori, sottraendoli al giogo imposto loro dalla perfida Fornero.

Ora, io voglio essere molto chiaro: secondo me, la riforma Dini prima e la legge Fornero poi sono state riforme sacrosante, necessarie e appena sufficienti a evitare in prospettiva un vero e proprio disastro previdenziale. Che l’età pensionabile cresca se cresce la longevità è una semplice conseguenza matematica. Che le donne non vadano più in pensione prima degli uomini è logico e urgente, visto che hanno una ben più lunga vita “dopo la pensione”. È assolutamente necessario e vitale difendere queste norme così impopolari contro i continui attacchi di chi vuole dissestare le finanze pubbliche, in primo luogo i sindacati che oggi in realtà rappresentano quasi esclusivamente gli interessi di pensionati e lavoratori anziani, contro l’interesse generale dei cittadini. E bisogna anche avere il coraggio di dire che pensionati e lavoratori anziani sono gli ultimi, in Italia, a dover essere sostenuti. Ogni euro speso per consentire il prepensionamento di un lavoratore è un euro speso male, e comporta molti altri euro rubati ai giovani che quel pensionato dovranno mantenere. Questa è la semplice verità, e lo scrivo da appartenente alla categoria dei lavoratori diciamo non più giovani. Anche qui, per una volta, evito di sostenere queste affermazioni con dati analitici, anche perché ne abbiamo già pubblicati a volontà (ad esempio, qui e qui).

In sintesi: i pochi che riconoscono la necessità di mantenere in equilibrio il bilancio dello Stato, che poi determina il peso del debito che lasciamo sul collo dei giovani che a parole tanto ci stanno a cuore (e che in realtà vengono sistematicamente derubati), devono prendere chiaramente posizione contro ogni allentamento dei vincoli pensionistici e contro la “cronicizzazione” di incentivi alle imprese che non si trasformino in incrementi di produttività. A costo di portare al collo un’immaginetta di Elsa Fornero, io sono uno di questi.

santino

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