Cofferati e l’uovo di Colombo

Chi ci segue sa che ci sono argomenti sui quali noi di Hic Rhodus torniamo periodicamente, rischiando magari di stancare i lettori. Un po’ è per colpa nostra, un po’ è perché in Italia i problemi sono sempre gli stessi e non si risolvono (quasi) mai.

Uno di questi temi è quello del futuro del lavoro, sia sotto il punto di vista della progressiva perdita di posti di lavoro che l’automazione “intelligente” provocherà, sia sotto quello della ricaduta che questa disoccupazione strutturale avrà sul nostro sistema di welfare e previdenziale. In un recente articolo, ho sostenuto che in questo momento storico occorrerebbe un governo di straordinaria capacità, lungimiranza e autorevolezza, per elaborare una complessa strategia, che potrebbe forse riuscire a gestire questi problemi, ma di cui al momento non si vede traccia.

Ebbene, forse sbagliavo. In un articolo dal wertmulleriano titolo Un reddito a prescindere è un non senso. Ridare dignità al lavoro con nuove imprese e nuova occupazione, pubblicato sull’Huffington Post e scritto a quattro mani con Gaetano Sateriale, sindacalista della CGIL, Sergio Cofferati spiega con semplicità e naturalezza come risolvere alla radice il problema del lavoro. Del fenomeno per cui persone anche navigate possano lanciarsi in “sparate” fuori del mondo come questa, ha appena scritto Claudio Bezzi, e non aggiungerei nulla, mentre mi soffermerei sui contenuti dell’articolo.

Comincia con una considerazione inattaccabile: se i lavoratori si trovano spesso costretti ad accettare condizioni di lavoro e retribuzioni inadeguate, è perché ci sono troppi disoccupati, e quindi per la legge della domanda e dell’offerta il “valore di mercato” dei lavoratori si abbassa.
Da questa considerazione, gli autori derivano una conseguenza semplicissima, banale: occorre «una macro politica economica che sostenga la domanda (soprattutto interna), favorisca gli investimenti pubblici e privati e crei nuove imprese e nuovo lavoro». E, subito dopo, si chiedono: ma quale lavoro? Il bello è che si rispondono, e la risposta è «nel Welfare», ossia in «servizi alla persona e al territorio la cui domanda è cresciuta e sta crescendo esponenzialmente. Il tutto all’interno di un sistema a regia pubblica in cui concorrano imprese pubbliche e private, purché non speculative».

Ora, è chiaro che qui Cofferati & Sateriale ci prendono un po’ in giro. Se davvero esistesse una domanda di servizi in crescita esponenziale, mi sentirei di dire che ci penserebbero i privati a creare le «nuove imprese» per offrire dei servizi tanto richiesti. Ma i privati lo farebbero per profitto, e si farebbero pagare, data la loro attitudine speculativa. Non è questo che vogliono gli autori della proposta.

È facile capire di cosa i due stiano davvero parlando: di un programma che oserei definire sovietico (l’articolo lo chiama pudicamente neokeynesiano) di assunzioni pubbliche, con l’obiettivo dichiarato di assicurare la piena occupazione, in un settore stabilito a tavolino. Manca, insomma, solo un bel piano quinquennale (Claudio nel suo articolo parlava di “un piano pubblico di assunzione di badanti”).

Ecco l’uovo di Colombo: se il mercato del lavoro non garantisce un posto per tutti, la soluzione è semplice: sia lo Stato a creare quei posti, e a pagare quegli stipendi, tanto poi qualcosa da far fare a tutta quella brava gente si troverà, visto che la domanda di Welfare cresce esponenzialmente (ma non la disponibilità a pagare quei servizi). Mi sentirei di invocare l’assegnazione di un Nobel per l’Economia ai nostri eroi, se non fosse che l’idea non è del tutto originale, perché è stata perseguita per qualche decennio dai governi a guida democristiana della Prima Repubblica, che ci hanno lasciato in eredità un esercito di statali assunti per dare un posto a più persone possibile e poi diventati allegri baby-pensionati.

L’altro bersaglio di C&S, anzi direi il primo, come dimostra anche il titolo, è il Reddito di Cittadinanza. «Un reddito a prescindere è un non senso logico e politico insieme», dicono, e solo chi fosse (comprensibilmente) distratto può non capire perché per due signori con DNA da sindacalista un reddito a prescindere sia un non senso mentre un posto pubblico a prescindere sia un’ottima idea. Una ragione fondamentale è che chi prende il RdC non si iscrive ai sindacati mentre i dipendenti pubblici sì, ma in generale il RdC è inviso alla sinistra tradizionale, perché disaccoppia il lavoro dalla sussistenza.

Ed è qui che vale la pena spendere una riflessione in più. In un nostro recente articolo, abbiamo commentato un libro tutto incentrato su come affrontare una transizione inevitabile, quella per cui le politiche sociali non potranno più essere veicolate unicamente dal “lavoro”. In altre parole, nella società che si prepara, e che è molto più vicina di quel che troppi pensano, la centralità del lavoro non esisterà più. Si può accettare questa realtà, oppure ipotizzare di creare enormi serbatoi di lavoro pubblico che dovrebbero compensare i posti di lavoro scomparsi nel mercato “libero”; la scelta di C&S è chiara, anche perché la perdita di centralità del lavoro significa la corrispondente scomparsa del residuo potere dei sindacati, dei partiti “dei lavoratori”, della retorica novecentesca che accompagna tutto questo.

Intendiamoci: potenziare, anche con assunzioni, i servizi pubblici alla persona (sanità, RSA, eccetera) non è sbagliato, a patto che le esigenze di nuovo personale nascano dalla progettazione di questi servizi, e non dalla “necessità” di assumere chicchessia per contrastare la disoccupazione. Inoltre, sempre più, questi stessi servizi potranno essere potenziati e trasformati con mezzi diversi dal lavoro umano, e su questo terreno il pensiero di C&S sarà sempre irrimediabilmente obsoleto.

Non c’è niente da fare: come periodicamente osserviamo, ci sono forze sociali e politiche che non hanno altro programma che costruire una macchina del tempo e tornare nel 1970. E invece la sinistra avrebbe oggi un compito estremamente innovativo e difficile, ossia “tradurre” le tutele sociali nel linguaggio del mondo senza lavoro. È un compito arduo e c’è poco tempo per realizzarlo, perché se non si fa nulla presto le grandi aziende digitali (Microsoft, Google, Amazon…) metteranno sul mercato sistemi di intelligenza artificiale che espelleranno milioni di lavoratori dal sistema produttivo, e divideranno i profitti con gli ex-datori di lavoro. Se non si costruisce un sistema di welfare non più basato sul lavoro, la sanità, la previdenza, i servizi pubblici collasseranno perché verrà a mancare il gettito fiscale e contributivo che oggi è legato esclusivamente al lavoro umano.

Questa è a mio avviso la vera sfida che la sinistra deve affrontare; e, certamente, per affrontarla deve innanzitutto liberarsi di Cofferati, di Sateriale e di tutti gli altri nostalgici degli anni Settanta.

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