Unicredit taglia, i sindacati insorgono, lo Stato tace, noi pagheremo: tutto come da copione

C’è un film che conosciamo bene, ormai, e che in particolare durante le festività di fine anno viene messo in scena più spesso anche di Una poltrona per due. S’intitola Tanto paghiamo noi, ed è ambientato in ogni angolo d’Italia, ad esempio nell’avveniristica Torre Unicredit di Milano, il grattacielo più alto d’Italia. Da lì, dominando con lo sguardo l’affaccendata metropoli lombarda, l’AD Jean Pierre Mustier ha annunciato il piano industriale battezzato Team 23, che si ripropone di innalzare i profitti per gli azionisti grazie alla “dematerializzazione” delle procedure, realizzando, prima in Italia e poi all’estero, un innovativo modello di paperless bank.

Bello, no? Peccato che questo brillante programma di innovazione comporti tagli al personale di circa ottomila posti, di cui 5.500 in Italia, dove saranno chiuse 450 filiali. Dopo questo annuncio, il secondo atto del copione prevedeva un’indignata reazione dei sindacati, che non s’è fatta attendere: secondo Maurizio Landini, segretario della CGIL, «Il lavoro non può essere considerato una merce che si prende quando serve e si butta quando fa comodo. Unicredit annuncia 8mila esuberi e chiude i primi nove mesi con un utile di 4,3 miliardi. Questo non è fare impresa, è essere irresponsabili. Non lo possiamo accettare. Il governo non può accettarlo». Ecco, il governo: Landini, da attore consumato, annuncia il terzo atto.

E il terzo atto, lo sappiamo già, consiste nell’aprire un tavolo di crisi al Ministero, dove si fingerà di discutere di politica industriale e si contratterà, in realtà, su quanti soldi pubblici dovranno essere spesi sotto forma di ammortizzatori sociali, agevolazioni e simili per “accompagnare” il piano di tagli. Il finale del dramma è noto, in perfetto stile della commedia dell’arte: il povero Pantalone, pardon, il contribuente, viene preso a bastonate tra le risate generali, mentre azienda, sindacati e governo esprimeranno la loro soddisfazione per aver trovato un accordo che “tutela tutti”.

Mai che qualcuno dica che aziende, sindacati e governi da anni fanno finta di ignorare la realtà, aspettando deliberatamente il momento per gestire le “crisi” in un permanente assetto emergenziale, quando tutti sanno benissimo che non si tratta di emergenze ma di fenomeni prevedibilissimi. Lo scriveva a chiare lettere ieri Claudio Bezzi, concentrandosi sul ruolo dei sindacati, ma si tratta di considerazioni che valgono per tutta la nostra classe dirigente. Persino un blog non “specializzato” come Hic Rhodus ha pubblicato quasi tre anni e mezzo fa un articolo intitolato Le banche: cambiare o fallire? in cui dicevamo chiaramente che tutti sapevano che nel settore ci sarebbero stati pesanti tagli occupazionali. Se la gente in banca non ci va più, vogliamo obbligarla? A che servono filiali dove non entra nessuno? Lo sanno tutti da almeno dieci anni che il modello della banca con presenza capillare sul territorio è morto. Eppure, oggi Unicredit presenta un piano già confezionato, il sindacato casca dalle nuvole, e il governo tace, nell’attesa di buttare dalla finestra qualche miliardo dei contribuenti, cioè nostro.

E non illudiamoci: non stiamo parlando solo di banche. L’automazione e l’intelligenza artificiale, Claudio e io lo scriviamo da anni, hanno appena cominciato a far sentire il loro peso sull’occupazione. Ripetiamo quello che abbiamo scritto più volte: l’intelligenza artificiale e la “robotizzazione” dei processi cancelleranno, secondo stime grossolane ma ragionate, la metà degli attuali posti di lavoro, da sostituire (forse) con lavori tutti ancora da inventare. Non è una questione limitata a Unicredit, o al sistema bancario: o ci decidiamo a capire che l’attuale sistema produttivo verrà terremotato nell’arco di un paio di decenni, oppure ci ritroveremo con venti milioni di cassintegrati e nessuno a pagarli. E forse a quel punto si troveranno senza stipendio anche i brillanti attori che in Italia recitano la parte di sindacalisti e ministri.

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