Autore: Claudio Bezzi

Mandrakista. Detesto gli ideologismi, i populismi, i discorsi politicamente corretti. Ho anche un blog di racconti, Kafka srL: kafkasrl.wordpress.com
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Dal Bel Paese alla Terra dei fuochi

 

del bel paese là dove ‘l sì suona

Dante, Inferno, XXXIII, 80

Voi, che non siete più giovani, vi ricordate il paesaggio italiano 50 anni fa, o anche solo 40? Vi racconto di quando venni in Umbria la prima volta, a metà degli anni ’70. Arrivai in autostop con quella che poi sarebbe diventata mia moglie e il penultimo passaggio mi lasciò subito a sud di Gualdo Tadino. Vi potrei portare nel punto preciso in cui scesi dalla macchina e vidi per la prima volta l’Umbria in quel tardo pomeriggio autunnale. Lo sbalordimento di quella bellezza mi stordì, e riuscii solo a mormorare “**!!* voglio vivere qui!”. Ricordo i paesaggi, che in Umbria sono sempre stati molto antropizzati, a causa della sua storia, ma più belli di quelli toscani (per me, ovviamente, per me!) perché più selvaggi, meno addomesticati. Il digradare delle colline, il lago… i boschi ovunque… Se adesso venite in Umbria trovate un paesaggio punteggiato da cave e capannoni, un susseguirsi di case e casette e casupole intramezzate da box e capannette e attività un tempo produttive (la crisi…), strade riempite da rotonde e svincoli stradali disegnati da geometri ubriachi. L’Umbria da cartolina, che con intelligenza potrebbe vivere di turismo, ottimo vino e buona cucina (oltre che di artigianato e aziende di eccellenza internazionale), non esiste più da tempo e lo slogan “Cuore verde d’Italia” urla la sua vergogna a chi, come me, ama questa terra.

Dal sindacalismo al consociativismo

Il 14 Ottobre 1980 si svolse a Torino la cosiddetta marcia dei 40.000, una manifestazione di quadri e impiegati (ma anche operai) che intese protestare contro il prolungato sciopero indetto dalla FLM (la vecchia sigla unitaria dei sindacati metalmeccanici) contro la Fiat. Lo sciopero comportò, fra l’altro, l’organizzazione di picchetti per impedire ai lavoratori di entrare in fabbrica, e questo atteggiamento fu una delle principali ragioni di protesta. Quella marcia, di così rilevanti e inattese proporzioni, indusse la FLM a chiudere precipitosamente la vertenza, sancì la nascita di un sindacalismo dei colletti bianchi e, più importante, evidenziò la miopia sindacale che non previde né seppe gestire questa manifestazione prepotentemente anti-sindacale, ovvero contro un certo atteggiamento esclusivo (operaistico), rigido (i picchetti, il blocco delle merci) e – secondo i manifestanti – antidemocratico. Al di là delle analisi partigiane del momento (sindacato e PCI si affrettarono a denigrare la manifestazione giudicandola un’iniziativa pilotata dalla Fiat), analisi accurate successive ci consegnano un quadro molto diverso e articolato che ci consente di ritenere questo come forse il primo significativo momento di scollamento fra il sindacato e la società, il sindacato e la sua capacità di proporsi come portatrice di valori del lavoro generali, se non proprio universali. Una grande sconfitta sindacale dopo anni di lotte vittoriose ed egemoni, e l’inizio di una nuova stagione di relazioni industriali.

Perché abolire le Province (per iniziare).

[I dati qui presentati sono stati aggiornati con un post del 21 Marzo 2018]

Il dibattito in corso sull’abolizione delle Province è falsato artatamente da alcuni critici. Assistiamo in particolare all’alleanza fra sostenitori del mantenimento delle Province (per esempio molti di coloro che fanno politica in questo ambito) e antigovernativi a oltranza, o meglio anti-renziani, che nella migliore tradizione della politica italiana sono contro a prescindere; costoro propongono argomenti limitati e dati parziali che mostrerebbero l’irrisorio risparmio e l’inutilità semplificativa di questa riforma. A me pare che questi due argomenti non siano ben impostati, e che ne manchi un terzo che invece costituisce l’elemento centrale della riforma (se inquadrata – come dirò – in un disegno più generale), ovvero quello della diminuzione dei centri amministrativi e di potere a vantaggio di una semplificazione funzionale di sistema.

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Il giusto equilibrio (con alcune risposte su Verità e Bene)

 

stavamo giusto sforzandoci di definire il concetto di verità e facevamo pure dei progressi

Günter Grass, Il tamburo di latta

Il terzo articolo del trittico, dopo quelli sulla Verità e il Bene riguarda, come già annunciato, il |Giusto|. E già dal titolo avrete capito che non intendo certo “Il Giusto” in un suo possibile significato assoluto (come “la Giustizia Divina”) ma in uno, assai più modesto, che per sua natura impone immediatamente la domanda “giusto per chi?”, “giusto in che senso?”, “giusto in quali circostanze?”. Insomma, un “giusto relativo”, o se preferite ciò che è adeguato, opportuno, necessario alla luce delle conoscenze e possibilità… Se, come spero, avete letto i testi precedenti, avrete capito che tutta la discussione da me posta ha a che fare con due concetti semplici da enunciare ma complessi da comprendere appieno nelle loro devastanti conseguenze pratiche:

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Essere di destra o di sinistra?

 

Siccome predicava la fraternità ai conservatori e il rispetto delle leggi ai socialisti, i primi lo avevano preso a fucilate e gli altri avevano preparato la corda per impiccarlo. Gustave Flaubert, L’educazione sentimentale. Storia di un giovane

Potrei scommettere che tranne una minoranza di disaffezionati, ciascuno di voi ha un’idea precisa sulla sua collocazione, nell’arco politico, a destra oppure a sinistra. Ciascuno di voi; tranne chi si dichiara non di destra e non di sinistra più che altro per tattica politica. Sembriamo tutti molto innamorati di queste appartenenze e raramente le mettiamo in dubbio. Cosa che invece farò puntualmente in questo post dove cercherò di discutere:

  1. il fatto che ‘destra’ e ‘sinistra’ sono concetti che soffrono di retaggi ideologici del ‘900, non più attuali e da rifuggire;
  2. che – esistendo comunque una ‘destra’ e una ‘sinistra’ – vanno reinterpretate in chiave attuale, pena il restare ingabbiati entro pensieri sterili e poco funzionali;
  3. e che infine è sciocco trovare forti sensi di appartenenza in queste categorie che vanno lette in maniera “leggera”, descrittiva e non vincolante, non passionale, non fondativa della nostra identità profonda.

Le parole sono pietre. Ma non è detto che siano chiare

Le parole, in fondo, non servono. Tenersi a lungo per mano, questa era una vera consolazione, perché sono poche le persone che sanno davvero parlare, e ancora meno sono quelle che hanno veramente qualcosa da dire.

Zhang Ailing, La storia del giogo d’oro

In un post precedente ho mostrato come le parole possano ingannare, anche in relazione ai valori dominanti dell’epoca che veicolano determinate parole e concetti. Negli ambiti professionali di cui mi occupo (programmazione e valutazione delle politiche pubbliche) ci sono tantissimi esempi eclatanti di concetti dai significati ambigui e molteplici (|Obiettivo|, |Qualità|, |Partecipazione|, |Indicatore|…) che vengono impiegati comunemente nella costruzione di importanti politiche sociali ed economiche ma che sono oggetto di interpretazione piuttosto diversa (ne ho parlato altrove, e non mi dilungherò).

Qui vorrei proporre le ragioni complesse dell’ambiguità del linguaggio perché le conseguenze di tale ambiguità non riguardano solo ambiti tecnici e professionali, ma la nostra vita quotidiana, e quindi le nostre relazioni, la politica, il giornalismo, l’interpretazione dei fatti quotidiani.

Tutto quello che trovate su Internet potrebbe essere falso

Il 10 Marzo 2014 è uscito un filmato in Rete, First Kiss, dove si vede una serie di coppie (incluse gay, perché i produttori sono politicamente corretti) che si incontrano per la prima volta e devono baciarsi: imbarazzo, sguardi per terra, risatine nervose e poi la magia del bacio.


Questo filmatino di esatti 3’30’’, girato in b/n da Tatia Pilieva, non solo ha raccolto 37 MILIONI di visualizzazioni al momento in cui scrivo (cioè in tre giorni, e saranno molte di più mentre voi leggete) ma ha circolato su tutti i quotidiani del mondo con parole entusiastiche, romantiche, elogiative fino a stamattina quando l’incantesimo è stato rotto.

Le parole e il potere

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Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti

Karl Marx e Friedrich Engels, Ideologia tedesca

Come avranno capito i lettori di Hic Rhodus mi piace ragionare sul significato di ciò che diciamo, considerando che ciò che diciamo è spesso ambiguo e impreciso. Vi propongo allora un primo post – di due – su quale sia la forza del linguaggio nella costruzione del nostro mondo sociale e, assieme, su quale sia la sua debolezza.

Questo primo post racconta di come le parole ingannino, ma non in maniera casuale bensì in funzione della cultura dominante della quale siamo permeati. Siete pronti?

Il pensiero razionale nell’epoca della sua annichilazione tecnica

Me lo sono andato subito a rileggere. Un  piccolo saggio di Walter Benjamin, dal titolo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, contenuto in una piccola raccolta con lo stesso titolo.

Diceva Benjamin (nel 1936, pover’uomo, badate bene) che ogni opera d’arte, in quanto unica, possiede una sorta di “aura” che viene percepita dal fruitore dell’opera e che è la vera fonte del godimento estetico. La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte fa decadere tale aura, la corrompe, e nel mentre la riproducibilità consente a masse maggiori di persone di avvicinarsi all’opera, la sua reale godibilità viene di fatto limitata dalla scomparsa dell’aura.

Mi viene in mente Benjamin dall’improvvisa riflessione sul dilagare dell’editoria digitale

Darwin assediato dai creazionisti

[I dati qui presentati sono stati aggiornati con un post del 21 Marzo 2018]

Ho visto ieri sera un vecchio film del ’60 di Stanley Kramer che in italiano si chiama … e l’uomo creò Satana (titolo orribile, anche se in effetti è una citazione dal film) mentre l’originale inglese è Inherit the Wind (citazione biblica: Proverbi, 11:29: He that troubleth his own house shall inherit the wind:/ and the fool shall be servant to the wise of heart); con uno Spencer Tracy in forma nel ruolo dell’avvocato liberale e uno spettacoloso Gene Kelly nel ruolo del giornalista che gioca a fare il cinico. Il film riprende un’opera teatrale di qualche anno prima, che si rifaceva a sua volta a un caso giudiziario reale avvenuto nel 1925 in Tennessee dove un professore, John T. Scopes, venne accusato di avere insegnato ai suoi scolari l’evoluzionismo darwiniano, contrariamente alle leggi dello Stato che imponevano le tesi creazioniste. “Imponevano”, capito?

L’importanza della classificazione nel pensiero sociale

La classificazione è un pilastro del pensiero sociale, importante e complesso anche se agito il più delle volte inconsapevolmente. Dire “Bezzicante è simpatico” significa utilizzare una forma grossolana di classificazione, relativamente alla proprietà |simpatia|, attribuendo al caso Bezzicante lo stato “simpatico” (entro una gamma di scelta che poteva essere, per esempio, Molto antipatico, Antipatico, ‘na mezza roba, Simpatico e Molto simpatico). Naturalmente usiamo le classificazioni continuamente e in maniera assai più articolata, e la capacità di costruire classificazioni efficaci è un pilastro del pensiero razionale e scientifico.

Ma classificare è difficile; molto difficile.

Verità e relativismo

1534_Cranach_Die_Fabel_vom_Mund_der_Wahrheit_anagoria

Pierre fu colpito dall’infinita varietà degli intelletti umani, la quale fa sì che nessuna verità appaia in modo eguale a due persone diverse.

Lev Nikolaevic Tolstoj, Guerra e pace

Questo post parla del concetto di |verità| per sostenere che il concetto è pericoloso e probabilmente la verità non esiste. Fa parte di un trittico noiosissimo che includerà anche |Bene| e |Giusto| e che scrivo per mettere, anche qui su Hic Rhodus, i tasselli fondamentali della comprensione del nostro agire sociale ideologico; e quindi limitato ed eterodiretto. Ciò che sosterrò in questo trittico è che siamo spesso legati a preconcetti, idee demagogiche, retoriche quando non irreali ma molto potenti, che limitano fortemente la nostra capacità di giudizio e, conseguentemente, d’azione. Oltre che di una qualche utilità pratica quando andiamo a fare la spesa o guardiamo la TV, mettere in discussione in concetto di verità ha molta importanza quando parliamo di grandi scelte collettive (cosa sia meglio fare per aumentare il benessere della popolazione) e quando esercitiamo il nostro agire politico. In politica tutti siamo “di parte”; ma si può essere di parte contrapponendo argomenti oppure brandendo una qualsivoglia verità. Ed è chiaro che nessun argomento ha una probabilità minima di scalfire una Potente Verità Assoluta. Ecco perché affronto questo argomento. Perché siamo un popolo molto innamorato della verità, anche se ne sposiamo una diversa ogni qualche decennio, e questo ci rende immobili, vecchi, stanchi, astiosi.

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Il corpo delle donne è rivoluzionario

 

If I had breasts, I’d bare them in solidarity with Amina. Those women who are doing so are heroes. Support them

Richard Dawkins

Avete mai corso nudi a sostegno dei malati di orzaiolo? O partecipato a una biciclettata, tutti rigorosamente nudi, per protestare contro l’estinzione del grillotalpa argentino? Nooo? Avrete almeno fatto un calendario nudi a difesa della popolazione Kwakiutl!! Se non avete mai fatto cose così siete ormai una minoranza. Un giorno sì e un giorno no sui nostri quotidiani appaiono notizie di nudità esibite da normali cittadini (generalmente del Nord Europa e America, noi mediterranei siamo più pudichi) per le ragioni più disparate; sorrisi gioiosi, celluliti in mostra senza vergogna, cause nobilissime. Tranne che nel caso delle Femen ovviamente: belle e arrabbiatissime. Non ricordo di preciso quando sia iniziata questa moda; ormai è qualche anno ma non poi moltissimi. All’inizio forse facevano scandalo e, conseguentemente, raggiungevano lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi che stavano a cuore ai nudisti; ormai sono relegate fra le notizie minori.