Essere di destra o di sinistra?

 

Siccome predicava la fraternità ai conservatori e il rispetto delle leggi ai socialisti, i primi lo avevano preso a fucilate e gli altri avevano preparato la corda per impiccarlo. Gustave Flaubert, L’educazione sentimentale. Storia di un giovane

Potrei scommettere che tranne una minoranza di disaffezionati, ciascuno di voi ha un’idea precisa sulla sua collocazione, nell’arco politico, a destra oppure a sinistra. Ciascuno di voi; tranne chi si dichiara non di destra e non di sinistra più che altro per tattica politica. Sembriamo tutti molto innamorati di queste appartenenze e raramente le mettiamo in dubbio. Cosa che invece farò puntualmente in questo post dove cercherò di discutere:

  1. il fatto che ‘destra’ e ‘sinistra’ sono concetti che soffrono di retaggi ideologici del ‘900, non più attuali e da rifuggire;
  2. che – esistendo comunque una ‘destra’ e una ‘sinistra’ – vanno reinterpretate in chiave attuale, pena il restare ingabbiati entro pensieri sterili e poco funzionali;
  3. e che infine è sciocco trovare forti sensi di appartenenza in queste categorie che vanno lette in maniera “leggera”, descrittiva e non vincolante, non passionale, non fondativa della nostra identità profonda.

Cominciamo col dibattito attuale, che ci coinvolge in famiglia, al bar, sui social… Per quelli di sinistra la candidatura di Tsipras , per esempio, è la risposta alla burbanza della destra burocratico-bancaria europea; ma non per tutti quelli di sinistra, solo quelli di sinistra-sinistra (che infatti hanno problemi di “purezza” dei candidati in lista). Quelli di sinistra e basta pensano che Civati sia più di sinistra di Renzi; anzi, Renzi non è mica detto che sia di sinistra! A destra i Fratelli d’Italia sì che sono di destra-destra, mica Berlusconi! Anche Alfano è di destra, se no non si chiamerebbe “Nuovo Centro-Destra”, ma appunto è inquinato da quel “centro” che lo indica come “moderato”, uno che tendenzialmente sta in mezzo e mica ci si può fidare del tutto! I sociologi hanno studiato da decenni l’uso delle etichette, se non proprio degli stigma sociali, e anch’io ne ho parlato su Hic Rhodus non molto tempo fa discutendo della funzione sociale della classificazione (Destra/Sinistra è una tipica classificazione politica) e non torno quindi su questo argomento per affrontarne invece uno più specifico e assai scomodo che potrei intitolare così: ha ancora senso parlare così appassionatamente di destra e sinistra, di valori fondativi antitetici che si affrontano all’ultimo sangue nell’arena politica? La mia risposta è “No”. Non ha molto senso, o almeno non come lo si crede; cercherò di spiegarlo per poi concludere comunque che una differenza esiste (ed è importante), ma deve però essere intesa in modo differente dall’usuale, e se vogliamo guardare avanti dobbiamo interpretare assai diversamente le ideologie. Poiché questo è solo un blog, e non conta per la preparazione dell’esame di Scienza della Politica di Sartori, mi permetterete di semplificare in questo modo le idee-chiave di ‘destra’ e ‘sinistra’ per come trasmesse di generazione in generazione per tutto il ‘900 fino ai giorni nostri:

  • ‘destra’ (più che altro nel senso di liberismo economico) = Benessere individuale come valore, e quindi accento sulle libertà individuali specie economiche; minima ingerenza dello Stato nella vita dei cittadini e, in particolare, nelle questioni economiche (la famosa “mano invisibile” che auto-regolerebbe lo sviluppo); di converso, forte autoregolazione morale (dovere, famiglia, religione, patria…);
  • ‘sinistra’ (più che altro nel senso di socialismo e comunismo) = Accento sulla distribuzione delle risorse per garantire uno standard medio a tutti i cittadini; forte presenza regolatrice dello Stato anche in economia ma specialmente nella garanzia dell’equità sociale; di converso, tendenza alla minore rigidità morale (morale sessuale più libera, presenza di ateismo e agnosticismo, scarso nazionalismo…).

Poi naturalmente potete espandere queste succinte definizioni: ‘destra’ non è solo liberismo ma anche liberalismo (concetto con differenze rilevanti), e quindi le libertà individuali non sono solo quelle economiche ma anche politiche, artistiche, sociali in genere. L’idea di “merito” è centrale ma la meritocrazia tende a scivolare verso una certa indifferenza per chi meriti non sembra averne che rischia, di conseguenza, l’emarginazione. L’individualismo che facilmente diventa centrale in queste concezioni porta a equivocare i meriti individuali con le fortune sociali, a disprezzare il popolo ignorante, a diventare arroganza e poi diritto, con le conseguenze tragiche viste nella prima metà del secolo scorso. D’altra parte ‘sinistra’ non è solo equità sociale ma anche garanzia delle condizioni di partenza nella convinzione che se tutti sono sani, studiano e cooperano la società trovi impulso e sviluppo senza sopraffazione. Ma la forzata socialità annichilisce l’individualismo, spesso bandito come debolezza borghese (un insulto ingiurioso) e deresponsabilizza portando a forme di stagnazione economica e culturale viste sempre nel secolo scorso. Da qui a stigmatizzare i diversi (i più creativi, non solo i più ribelli) e a imputare loro le colpe del ritardo nel sorgere del Sol dell’Avvenire, il passo è breve e i gulag si preparano in fretta. Insomma: la destra ha dei valori importanti ma conduce a potenziali ingiustizie sociali e – se estremizzato – un certo tipo di dispotismo elitario; e la sinistra ha dei valori importanti ma conduce a potenziali irrigidimenti economico-sociali e – se estremizzato – a un certo tipo di dispotismo (presunto) collettivista (ma in realtà anch’esso elitario, sia pure diverso dal precedente). Le soluzioni proposte e sperimentate specie a partire dal secondo dopoguerra sono note: socialdemocrazie (e/o liberaldemocrazie) temperate, virtuose, meritocratiche, capaci di contemperare la libertà di mercato e il merito individuale con la solidarietà dello Stato sociale e la garanzia di una partenza uguale per tutti (scolarizzazione e sanità di massa). Una buona parte dell’Europa centrale e del Nord, Gli Stati Uniti e i Paesi di tradizione anglosassone hanno imboccato in forme diverse e non sempre senza contraddizioni anche gravi questa strada. I partiti si confrontano con programmi più o meno “liberisti”, più o meno “sociali”, e governano con atti concreti che i cittadini sono in grado di comprendere e valutare. Atti. Politiche. Interventi. Leggi. Soldi spesi e rendicontati. Non chiacchiere. Non ideologie. Chiacchiere, mancata rendicontazione e ideologie che invece resistono in democrazie incompiute e immature come quella italiana. Lungi da me annoiarvi con spiegazioni storiche sul perché quella italiana sia una democrazia immatura (sì, storiche; la condizione italiana è mirabilmente comprensibile conoscendo la sua storia!), semmai dedicherò un futuro post sull’argomento, ma classifiche, statistiche e indicatori internazionali questo attestano, e che l’Italia sia un Paese strutturalmente, economicamente e socialmente debole mi pare sia convinzione diffusa. Una delle ragioni – non l’unica – è il nostro essere ancorati alle ideologie del ‘900, quella destra dura e pura o quella sinistra nobile ed eroica che ci hanno contrapposti in tutto il ‘900 e che oggi, in quelle forme, non avrebbero proprio ragion d’essere. Non ci sono più il pericolo sovietico né quello nazista; la classe operaia è ormai da preservare in qualche riserva prima che sparisca del tutto, poiché l’industria manifatturiera è cambiata e quote preponderanti dell’economia si fondano su finanza e servizi; il nazionalismo esasperato ha pochissime ragioni d’essere come anche l’internazionalismo degli anni ruggenti, spazzate via dalla globalizzazione che è un’altra cosa… (come questo si rifletta in negativo sui partiti e le loro modalità di azione ne ho parlato tempo fa). Le ideologie sono semplificazioni astratte di modelli politico-sociali. Le ideologie (non nel senso originario settecentesco, ma in quello di fine ‘800 e del ‘900) erano conformi alla comunicazione necessariamente semplificata dell’epoca. Alla classe operaia che faticava e moriva in miniera prima e si alienava nelle catene di montaggio dopo non potevi andare a fare discorsi sofisticati sulla società liquida o sul pensiero debole ma dovevi dare una speranza, una parola d’ordine, un sistema concettuale semplice e visibilmente ancorato alla realtà: sei sfruttato, il tuo lavoro è espropriato dal padrone cattivo, solo i tuoi compagni – che condividono questa condizione – ti possono capire e solo con loro puoi costruire una società di uguali, dove regneranno giustizia, uguaglianza e benessere. Punto. Il Marx politico (molto più rozzo del Marx economico e assolutamente di più del Marx sociologo) questo diceva. Con la grande truffa di Engels (che stravolse le idee originarie di Marx) quel pensiero diventa “legge”, molto opportuna per le ambizioni di Lenin, poi per quelle di Stalin, poi per quelle di Mao, e via che diverse decine di milioni di controrivoluzionari veri o presunti sono stati ammazzati. dittatori [Fonte della figura. In realtà questa figura è più suggestiva che attendibile; per stime più affidabili si può leggere QUI] Ma torniamo al nocciolo dell’ideologia comunista: davvero la troviamo adatta, attuale, praticabile? Davvero la dittatura del proletariato? Davvero l’internazionalismo? Davvero il collettivismo? (Per l’analoga disamina delle ideologie della destra arrangiatevi da soli). Una persona che stimo molto mi ha fatto riflettere ricordando i milioni di persone che hanno creduto a queste ideologie e semmai sono morte per esse, e può darsi che la cosa faccia pensare anche voi. Gli operai sindacalizzati che sono finiti nelle patrie galere per difendere i diritti dei lavoratori fra ‘8 e ‘900 (e mio nonno era fra loro), i partigiani e gli antifascisti trucidati e internati, gli operai che hanno difeso le loro fabbriche dai nazi-fascisti, le battaglie per il lavoro e la dignità, per i diritti dei lavoratori… Tutte cose vere, reali, nobili. E passate. Finite. Quelle battaglie sono state necessarie cento, cinquanta, trenta anni fa. Necessarie per i nostri nonni e padri e, sia chiaro, necessarie per portarci a una società più giusta ed evoluta di cui oggi godiamo. Ma oggi non siamo nell’800, non siamo nel 1950 e non siamo neppure nel 1970. Ognuno vive la sua epoca, la interpreta, la agisce. Onestamente oggi non vedo né Civati né Vendola combattere quelle stesse battaglie, semplicemente perché non c’è l’oggetto del contendere (Civati e Vendola lo sanno, semmai occorre avvertire Ferrero e Diliberto…). Oggi le ingiustizie sociali sono drammatiche, diffuse, plumbee ma sono diverse e occorrono nuove categorie capaci di spiegare il mondo, nuovi strumenti per l’azione contro diseguaglianze, nuove alleanze per la costruzione di strategie che abbiano la possibilità di incidere nel mondo. Ma soprattutto servono nuove idee, una nuova visione del mondo che non resti intrappolata, ingabbiata, circoscritta entro parole d’ordine obsolete, visioni improbabili del futuro, inconsapevolezza del mondo. Pochi esempi:

  • Taranto e l’ILVA (di cui non si parla più molto, vero?) è un dramma causato dalla borghesia rapace, dal sindacato connivente o dalla sinistra al governo locale desiderosa di pace sociale?
  • Le missioni militari sotto l’egida dell’ONU sono una forma di neocolonialismo fascista o di generoso impegno terzomondista?
  • I No-TAV sono i nuovi Robin Hood che difendono i diritti di una popolazione maltrattata o i campioni esemplari del NIMBY? (Il tema apre al localismo al di là della Val Susa, ovviamente; per esempio alla Padania…).
  • L’uguaglianza è compatibile col merito oppure no?

Attenzione perché la vera domanda è però la seguente:

  • Avete risposto d’impulso sulla base di schemi mentali, valori taciti e senso di appartenenza oppure ci avete pensato, soppesando i pro e i contro?

Perché se avete risposto d’impulso è probabile che la vostra sia una risposta ideologica, ovvero una risposta pensata da altri, espressa con parole altrui, un cliché… E come si conviene, dopo la pars destruens ecco la pars construens; ovvero: in cosa sopravvivono i concetti di destra e sinistra, privati dall’ideologismo? Se questo paragrafo mi viene bene mi candido a un qualche Nobel, al Pulitzer, o quanto meno a un brindisi da parte dei miei lettori, perché il rischio di spalmare i miei personali cliché su indicazioni presunte universali è fortissimo. Diciamo allora che scelgo un metodo di basso profilo: partire dai vecchi concetti come indicati sopra cercando semplicemente di renderli attuali e privi di sovrastrutture stereotipate. Per cui:

  • destra (moderna, non autoritaria) = prevalenza dell’azione: costruire, intraprendere, rischiare; da cui:
    • accento sull’impresa (si apprezza chi fa, esponendosi personalmente, pensando che grazie al suo rischio ne tragga beneficio tutta la società);
    • merito; da cui:
      • individualismo;
      • elitismo;
      • esclusione;
    • poche regole “esterne”, poca burocrazia, poco Stato (sussidiarietà minima);
    • molte regole “interne”, morale più rigida, simboli identitari…
  • sinistra (moderna, non autoritaria) = prevalenza del pensiero: ascoltare, dialogare, condividere; da cui:
    • accento sul lavoro e sui lavoratori (si “con-divide” la condizione dei meno privilegiati);
    • solidarietà; da cui:
      • egualitarismo;
      • rappresentanza;
      • inclusione;
    • regole da fonte terza, sovra-individuale (come garanzia collettiva): burocrazia e Stato (sussidiarietà ampia);
    • (parziale…) tolleranza verso la trasgressione delle regole, morale meno rigida.

Adesso prendete due o tre problemi attuali a caso, e ragionate in termini di risposte; è assai probabile che le risposte che avete in mente raccolgano sia elementi di destra che di sinistra, oppure a volte di destra e a volte di sinistra. Per esempio io sono assolutamente a favore della sburocratizzazione delle attività imprenditoriali e per la flessibilità anche in uscita dei lavoratori (questo è un pensiero di destra?) ma a fronte di un impegno reale e non di mera propaganda a favore dei lavoratori, loro formazione continua vera e reddito minimo garantito (questo è un pensiero di sinistra?). Credo che serva una riforma elettorale che non faccia scomparire dal Parlamento le minoranze e le loro idee (questo è un pensiero di sinistra?) ma che lasci loro un ruolo di stimolo e controllo impedendo l’ingovernabilità ricattando dall’interno delle coalizioni (questo è un pensiero di destra?). Io penso che dobbiamo essere aperti e solidali verso gli immigrati che fuggono le guerre e la miseria sbarcando sulle nostre coste (questo è un pensiero di sinistra?) ma mi sembra sciocca e pericolosa l’idea di uno ius soli generalizzato (questo è un pensiero di destra?). Né destra né sinistra, quindi? No, affatto. Io personalmente sono più sensibile ai temi dell’inclusione e credo che lo Stato debba avere un ruolo regolatore importante, credo nella condivisione del pensiero e nel dialogo e mi batto per i diritti civili individuali, e questo fa di me un uomo sostanzialmente “di sinistra”. Ma credo fortemente nel merito e nella responsabilità individuale, e sarei più che disponibile, se competesse a me decidere, ad accogliere proposte ragionevoli “di destra” su questi temi. Fuori dagli schemi ideologici. Postilla importante. Sono stato necessariamente schematico, e vedete come questo post mi sia ugualmente venuto lunghissimo. Ma almeno questa precisazione la devo fare: se pensate ad alcuni partiti e personaggi politici del nostro sfortunato Paese li collochereste a fatica in uno dei due schemi destra/sinistra sopra tratteggiati; le ragioni sono probabilmente due: i tatticismi bizantini in cui la nostra classe politica è specializzata, per cui molti (non tutti) son disponibili a dichiarare qualunque cosa e il suo contrario secondo lo spirar del vento; e le appartenenze familistiche, claniche, massoniche e religiose che li porta (alcuni) a vedere il mondo secondo ottiche rigidissime. Risorse minime: