Il Web è dominato dalle fallacie logiche che sostengono bufale, complottismi e disinformazione. Un rischio concreto alla formazione di una corretta opinione pubblica.

Linguaggio dal punto di vista linguistico e sociolinguistico. Cliché linguistici. Effetti distorsivi del linguaggio.
Il Web è dominato dalle fallacie logiche che sostengono bufale, complottismi e disinformazione. Un rischio concreto alla formazione di una corretta opinione pubblica.
Il caso delle cicciottelle del tiro con l’arco è un caso di studio comunicativo di discreto interesse. Il fatto: il quotidiano sportivo QS titola “Il trio delle cicciottelle sfiora il miracolo olimpico”. Apriti cielo! Contestazioni sui social e protesta della federazione del tiro con l’arco; conseguenza: immediatamente rimosso il direttore della testata.
Le parole non hanno più lo stesso significato di una volta (Raymond Queneau, Zazie nel metró)
Dacia Maraini sul Corriere si lamenta dello scontro verbale ingiurioso che domina la scena, politica e sociale, e auspica regole più severe, censure, condanne. Mi fa un po’ pena questa signora della scrittura, premio Strega, figlia di studiosi, cosmopolita, cresciuta in un periodo in cui la parola di grandi intellettuali, in Italia, contava eccome;
Oggi, come tutti sappiamo, è il giorno in cui vengono inventate e diffuse le più ingegnose e scherzose “bufale” che spesso, o perché ci crediamo o perché ci piacciono, contribuiamo a far circolare, magari commentandole come se fossero vere.
Forse qualcuno di noi se ne vergogna, ma credo di non sbagliare se affermo che a tutti è capitato, almeno una volta, di cascare clamorosamente vittima di un Pesce d’Aprile; è quindi lecita, se non inevitabile, la domanda “Ma come mai la gente ci crede?”
Vi propongo un gioco sadico (voi sarete le vittime). Qui di seguito trovate dieci frasi, più o meno celebri, sull’amore, la bontà, la vita. Vi invito a leggerle meditandole un pochino. Vi ispirano? Vi sembrano – come vorrebbero essere – perle di saggezza? Ma, specialmente: riuscite a indovinare chi li ha pronunciate?
L’ennesima volgarità in Parlamento mi ha fatto cadere le braccia. Il fatto è noto: nella concitazione della discussione sull’art. 2 del ddl Boschi il senatore Barani ha rivolto il volgare gesto del rapporto orale all’indirizzo della grillina Lezzi. La senatrice Taverna, per protestare verso il gestaccio segnalandolo al presidente Grasso l’ha a sua volta platealmente mimato (e mi stupisce che tutti i senatori in coro, chi per dileggio e chi per protesta, non si siano messi a replicare centinaia di volte quella simbolica fellazio, come un’ola divertente ma più moderna, più parlamentare).
nulla si compie se non s’apre bocca.
(Euripide, Supplici)
In questo post vorrei sostenere che, a differenza del linguaggio ordinario, quello poetico non può mentire. Ciò significa, naturalmente, che quello ordinario può farlo, è adatto, è quasi programmato per la menzogna e la simulazione, e devo necessariamente prima argomentare quest’affermazione così radicale. Anche per discutere sulla mendacità del linguaggio dovrei spiegare molte cose su come funziona, e in particolare su quella che si chiama funzione perlocutoria, ma fortunatamente su questo ho già scritto diverse cose cui rinvio gli interessati:
stavamo giusto sforzandoci di definire il concetto di verità e facevamo pure dei progressi
Günter Grass, Il tamburo di latta
Il terzo articolo del trittico, dopo quelli sulla Verità e il Bene riguarda, come già annunciato, il |Giusto|. E già dal titolo avrete capito che non intendo certo “Il Giusto” in un suo possibile significato assoluto (come “la Giustizia Divina”) ma in uno, assai più modesto, che per sua natura impone immediatamente la domanda “giusto per chi?”, “giusto in che senso?”, “giusto in quali circostanze?”. Insomma, un “giusto relativo”, o se preferite ciò che è adeguato, opportuno, necessario alla luce delle conoscenze e possibilità… Se, come spero, avete letto i testi precedenti, avrete capito che tutta la discussione da me posta ha a che fare con due concetti semplici da enunciare ma complessi da comprendere appieno nelle loro devastanti conseguenze pratiche:
In post precedenti abbiamo suggerito l’idea che “abitare” Internet possa significare, già oggi o più verosimilmente in un prossimo futuro, acquisire un nuovo tipo di cittadinanza, la cittadinanza digitale, e abbiamo cominciato a esplorare alcuni degli aspetti che inevitabilmente una simile cittadinanza dovrebbe avere, per capire se e come ci stiamo avvicinando a un’ipotesi di questo tipo.
Dopo aver parlato di diritti fondamentali e di valuta digitale di scambio, oggi vorremmo toccare, sia pure superficialmente, il tema del linguaggio: esiste un linguaggio di Internet, con delle sue specificità e una sua riconoscibilità, delle convenzioni e dei costituenti non riducibili a quelli delle lingue ordinarie che parliamo nel mondo “reale”? E, più importante di tutto, queste caratteristiche sono integrate nell’esperienza di comunicazione digitale dei Netizen in modo da essere naturali e coerenti con il mondo digitale in cui essi sono immersi?
Le parole, in fondo, non servono. Tenersi a lungo per mano, questa era una vera consolazione, perché sono poche le persone che sanno davvero parlare, e ancora meno sono quelle che hanno veramente qualcosa da dire.
Zhang Ailing, La storia del giogo d’oro
In un post precedente ho mostrato come le parole possano ingannare, anche in relazione ai valori dominanti dell’epoca che veicolano determinate parole e concetti. Negli ambiti professionali di cui mi occupo (programmazione e valutazione delle politiche pubbliche) ci sono tantissimi esempi eclatanti di concetti dai significati ambigui e molteplici (|Obiettivo|, |Qualità|, |Partecipazione|, |Indicatore|…) che vengono impiegati comunemente nella costruzione di importanti politiche sociali ed economiche ma che sono oggetto di interpretazione piuttosto diversa (ne ho parlato altrove, e non mi dilungherò).
Qui vorrei proporre le ragioni complesse dell’ambiguità del linguaggio perché le conseguenze di tale ambiguità non riguardano solo ambiti tecnici e professionali, ma la nostra vita quotidiana, e quindi le nostre relazioni, la politica, il giornalismo, l’interpretazione dei fatti quotidiani.
Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti
Karl Marx e Friedrich Engels, Ideologia tedesca
Come avranno capito i lettori di Hic Rhodus mi piace ragionare sul significato di ciò che diciamo, considerando che ciò che diciamo è spesso ambiguo e impreciso. Vi propongo allora un primo post – di due – su quale sia la forza del linguaggio nella costruzione del nostro mondo sociale e, assieme, su quale sia la sua debolezza.
Questo primo post racconta di come le parole ingannino, ma non in maniera casuale bensì in funzione della cultura dominante della quale siamo permeati. Siete pronti?
La classificazione è un pilastro del pensiero sociale, importante e complesso anche se agito il più delle volte inconsapevolmente. Dire “Bezzicante è simpatico” significa utilizzare una forma grossolana di classificazione, relativamente alla proprietà |simpatia|, attribuendo al caso Bezzicante lo stato “simpatico” (entro una gamma di scelta che poteva essere, per esempio, Molto antipatico, Antipatico, ‘na mezza roba, Simpatico e Molto simpatico). Naturalmente usiamo le classificazioni continuamente e in maniera assai più articolata, e la capacità di costruire classificazioni efficaci è un pilastro del pensiero razionale e scientifico.
Ma classificare è difficile; molto difficile.
La rissa politica di queste settimane si presta a una riflessione sulle forme sterili e nevrotiche del dibattito (che non è affatto dibattito, come stiamo per vedere). Semplificando a scopo espositivo è successa più o meno una cosa così:
nulla si compie se non s’apre bocca.
Euripide, Supplici
Il linguaggio descrive, trasmette informazioni, ma soprattutto costruisce il mondo. È quella che i linguisti chiamano funzione “perlocutoria” del linguaggio che ha livelli differenti di pregnanza in Autori diversi ma, semplificando assai, significa quanto meno che la parola (detta, scritta) ha conseguenze pratiche sulla realtà. Non una semplice “descrizione” del mondo, qualcosa a margine del mondo, un suo simulacro verbale; piuttosto un’azione sul mondo; parlare, dire, scrivere, agisce sul mondo e lo cambia. Ci sono infiniti possibili esempi per mostrare questa azione trasformatrice del linguaggio: