L’ennesima volgarità in Parlamento mi ha fatto cadere le braccia. Il fatto è noto: nella concitazione della discussione sull’art. 2 del ddl Boschi il senatore Barani ha rivolto il volgare gesto del rapporto orale all’indirizzo della grillina Lezzi. La senatrice Taverna, per protestare verso il gestaccio segnalandolo al presidente Grasso l’ha a sua volta platealmente mimato (e mi stupisce che tutti i senatori in coro, chi per dileggio e chi per protesta, non si siano messi a replicare centinaia di volte quella simbolica fellazio, come un’ola divertente ma più moderna, più parlamentare). Onestamente non capisco perché i grillini si siano tanto arrabbiati, visto che Barani probabilmente voleva semplicemente citare il pentastellato De Rosa che a fine gennaio 2014 si sarebbe rivolto alle colleghe del PD, in Commissione Giustizia della Camera, dichiarando testualmente:
Voi donne del Pd siete qui perché siete brave solo a fare i pompini (fonte).
(L’on. Pini, oggetto con altre dell’insulto di De Rosa, seppe replicare con ironia).
La volgarità sembra regnare sovrana in Parlamento, almeno quando non ci si prende a pugni e quando non si alzano cartelli, quando non si sale sul tetto, quando non si mangia mortadella… Ve la ricordate quella della mortadella, vero? Alla caduta del secondo Governo Prodi, 24 Gennaio 2008, il senatore di Alleanza Nazionale Nino Strano si mise a mangiare, in maniera platealmente volgare, della mortadella (“Mortadella” era il nomignolo usato per dileggio contro Prodi) dopo avere stappato champagne. Se non ricordate, o se eravate troppo giovani, dovreste dare un’occhiata al video:
Il Senatore Strano, prima della mortadella, aveva urlato a squarciagola insulti sanguinosi ad avversari politici (li potete facilmente trovare su YouTube) fra i quali “checca squallida” all’indirizzo del collega Cusumano. Nota bene: Nino Strano è indicato come gay sia dal sito web gay.it che da gaywave.it e benché lui abbia sempre risolutamente affermato la propria eterosessualità ha indubbiamente una particolare attrazione e frequentazione col mondo omosessuale, come da lui stesso ammesso; questo rende ovviamente più interessante l’uso di ‘checca’ come insulto. Mi sono soffermato su questo episodio e sul suo autore per indicare, fuggevolmente, come a partire da qui si possa aprire uno spaccato straordinariamente interessante sotto il profilo psicologico (e non è la prima volta che parliamo di psicopolitica).
Ma non parleremo di psichiatria bensì di linguistica e di antropologia e specificatamente di quel noto assioma chiamato “ipotesi Sapir-Whorf”, dal nome dei suoi più celebri propositori. Permettetemi prima di tutto una sintesi di questa ipotesi che propone una dipendenza dello sviluppo cognitivo di ciascun essere umano dalla lingua che parla e quindi, in modo più esteso, la Sapir-Whorf afferma che il modo di esprimersi determina il modo di pensare (la visione del mondo, le categorie tramite le quali il mondo è pensato, i valori e così via). Sia Sapir che Whorf proposero diverse evidenze empiriche a supporto della loro tesi e, nel mio piccolo, ho fornito anch’io alcune suggestioni relativamente al lessico della mia comunità di pratiche (se vi interessa leggete QUI andando direttamente alla Terza parte). Si tratta di una teoria un po’ estrema, diciamo così, ed è giusto segnalare che potete trovare facilmente diverse critiche.
Se linguistica e antropologia non vi appassionano potremmo fare riferimenti alla psicolinguistica o alla straordinaria relazione fra inconscio e linguaggio a lungo studiata da Lacan. Insomma: siamo ciò che pensiamo, ma pensiamo ciò che diciamo, o quanto meno c’è un fortissimo legame fra pensiero e linguaggio e cultura di appartenenza, dove il linguaggio non è affatto semplicemente il veicolo del primo (il pensiero) sulla base dei condizionamenti culturali. Non ci interessa discutere la tesi Sapir-Whorf o le idee di Lacan ma non dovrebbe apparire così peregrina l’idea che ciascuno di noi ha nella testa le idee che riflettono ciò che è in grado di dire, per come appreso in famiglia, con l’educazione, nell’ambiente in cui vive. Se possiedi molte e raffinate parole sei in grado di fare molti e raffinati pensieri, se possiedi solo poche parole volgari probabilmente avrai pensieri volgari, e comportamenti conseguenti. Devo ricordarvi Moretti e il suo urlo, le parole sono importanti?
Torno brevemente alla politica per concludere che sì, certo, tutti ci arrabbiamo, e siamo frustrati, e stanchi, e ci capita di dire parolacce. Forse a molti è capitato di perdere le staffe e ingiuriare qualcuno. Ma non a tutti, e non ripetutamente. Non nella routine della propria attività e – direi – per un politico il confronto con l’avversario è appunto routine, è la pratica comune del proprio lavoro. Non credete? Se in tale lavoro vi capita spesso di urlare, di ingiuriare, di denigrare, di irridere, di sbertucciare, di minacciare, di mandare sapete dove, non è che forse avete qualche problema? Questi deputati e senatori (permettetemi di dire: non ugualmente distribuiti fra le varie forze politiche) che abusano del turpiloquio e del gesto (che vorrebbe essere) eclatante sono persone con idee volgari, con rilevanti limiti cognitivi, e morali, non idonee a rappresentare il meglio del Paese e a guidarlo. Hanno poche idee perché hanno poche parole, e quindi capiscono meno la complessità della politica, immaginano irreali soluzioni semplici a problemi complicati, si irritano se contraddetti e la cosa capita loro spesso perché – appunto – hanno poche idee traballanti esprimibili con un lessico semplificato e qualche gestaccio volgare. Queste persone, attenzione!, possono anche diventare ospiti frequenti dei talk show (sono così pittoreschi e fanno audience) o addirittura leader di formazioni politiche (generalmente populiste, perché il populismo necessita di poche parole, e semplici, e poco raffinate) ma la sostanza non cambia: un discreto numero di rappresentanti del popolo (così chiamati, presumo, perché rappresentano statisticamente la curva dell’intelligenza e della moralità che si riscontra nel Paese) è composto da cretini.