Internet e il linguaggio: metafore a catinelle

In post precedenti abbiamo suggerito l’idea che “abitare” Internet possa significare, già oggi o più verosimilmente in un prossimo futuro, acquisire un nuovo tipo di cittadinanza, la cittadinanza digitale, e abbiamo cominciato a esplorare alcuni degli aspetti che inevitabilmente una simile cittadinanza dovrebbe avere, per capire se e come ci stiamo avvicinando a un’ipotesi di questo tipo.

Dopo aver parlato di diritti fondamentali e di valuta digitale di scambio, oggi vorremmo toccare, sia pure superficialmente, il tema del linguaggio: esiste un linguaggio di Internet, con delle sue specificità e una sua riconoscibilità, delle convenzioni e dei costituenti  non riducibili a quelli delle lingue ordinarie che parliamo nel mondo “reale”? E, più importante di tutto, queste caratteristiche sono integrate nell’esperienza di comunicazione digitale dei Netizen in modo da essere naturali e coerenti con il mondo digitale in cui essi sono immersi?

Certo, su Internet tutti siamo abituati a incontrare un linguaggio un po’ diverso dall’italiano (o inglese) ordinario: un linguaggio ricco di peculiarità, che assume alcuni connotati tipici e ormai pervasivi, tra i quali alcuni particolarmente visibili:

  • abbreviazione/alterazione di parole basandosi su analogie di suono (es: b4 per before)
  • abbreviazione/alterazione di parole basandosi su analogie visive tra i segni (es: ID10T per IDIOT)
  • acronimi che esprimono atti verbali e non verbali (es: ROTFL, Rolling On The Floor Laughing)
  • neologismi per analogia semantica, eventualmente con alterazione (es: Phishing)
  • e, ovviamente, le Emoticons 😉

Intendiamoci: non sto esprimendo approvazione per certi usi della lingua: io sono uno che usa il congiuntivo anche negli SMS, figuratevi se non inorridisco davanti a “xké” o a “Diffondete !1!!1!”. Però questi fenomeni, comunissimi e caratteristici di un linguaggio che a tutti noi è familiare, sono una manifestazione “terra terra” di una particolare libertà formale e di trasposizione semantica tipica della comunicazione su Internet e in generale sui canali digitali, che ormai viviamo come intercambiabili (fa differenza usare una chat sul PC o su cellulare?), come fossero finestre aperte su un unico paesaggio.

A partire dal fortunato romanzo Neuromante di William Gibson, questo mondo virtualmente abitato dai cittadini della Rete è chiamato da molti Cyberspace, ovvero, seguendo Wikipedia, lo “spazio concettuale dove le persone interagiscono usando tecnologie per la comunicazione mediata dal computer“. Ecco: il primo elemento che nel ragionare sul linguaggio di Internet non possiamo dimenticare è che si tratta del linguaggio usato per comunicare attraverso la mediazione del computer, o se vogliamo della Rete informatica. Questa comunicazione è quindi immersa nella nostra interazione con il computer, che ne influenza il linguaggio e che peraltro ha una storia che risale a prima che i computer fossero utilizzati per la comunicazione. All’origine l’utente aveva come unico scopo appunto l’utilizzo delle funzionalità del computer; eppure fin da subito si è parlato appunto di interazione o addirittura di colloquio tra computer e utente, che si è evoluto lungo una serie di quelle che gli informatici hanno piuttosto liberamente chiamato metafore. Con la stessa libertà, nel seguito adotterò questo termine per indicare genericamente un trasferimento di significato, nel più ampio senso che preciserò meglio più avanti e che non include solo la classica definizione di metafora in ambito linguistico (anche perché gli oggetti che trasportano il significato non sono sempre parole).

A partire da quella, piuttosto rozza, del “colloquio” tra padrone e servitore (consentito dalla cosiddetta linea di comando del DOS), con l’arricchirsi delle funzionalità dei computer si passa a metafore che si basano sulla costruzione di uno spazio virtuale, che dapprima riproduce il contesto di un ufficio (scrivania, cartelle, cestino, ecc.) e azioni semplici (“tagliare e incollare”), e poi, specie con l’avvento di Internet, si estende a metafore più allargate ed eterogenee (il Web, il surfing, il browsing, gli “album di fotografie”, i “cinguettii”, …). Questo uso pervasivo delle metafore, originato nella cosiddetta User Interface e poi allargato appunto anche a servizi come Facebook e Twitter, ovviamente si estende anche al linguaggio scritto (e parlato) della comunicazione tra utenti, che come abbiamo visto ne viene profondamente connotato.

A questo punto, si impone una digressione: come funziona una metafora? Il fatto che gli informatici nel progettare la nostra interazione con i computer abbiano fatto consapevole e sistematico ricorso a questo mezzo per facilitare l’apprendimento e la familiarizzazione con i nuovi strumenti (esistono molti libri e articoli nella letteratura tecnica sull’argomento,) ci permette davvero di assimilare le “metafore informatiche” a quelle linguistiche? E le metafore sono solo una “facilitazione cognitiva” o hanno un effetto sostanziale? Se, come ci suggerisce Bezzicante nel suo post sulle parole e il potere, il linguaggio costruisce la realtà, tanto più questo sarà vero nel caso del Cyberspace, che non deve fare i conti con una “realtà” preesistente di cui il linguaggio consenta di costruire una rappresentazione.

Per abbozzare una risposta ricorrerò all’opera Metaphors We Live By (Metafore e vita quotidiana) di Lakoff e Johnson, libro che non a caso fin dalla prima pagina rifiuta di rinchiudere la metafora nell’ambito puramente linguistico, dichiarando che “la metafora è pervasiva nella vita di tutti i giorni […] Se abbiamo ragione a suggerire che il nostro sistema concettuale è ampiamente metaforico, allora il modo in cui pensiamo, le nostre esperienze e quello che facciamo tutti i giorni è in larga misura una questione di metafore” [la traduzione dall’inglese, qui e nel seguito, è mia]. La metafora è un mapping che collega due domini semantici: “quello obiettivo, che è costituito dall’argomento di cui si sta parlando direttamente, e quello sorgente, nel quale si svolge un importante ragionamento metaforico e che fornisce i concetti originali usati in quel ragionamento. Il linguaggio metaforico ha un significato letterale nel dominio sorgente”. In sostanza, se il dominio sorgente è l’ufficio tradizionale, con la sua scrivania, le cartelle, le forbici, il cestino, e così via, quello obiettivo è invece costituito dal “nuovo” contesto del lavoro al computer. La metafora ufficio-pc avrà tanto più valore quanto più i concetti e le relazioni presenti nel dominio dell’ufficio si riveleranno “trasportabili” al dominio obiettivo, e costruttivi, perché, ricordiamo, le metafore non sono passive corrispondenze, ma creano significato“Il tempo non è necessariamente una risorsa. Molti, all’interno di culture in tutto il mondo, vivono semplicemente le loro vite senza preoccuparsi se stiano usando efficientemente il loro tempo. D’altra parte, altre culture concettualizzano metaforicamente il tempo come se fosse una risorsa limitata. La metafora ‘Il Tempo è Denaro’ impone al dominio del tempo svariate caratteristiche delle risorse”.

Se le metafore linguistiche e, più in generale, le operazioni di mapping semantico creano significato e contribuiscono a modellare concettualmente il dominio obiettivo, dobbiamo prendere atto che oggi il dominio del computer e di Internet è diventato largamente autonomo da quelli da cui ha preso in prestito le sue metafore. Oggi moltissimi utenti dei computer non hanno probabilmente mai utilizzato una cartella fisica per raccogliere documenti cartacei, o forbici e colla per ritagliare e incollare una foto da una rivista in un album; eppure, questi utenti nativamente digitali non incontrano alcuna difficoltà a utilizzare una user interface originariamente pensata per offrire un ambiente familiare a coloro che dovevano imparare a usare il computer provenendo da un lavoro di ufficio tradizionale. Forse dovremmo trovare sorprendente che il desktop del computer si dimostri un ambiente naturale anche per chi non si è mai seduto dietro una vera scrivania, acquisendo senza mediazione il significato dei diversi segni grafici e simbolici; in ogni caso, questa fluidità di uso e interpretazione di immagini e segni si riflette nei fenomeni linguistici che abbiamo visto, in virtù dei quali un carattere alfanumerico può nella stessa frase essere letto come una parentesi e come un sorriso.

Ecco, da questa breve e informale rassegna emerge forse qualche elemento caratteristico della comunicazione e del linguaggio che tutti noi usiamo quotidianamente su Internet e in generale sui canali digitali, che possono offrirci degli spunti per approfondire le domande da cui siamo partiti.

Alcune risorse utili, in parte già citate nel testo:

  • Il testo Metafora e vita quotidiana di Lakoff e Johnson è disponibile nelle librerie online, ad esempio su Amazon, e in Rete se ne trovano ampi estratti in inglese.
  • Su come le metafore che utilizziamo. e gli schemi che esse rispecchiano, possano modellare il nostro pensiero e la nostra comunicazione, si può leggere l’articolo The Conduit Metaphor, di Michael J. Reddy, disponibile in originale qui.
  • La letteratura sulla progettazione delle User Interface utilizzando le “metafore” di scrivania, file, ecc. è molto ampia. Un paio di esempi tra tanti si trovano qui e qui.
  • Un articolo ben scritto sull’applicazione di un approccio metaforico al design in generale, in inglese, si trova qui.