Oggi, come tutti sappiamo, è il giorno in cui vengono inventate e diffuse le più ingegnose e scherzose “bufale” che spesso, o perché ci crediamo o perché ci piacciono, contribuiamo a far circolare, magari commentandole come se fossero vere.
Forse qualcuno di noi se ne vergogna, ma credo di non sbagliare se affermo che a tutti è capitato, almeno una volta, di cascare clamorosamente vittima di un Pesce d’Aprile; è quindi lecita, se non inevitabile, la domanda “Ma come mai la gente ci crede?”
Infatti, è inutile negarlo: se nessuno ci credesse almeno per un momento, i Pesci d’Aprile non esisterebbero. Certo, ormai siamo tutti smaliziati, e in fondo grazie a Internet controllare anche le affermazioni più astruse è diventato abbastanza facile; eppure, come sappiamo bene, il mondo è pieno di creduloni, capaci di abboccare a qualsiasi balla venga loro proposta e a riproporla, con gli strumenti “virali” che proprio Internet ci mette a disposizione. Creduloni sono gli altri, ovviamente, perché a noi non capita mai di credere a qualcosa che poi si rivela clamorosamente falso, no?
Ecco, il punto su cui volevo soffermarmi in questo post è che, invece, “creduloni” siamo un po’ tutti, e che secondo me questa non è una cosa sbagliata, anzi: se non fossimo creduloni, la vita sarebbe praticamente impossibile. In fondo, è sufficiente un minimo di riflessione per riconoscere che ogni volta che noi scambiamo una comunicazione con qualcun altro partiamo dal presupposto inconsapevole che quella comunicazione sia fondamentalmente veritiera, ed è proprio su questa fiducia “di sfondo” che s’innestano, quando riteniamo di averne motivo, le nostre eventuali diffidenze. Quando fermo un passante per chiedergli la strada, quando chiedo l’ora a un vicino di scrivania, quando leggo l’orario degli spettacoli di un cinema, do per scontato che l’informazione che ricevo sia attendibile, almeno nei limiti delle conoscenze del mio interlocutore. Solo quando quest’ultimo ha un motivo a me noto per cui potrebbe considerare suo interesse mentirmi, alla fiducia subentra un atteggiamento più scettico, che però è “costoso” e poco efficiente, e non può essere applicato in modo sistematico.
Ora, voi sapete come sono i filosofi, no? Quando c’è qualcosa di apparentemente chiaro, lo trasformano in una complicata formulazione in un linguaggio arcano. Questa cosa che ho chiamato fiducia di sfondo non fa eccezione: se ne sono occupati diversi filosofi, mettendola in relazione con altri e anche più complicati problemi, come quelli della Semantica e della Verità (quanto sia complicato quest’ultimo ce l’ha fatto capire a suo tempo Bezzicante in un suo post dedicato appunto alla Verità). Uno tra i più influenti filosofi del Novecento, ad esempio, è stato David Lewis, che in alcune sue opere, e in particolare in un articolo intitolato Lingue e Lingua, sostiene che usare una Lingua equivale ad adottare delle convenzioni, e in particolare una convenzione di veridicità e fiducia, secondo cui chi parla produce affermazioni che crede essere vere (veridicità), e chi ascolta forma di conseguenza le sue credenze in base a quanto gli viene detto (fiducia). In sintesi, secondo Lewis, «una lingua L è usata da una popolazione P se e solo se in P prevale una convenzione di veridicità e fiducia in L, sostenuta da un interesse nella comunicazione» (traduzione mia).
Ma, obietterete voi, un Pesce d’Aprile non è mica “veridico”! Anzi, è volutamente ingannevole, insomma una specie di “bufala”, che quindi come tale parrebbe contraddire la convenzione che ho appena esposto. Eppure, le cose non stanno proprio in questi termini: a mio avviso, esiste una grande differenza tra una bufala e un Pesce, perché quest’ultimo non ha davvero lo scopo di ingannare: spesso è paradossale, e contiene in se stesso gli elementi per la propria confutazione, a partire proprio dal fatto di essere diffuso in una data convenzionale. Lo scopo di un Pesce è di essere transitoriamente credibile, e non creduto, spesso è uno scopo apertamente scherzoso, satirico o metaforico; insomma, un Pesce d’Aprile in genere ricorre a un uso alternativo piuttosto che ingannevole del Linguaggio, come fa appunto in genere l’umorismo.
Non vi sorprenderà a questo punto scoprire che i nostri amici filosofi hanno pensato anche a questo. Lo stesso Lewis non manca di precisare che l’uso dell’ironia, della metafora, dell’iperbole o di altre forme “paradossali” del linguaggio non implicano un’assenza di veridicità: chi usa il linguaggio in questo modo sta “mentendo” solo se si considera una variante letterale del linguaggio, ma coloro che comunicano attraverso l’ironia stanno utilizzando una diversa variante convenzionale del linguaggio, rispetto alla quale è conservata la veridicità. Un punto di vista leggermente diverso è sostenuto ad esempio da Deirdre Wilson e Dan Sperber, che ritengono che oltre al principio di veridicità le nostre comunicazioni rispettino un principio di rilevanza, che viene implicitamente utilizzato quando noi le interpretiamo, e che applichiamo in modo opportuno anche ai casi in cui il linguaggio è usato in modo scherzoso, metaforico o retorico. Una data comunicazione è rilevante, in breve, se è in grado di accrescere la conoscenza di chi la riceve e merita quindi che si dedichi tempo alla sua interpretazione. Ma quale può mai essere la rilevanza di uno scherzo? Ecco, quello che aggiungerei alle dotte opinioni dei filosofi di cui parlavo è che secondo me gli scherzi non sono irrilevanti. Uno scherzo ha una funzione adattiva e a suo modo benefica, perché può condurre la sua “vittima” ad acquisire una prospettiva paradossale su qualcosa, a riconoscere i propri preconcetti,e così via; uno scherzo insomma è il contrario di un inganno: lo scherzo propone una verità sotto forma di bugia, e quindi deve per un attimo passare da bugia per poi farsi riconoscere, proprio grazie al fatto che rispetta una convenzione condivisa, come quella del primo aprile.
Naturalmente, quindi, quando elogio la credulità non intendo certo invitare tutti noi ad abbassare ulteriormente le nostre “difese anti-bufala” e ad accettare per buone le valanghe di assurdità di cui siamo quotidianamente inondati; anzi, voglio semmai sottolineare che uno degli effetti perversi di quest’inondazione è appunto quello di scuotere la “convenzione di veridicità e fiducia” su cui si fonda la comunicazione in una società. Concludendo: chi bufala avvelena anche te, ma chi ti rifila un Pesce d’Aprile no.