Tag: sindacati

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Buona Scuola e insegnanti: martiri, deportati o parassiti?

Nelle ultime settimane, abbiamo assistito al culmine (almeno finora…) delle polemiche prodotte dalle nuove norme introdotte dal programma governativo battezzato un po’ ottimisticamente La Buona Scuola. Gli insegnanti precari sono vivacemente insorti contro i criteri per le nuove assunzioni e soprattutto per l’assegnazione delle destinazioni che potrebbero costringere molti di loro a spostarsi in regioni diverse, con le ovvie difficoltà logistiche ed economiche. I toni del dibattito sono diventati molto accesi, con gli insegnanti e i loro sindacati che hanno evocato scenari di “deportazione”, mentre altre voci hanno invitato gli insegnanti stessi a smetterla di lamentarsi “di non poter lavorare a qualche minuto di macchina da casa”. Noi di Hic Rhodus abbiamo deciso di sfidare il calor bianco di questo argomento e di proporre un nostro punto di vista, cercando di rappresentare la situazione in modo non di parte.

Nel Paese dove dimora Renzi non vivono Landini e Fassina

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Un anno di governo Renzi (dal 22 Febbraio 2014) e un bilancio che appare nefasto a molte componenti politiche, ottimo ad altre e con chiaro-scuri ai commentatori più moderati. Io non tenterò alcun bilancio politico in senso tradizionale; voi lettori avete le vostre idee e non sarò io a farvele cambiare, e potete trovare sui giornali on line ottime riflessioni, alcune delle quali segnalate in fondo a questo articolo. Il bilancio che voglio fare non riguarda le riforme fatte o non fatte, quelle fatte a metà, quelle accusate di essere nocive in quanto “non di sinistra”… I lettori potranno trovare su questo blog molteplici articoli di Ottonieri che hanno fatto le bucce a queste riforme cogliendone elementi positivi e spesso negativi. Quello che io vorrei mettere al centro della mia breve riflessione è sostanzialmente culturale, e riguarda l’enorme strappo dato da Renzi alla politica tradizionale cercando nel contempo di vederne alcune conseguenze di prospettiva.

L’Italia e la difesa dei posti di (non) lavoro

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Recentemente, è tornata all’attenzione dei media la questione dello stabilimento FIAT di Termini Imerese, o, meglio, lo stabilimento chiuso dalla FIAT a fine 2011. A quella data risale l’accordo in base al quale ai dipendenti fu erogata, fino a oggi, la Cassa Integrazione Straordinaria. Adesso, precisamente a fine 2014, sarebbe terminato il periodo coperto dalla CIGS, e per circa 760 lavoratori (più circa 300 del cosiddetto “indotto”, posto che una fabbrica inattiva abbia un indotto) si sarebbe aperta la prospettiva della definitiva perdita del “posto di lavoro”. Quest’esito è stato evitato, ma è davvero una buona notizia?

La legge di stabilità del Governo Renzi: un bicchiere mezzo pieno

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In questi giorni è molto viva la discussione su quella che è la prima Legge di Stabilità del Governo Renzi. Mentre sono appena state rese note le osservazioni della Commissione Europea, è forse più interessante cercare di analizzarne le priorità e i contenuti, che hanno dato vita a giudizi estremamente variegati.

Tenendo presente che è probabile che ci siano variazioni in corso d’opera anche significative, proviamo quindi a proporre una nostra valutazione, dato che i temi che la legge affronta sono tra quelli che Hic Rhodus segue con attenzione.

Il prezzo giusto della Cultura e il caso dell’Opera di Roma

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Molti di voi avranno seguito in queste ultime settimane le violente polemiche legate alla vicenda piuttosto sconfortante dell’Opera di Roma, dove a seguito delle dimissioni del Direttore Riccardo Muti si è giunti all’annuncio del licenziamento in blocco degli orchestrali e dei coristi. Nelle discussioni, che peraltro sono ancora in corso visto che la questione è ancora aperta, è a mio parere possibile cogliere innanzitutto lo scontro tra presupposti estremamente diversi sulla cultura, sul suo ruolo sociale, su come possa e debba essere finanziata.

Dato che su Hic Rhodus siamo molto sensibili ai temi culturali (includendo come parte essenziale della cultura quella scientifica), vogliamo proporre il nostro punto di vista, a partire appunto da quello che nel titolo un po’ provocatoriamente chiamiamo prezzo della Cultura.

Il cesarismo renziano all’epoca della crisi di rappresentanza

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O Captain! My Captain! rise up and hear the bells; Rise up-for you the flag is flung-for you the bugle trills; For you bouquets and ribbon’d wreaths-for you the shores a-crowding; For you they call, the swaying mass, their eager faces turning (Walt Whitman)

Sì, Renzi è un leader decisionista, arrembante, poco incline alla mediazione. Semplificare l’atteggiamento renziano come “berlusconiano”, “democristiano” o addirittura – come a chiare lettere denunciato dalla minoranza PD – “di destra” è inaccettabile e privo di qualunque consistenza logica, come ho scritto un po’ di tempo fa qui su HR; liquidare il suo atteggiamento come cesarismo dispotico, mera comunicazione senza costrutto, improvvisazione demagogica, può avere indubbiamente un fondamento, ma solo parziale, e non aiuta ad andare molto avanti nell’analisi. Ancora una volta per capire cosa accade occorre uno sguardo diverso e non ideologico,

L’ Articolo 18, un falso problema e un autentico campo di battaglia

In questi giorni, è in corso un acceso scontro a proposito della riforma del Diritto del Lavoro che il Governo Renzi ha avviato, sia pure in forma preliminare, con il disegno di legge (il cosiddetto Jobs Act) corredato da un importante emendamento che è stato approvato dalla Commissione Lavoro del Senato e che prevede la successiva stesura di una Legge Delega che tra l’altro preveda, per le nuove assunzioni, il “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio”. In altre parole, uno degli obiettivi del Jobs Act diventerebbe la revisione del celebre Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che prevede la reintegrazione nel posto di lavoro appunto come tutela per il lavoratore in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo.

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Quel magico decennio, 25 anni fa, quando tutto iniziò ad andare a rotoli

 

“Sì, scrivere come si pensa è una bella cosa,” rispose Pococurante; “è il privilegio dell’uomo. In tutta la nostra Italia si scrive unicamente quel che non si pensa; gli abitanti della patria dei Cesari e degli Antonini non ardiscono avere un’idea se prima non gliene dà licenza un domenicano” (Voltaire, Candido).

Quando ero bambino (un sacco di anni fa, sì), tutto andava abbastanza bene: c’erano le mezze stagioni; il cinematografo era un divertimento meraviglioso; ci potevamo permettere la carne una volta a settimana ma mia mamma, grande cuoca, sapeva appagarci tutti i giorni; la guerra in Europa era un ricordo e di lontane guerre in posti sconosciuti si sentiva a malapena parlare in TV. Chi ce l’aveva. Naturalmente i miei genitori erano preoccupati per il confronto nucleare fra i blocchi, la crisi di Cuba etc., ma io che ne sapevo? Questo è durato a lungo. Sono cresciuto con l’impagabile lotta politica fra democristiani e comunisti, con l’idea degli italiani brava gente e dei poveri negri come sono trattati male in America, l’idea del crescente benessere e del boom (di bambini e di PIL), le prospettive di un mercato comune europeo, addirittura! Poi, più tardi, gli hippie, la guerra del Vietnam e Canzonissima, ma sì, tutti assieme mescolati in un unico spettacolo pirotecnico che si ammirava da lontano: tragedie e commedie, tutte assieme, in ben due canali televisivi!

Poi è accaduto che questo finto cerchio di innocenza si spezzasse.

La riforma della Pubblica Amministrazione: giusta, punitiva o insufficiente?

Pochi giorni fa, esattamente il 24 giugno, è diventato effettivo il Decreto Legge con il quale il Governo si è occupato (o ha iniziato a farlo) di una delle aree più controverse del suo programma: la riforma della Pubblica Amministrazione. Il Decreto in realtà affronta diversi temi anche piuttosto eterogenei, e di notevole importanza, come la composizione delle Authority, il contrasto della corruzione, l’informatizzazione dei processi civili. Di questi argomenti non mi occuperò qui, proprio perché ciascuno meriterebbe un approfondimento a parte, così come lo richiederebbe la spinosissima questione delle società partecipate, che rappresentano una delle principali falle del bilancio pubblico, oltretutto sostanzialmente fuori controllo, come ha segnalato la Corte dei Conti, che ha stimato in 26 miliardi di Euro l’onere che esse rappresentano per le casse dello Stato.

In questo post ci concentreremo sui contenuti del Decreto relativi all’organizzazione della PA e alle politiche del personale, per capire se e come rispecchino una visione finalmente innovativa dell’amministrazione dello Stato.

L’Alitalia cambia finalmente rotta?

Alcuni giorni fa, è cominciata la trattativa relativa al piano di riduzione del personale annunciato come parte necessaria della proposta avanzata da Etihad per il “salvataggio” dell’Alitalia. Il piano prevede 2.251 esuberi, e certamente si tratta di un boccone piuttosto indigesto per i dipendenti e i sindacati. Questi ultimi, fedeli al copione che si impone in queste situazioni, hanno dichiarato «Siamo ancora in una fase in cui cerchiamo di capire come nascono questi esuberi. Pretendiamo una trattativa seria con l’obiettivo di tutelare tutti, il nostro obiettivo è disoccupazione zero» e «Gli strumenti per gli ammortizzatori sociali non mancano ma non siamo ancora arrivati a quello».

Che non manchino, almeno per l’Alitalia (perché anche da questo punto di vista non tutte le aziende sono uguali), è poco ma sicuro; e i costi che la collettività sostiene da anni per i cosiddetti “salvataggi” dell’Alitalia stanno lì a testimoniarlo.

Dal sindacalismo al consociativismo

Il 14 Ottobre 1980 si svolse a Torino la cosiddetta marcia dei 40.000, una manifestazione di quadri e impiegati (ma anche operai) che intese protestare contro il prolungato sciopero indetto dalla FLM (la vecchia sigla unitaria dei sindacati metalmeccanici) contro la Fiat. Lo sciopero comportò, fra l’altro, l’organizzazione di picchetti per impedire ai lavoratori di entrare in fabbrica, e questo atteggiamento fu una delle principali ragioni di protesta. Quella marcia, di così rilevanti e inattese proporzioni, indusse la FLM a chiudere precipitosamente la vertenza, sancì la nascita di un sindacalismo dei colletti bianchi e, più importante, evidenziò la miopia sindacale che non previde né seppe gestire questa manifestazione prepotentemente anti-sindacale, ovvero contro un certo atteggiamento esclusivo (operaistico), rigido (i picchetti, il blocco delle merci) e – secondo i manifestanti – antidemocratico. Al di là delle analisi partigiane del momento (sindacato e PCI si affrettarono a denigrare la manifestazione giudicandola un’iniziativa pilotata dalla Fiat), analisi accurate successive ci consegnano un quadro molto diverso e articolato che ci consente di ritenere questo come forse il primo significativo momento di scollamento fra il sindacato e la società, il sindacato e la sua capacità di proporsi come portatrice di valori del lavoro generali, se non proprio universali. Una grande sconfitta sindacale dopo anni di lotte vittoriose ed egemoni, e l’inizio di una nuova stagione di relazioni industriali.