Nel Paese dove dimora Renzi non vivono Landini e Fassina
Un anno di governo Renzi (dal 22 Febbraio 2014) e un bilancio che appare nefasto a molte componenti politiche, ottimo ad altre e con chiaro-scuri ai commentatori più moderati. Io non tenterò alcun bilancio politico in senso tradizionale; voi lettori avete le vostre idee e non sarò io a farvele cambiare, e potete trovare sui giornali on line ottime riflessioni, alcune delle quali segnalate in fondo a questo articolo. Il bilancio che voglio fare non riguarda le riforme fatte o non fatte, quelle fatte a metà, quelle accusate di essere nocive in quanto “non di sinistra”… I lettori potranno trovare su questo blog molteplici articoli di Ottonieri che hanno fatto le bucce a queste riforme cogliendone elementi positivi e spesso negativi. Quello che io vorrei mettere al centro della mia breve riflessione è sostanzialmente culturale, e riguarda l’enorme strappo dato da Renzi alla politica tradizionale cercando nel contempo di vederne alcune conseguenze di prospettiva.
L’elemento centrale, che segna una reale e profonda discontinuità nella politica renziana è la mancanza di ideologismo. Quello dell’ideologia è un tema più volte trattato su HR perché centrale – a mio avviso – per comprendere e realizzare il passaggio dal mondo del ‘900 a quello degli anni 00. Vorrei riproporre una lunga citazione di Burdeau inclusa in un mio post dedicato al concetto di ideologia (che ovviamente vi invito a leggere):
“Avrò i sindacati contro? Pazienza!”
L’ideologia si presenta meno come un prodotto della riflessione o della coscienza che come un dato che a queste si propone perché vi aderiscano o lo respingano; si presenta dunque, al limite, come un sistema di idee che non sono più pensate da alcuno.
Se l’ideologia, quindi, s’impone dall’esterno più di quanto non proceda dall’esperienza intima di coloro che vi aderiscono, ciò avviene perché è dotata di un potere di persuasione che le deriva più dall’emozione che provoca che dal ragionamento che suscita: essa mira meno a dimostrare che a convincere. Ed è perché fa appello alla convinzione che l’ideologia è a un tempo sistematica e dogmatica. Sistematica in quanto, affinché nella visione che propone non vi siano né lacune né contraddizioni, mescola proposizioni veridiche con altre dubbie o persino errate. Essa punta più sulla logica dell’insieme che sull’esattezza degli elementi che la compongono. Di qui il dogmatismo col quale proibisce le riserve o le correzioni; di qui anche la coerenza che è condizione della sua potenza unificatrice.
L’ideologia è un pensiero collettivamente condiviso ma pensato da altri, basato su molteplici verità, mezze verità, auspici, asserti e molti a priori. L’esempio che mi verrebbe facilmente da proporre è l’ideologia comunista. Cosa vuole dire essere “comunisti” nell’Italia del 2015? Le condizioni economiche non sono più quelle all’epoca di Marx e il suo progetto politico appare irrealizzabile. I comunisti di oggi vi diranno che ne sono consapevoli ma in realtà utilizzeranno quelle categorie per interpretare il mondo e immaginare delle risposte. Continua a colpirmi chi, critico di Renzi, lo addita come “non di sinistra”: la “sinistra” è la gabbia concettuale presa a misura del mondo, come quelle ai check in dove si misurano le dimensioni dei bagagli per i voli low cost. Le idee non sembrano più buone o cattive nel merito, ma omologate oppure no alla gabbia ideologica.
Berlusconi e il Patto del Nazareno
Renzi ha eliminato ogni contiguità ideologica col ‘900 senza però smettere di essere di sinistra, laddove si intenda questa categoria in maniera contemporanea, a-ideologica e non vincolata a etichette aprioristiche (di come si possa pensare alle categorie politiche di destra e sinistra in questo modo non ideologico ne ho trattato tempo fa). Renzi ha in mente delle riforme che gli appaiono giuste, coerenti e necessarie senza farle passare per il laminatoio della compatibilità con le magnifiche sorti e progressive, col Sol dell’avvenire e via discorrendo. Ciò non significa minor cuore e passione; significa più testa fredda (e questo vi può non piacere, ovviamente) e significa, certamente, più cinismo nella prassi politica.
Il cinismo di Renzi è indiscutibile. È spregiudicato, veloce nel pensiero e nell’azione, indifferente ai nemici; ricorda il decisionismo di Craxi mescolato alla lucidità andreottiana. Renzi ha in due e due quattro liquidata la concertazione sindacale, risucchiato il centro liberale e rottamato Berlusconi. Quest’ultima dichiarazione può non convincervi, specie se avete data una lettura “di destra” al Patto del Nazareno, ma a me appare abbastanza evidente. Privo di a priori ideologici Renzi ha teso la mano a un Berlusconi agonizzante per usarlo a suo piacimento contro le arrembanti minoranze interne del PD, per poi abbandonarlo al suo destino nel giro delle ventiquattr’ore dell’elezione di Mattarella. Il risultato probabile è la rapidissima dissoluzione di Forza Italia ben oltre quanto ipotizzabile un anno fa lasciando la destra populista nelle mani di Salvini, che aumenterà voti inutili al suo progetto lepenista lasciando alla sinistra liberalsocialista di Renzi un amplissimo potenziale elettorale, perché non ci sarà altri che lui per rispondere alla domanda politica di liberali, socialdemocratici e riformisti.
Il tavolo delle riforme (?) coi 5 Stelle
Sì, restano i Cinque Stelle, con i quali Renzi ha compiuto un altro mezzo capolavoro fra i “discutiamo assieme” e i “con voi non è possibile discutere”. I grillini, nella loro ingenua integrità robespierriana saranno anche stati integri e retti, ma di un pressapochismo politico e di una tale inconsistenza pratica che il premier ha avuto con loro davvero buon gioco. E con loro ormai il peggio è passato vuoi per stanchezza del leader, vuoi per delusione di parti significative di elettorato. Questa è un’altra pratica archiviata da Renzi.
Infine la sinistra. Naturalmente questa è la vera spina nel fianco, la scommessa da vincere. A forza di accelerazioni, schiaffi, giravolte con le alleanze e “Fassina chi?” è piuttosto probabile (e a mio avviso altamente auspicabile) che le minoranze PD più insofferenti decidano di uscire dal partito alleandosi semmai con Vendola, o immaginando un nuovo soggetto politico, forse ispirato a Tsipras o a Iglesias, semmai capitanato da Landini. La scommessa è questa: quanti italiani di sinistra sentono ancora il richiamo dell’ideologia radicale? Quanti invece sono più rassicurati dal richiamo riformista? L’entità potenziale della sinistra estrema in Italia appare piuttosto modesta, come insegnano le esperienze di Sinistra Arcobaleno nel 2008 (poco più del 3%) e di Rivoluzione Civile nel 2013 (1,79% al Senato e 2,25% alla Camera). Certo, assieme a SEL (circa 3% nel 2013) e con personalità uscite eventualmente dal PD con un loro seguito, una formazione a sinistra di Renzi potrebbe aspirare a superare il piccolo sbarramento previsto dalla nuova legge elettorale e prendere un 5-6%, ma non mi sembra che la storia italiana lasci intendere la possibilità di successi maggiori, salvo naturalmente disastri di Renzi e scenari europei al momento non prevedibili. Renzi, insomma, si sta “facendo largo” occupando uno spazio ampio fra Centro e Centro-sinistra, fra cattolici moderati e laici, liberali e socialisti. Lasciando ai due estremi (Salvini e quel che sarà la sinistra radicale) un compito di ali ininfluenti e al M5S il ruolo passivo di spettatore incapace di agire da player.
Fassina chi?
Questo quadro è influenzato da elementi in mano a Renzi e da fattori esterni. Fra quelli nelle sue mani c’è naturalmente la capacità di andare avanti realmente nelle riforme; i critici indicano con insistenza quelle promesse e non realizzate, e certo il premier parla troppo e con troppa boria rispetto agli spazi di manovra reali nella palude politica italiana. Ma sostenere che di riforme piccole e grandi non ne abbia fatte più che ingeneroso è semplicemente falso. Poiché molte altre sono in calendario e di avversari in grado di contrastarlo se ne vedono pochi, forse la legislatura arriverà davvero alla fine e Renzi avrà un carnet di successi inimmaginabile nella sclerotica politica italiana. Per quanto riguarda invece i fattori esterni sembra che sia baciato dalla fortuna: una ripresa minima ma reale di cui ha pochi meriti ma che si vorrà intestare, un’Europa che non potrà che continuare a benedirlo per scongiurare gli euroscettici montanti… il vento soffia – al momento – a suo favore.
Insomma Renzi si muove e “ci” muove. Dove ci porta? Alcuni di voi lettori risponderanno che ci porta in un mondo con meno diritti per i lavoratori e più pasticci in Costituzione, e questo è possibile. O forse ci porta in un’Italia più moderna, chissà? Forse lui si calmerà, il suo narcisismo si placherà, le riforme saranno più fruttuose che sgangherate. O forse no, prevarrà la sua burbanza e nella fretta di fare provocherà disastri. Una cosa è indiscutibile: la politica sarà diversa. I leader politici che vorranno rimpiazzarlo dovranno essere differenti. Il lessico politico non potrà essere lo stesso. E secondo me questo è un bene.