Parlo di TAV e mi rovinerò, già lo so. In Italia ti salvi solo se dici “No” a tutto ciò che è difforme dalla norma, dal quieto vivere e, specialmente, dalle comodità tue, dei tuoi parenti fino al decimo grado, vicini, famigli e sodali. La TAV, poi, assai più di molteplici altre fonti di dissenso civile, contrapposizione e lotta, è un simbolo, caricato emotivamente e sostanziato dalla frequente presenze sui mass media, dagli scontri sempre un pochino più aspri e, oggi, dal processo a Erri De Luca, diamine! un intellettuale dalla parte del popolo che viene processato, siamo al fascismo!
Autore: Claudio Bezzi
Partecipare o decidere: un dilemma per il futuro della democrazia
Is political democracy, as it exists today, a viable form of government for the industrialized countries of Europe, North America, and Asia? (Trilateral Commission, The Crisis of Democracy, p. 2)
Nadia Urbinati mi ha indotto a leggere un vecchio saggio dal titolo La crisi della Democrazia (che potete scaricare integralmente QUI) prodotto 42 anni fa da un think tank noto come Commissione Trilaterale e scritto da tre autorevolissimi autori: Michel Crozier, uno dei più noti sociologi europei, Samuel Huntington, politologo americano già noto ai lettori di HR per il suo Scontro di civiltà di cui abbiamo discusso tempo fa e Joji Watanuki, sociologo nippo-americano. Il testo, oltre a uno sguardo prospettico pessimista sul futuro delle democrazie

La buona scuola e qualche insegnante così così
A me pare che la protesta degli insegnanti, assieme a molte giuste ragioni vorrei dire “d’ufficio” (nel senso che ognuno è ben titolato a comprendere il proprio stato e legittimato a protestare per quel che gli pare), ne abbia altre di spiccato corporativismo meno accettabili. E anzi questo corporativismo è banalmente analogo ai mille e mille corporativismi, particolarismi, sclerosi sindacali che bloccano da sempre l’Italia, non mostrando particolare specificità intellettuale, per capirsi, non distinguendosi per dialettica argomentativa o per liberalità pedagogica o per una qualsiasi proprietà distintiva rispetto alle proteste dei tassisti, dei netturbini, dei medici, degli statali, dei commercianti, dei notai, dei farmacisti, di qualsivoglia categoria alla quale un qualunque governo abbia tentato di mettere mano nei decenni. Tolte le molteplici buone ragioni degli insegnanti, che vanno ascoltati anche come portatori di competenze, oltre che di meri interessi, a me pare che raschiando un pochino la scorza corporativa faccia premio.
¡Que viva Cuba!
La mediazione di Papa Francesco, l’apertura storica di Obama che ha chiesto al Congresso la rimozione dell’embargo, adesso la visita ufficiale di Raúl in Vaticano. Un’epoca durata mezzo secolo sta velocemente lasciando il posto a uno scenario più nuovo e più giusto, perché niente di peggio dell’embargo ha minato la credibilità americana in tutto il Centro e Sud America e costretto un popolo alla fame, quella vera, per ragioni ideologiche che se avevano una qualche giustificazione decenni fa, da decenni sono solo una crudeltà insensata.

La finta realtà televisiva costruisce vere opinioni negli spettatori
Mi faccio vanto di non guardare mai certe reti televisive e in particolare certi programmi. Lo so, è un atteggiamento snob indegno di un sociologo, commentatore e blogger, ma la mia ostilità è troppo forte e trovo modo di spiegarvela a partire dal recente caso di Striscia la notizia che ha licenziato in diretta due inviati, Fabio e Mingo, dopo avere appurato che la loro inchiesta su un finto avvocato barese era una bufala inventata di sana pianta, come altri servizi precedenti. La faccenda è venuta alla luce solo perché si è mossa la Procura che ha deciso di perseguire il presunto reo chiedendo atti e carte inesistenti. Se Fabio e Mingo si fossero limitati a costruire finti servizi su casi meno “sensibili” per un procuratore probabilmente sarebbero ancora al loro posto a scandalizzare bravi cittadini con finti preti, finti cartomanti, finti pescivendoli e altre finzioni che da decenni (questo è il punto) la televisione spazzatura propina per lo scandalo dei benpensanti, la rabbia degli indignati, l’incredulità dei creduli.
Brexit, l’uscita dell’UK dall’Unione. Ovvero: chi è dentro non può più uscire?
Cameron ha vinto ed entro un paio d’anni manterrà la promessa del referendum per restare in Europa (non già nell’Euro dove non sono mai entrati, “semplicemente” nell’Unione Europea). Gli inglesi son fatti così, hanno una gloriosa storia di Dominion e in quest’Europa sono sempre stati stretti e l’idea di uscire dall’Unione vellica la parte più tradizionalista e conservatrice d’Oltremanica. Ma possono farlo? Intendo dire: possono stabilire d’averne abbastanza, smettere di rinnovare la tessera del club e farsi gli affari loro così, leggermente e impunemente? La risposta sembra essere “No”.
Fare Rete per aumentare l’efficacia dell’intervento pubblico. Facile a dirsi…
Mi trovo spesso coinvolto professionalmente nel problema della Rete (la ‘R’ maiuscola indica una specificità lessicale, oltre che una sua importanza). Intendo la Rete dei servizi (sanitari, sociali…) che in reciproca sinergia collaborano per agire sullo stesso ambito complesso al fine di migliorare le prestazioni complessive erogate non più solo come singoli servizi ma in quanto “sistema”. Comprendo che l’argomento può sembrare molto tecnico e poco interessante ma se – come cittadini, come utenti di servizi – ci pensate un attimo, capite come il tema sia rilevantissimo sia sotto il profilo dell’efficacia (buone prestazioni rese all’utente) che dell’efficienza (meno sprechi). Il termine viene utilizzato in pochi ambiti:
Expo sì, Expo no
I deficienti neri di Milano hanno fatto un gigantesco piacere a quel potere capitalistico che dicono di voler combattere oscurando completamente le ragioni dei No Expo. Alla luce delle mie ultime conclusioni sul diritto di tribuna delle minoranze antagoniste propongo qui le ragioni del No Expo per indicare poi quelle del Sì Expo. È bene chiarire che entrambe queste categorie di ragioni le traggo da siti e documenti altrui (che come al solito citerò) mentre le sole conclusioni finali sono mie opinioni.
No, no e poi no! Perché non ci va più bene niente
La valanga di critiche su qualunque argomento, fatto, opinione, decisione è in crescita esponenziale grazie ai molteplici luoghi e forme che il dissenso trova a disposizione per esibirsi. L’evoluzione dei giornali on line per esempio, con la possibilità – in alcuni casi illimitata o quasi – di sfogarsi liberamente è un fenomeno sociologicamente rilevante per osservare i meccanismi psicologici e culturali attraverso i quali una quantità di persone trova necessario esprimere le ragioni del proprio dissenso. Poi ci sono i blog, ovviamente, in particolare quelli “caldi” (penso a Grillo). Ma al di fuori della Rete ci sono le mille e mille possibilità democratiche di rappresentarsi dissentendo, e così abbiamo No Expo, No Tav, No Muos, No Tap, No Musa, No Crescent, No Grandi Navi, No Tubo, No Canal, No Petrolio, No Gassificatore Cassola, No Biogas Latina, No Debito, No Inceneritori Terni, Offshore No Grazie, No Scorie, No Cave e c’è perfino un Comitato No Lombroso
Italicum. Quali sono le ragioni vere di tutto ‘sto bordello?
La bagarre. Termine giornalistico come ‘vacanzieri’, ‘torrida estate’ e altri cliché linguistici che entrano nell’uso comune; in questo caso un simpatico francesismo per dire rissa parlamentare, tafferuglio politico, lancio di crisantemi (contro Renzi), ingollamento di mortadella (contro Prodi), esposizione di volantini, manifesti, corde da impiccato… Perché nel Parlamento le chiacchiere a un certo punto finiscono e c’è bisogno di mostrare, esibire l’indignazione suprema, lo scandalo indicibile a cui si assiste, la mostruosità inenarrabile degli avversari. E giù un bel cazzotto se l’avversario è a tiro. E sia bagarre, quella vista alla Camera dopo l’annuncio della fiducia all’Italicum.
Successo politico e carisma del leader. Il caso di Salvini
Le pagine dei giornali sono ormai quotidianamente occupate dalle contestazioni che Salvini riceve nei suoi improbabili tour fuori dai confini nazionali padani o nelle province remote e poco controllate della Padania (scusate, le Marche sono ancora Padania? Boh…). Anche un bambino capisce che la rissa è esattamente ciò che Salvini vuole, specie se provocata da negri, comunisti, zingaracci e terroni. Perché fare comizi e dichiarazioni quando tutto il lavoro propagandistico glie lo fanno gli altri? Evidentemente questa strategia comunicativa – perché di questo solo si tratta – è discretamente efficace visti i sondaggi
Divorzio breve, malafede lunga
Il cosiddetto divorzio breve (ma non brevissimo) è legge e va segnalata la grande convergenza politica su un testo che poteva essere migliore ma che deve essere computato come una vittoria democratica e liberale. “Democratica e liberale”, e quindi non della destra estrema (Meloni) e non della Chiesa cattolica. Onestamente io sono lieto della legge e potrei infischiarmene della Meloni e dei cattolici più oltranzisti, ma a partire da quello che loro sostengono, nella loro contrarietà, si può fare un esercizio interessante di carattere antropologico.
Se non riusciamo neppure ad accorpare i piccoli Comuni…
Fra le diverse misure di snellimento dell’apparato pubblico, capace di fornire servizi con più efficacia e minori costi, c’è indubbiamente anche l’accorpamento dei piccoli comuni, che va ad aggiungersi all’abolizione delle Province, a un ridisegno complessivo delle Regioni e ad altre iniziative di cui abbiamo più volte parlato su queste pagine.
Immigrazione, invasione, disperazione, desolazione
Non mi sarebbe parso necessario un post sulle tragedie dei barconi nel Mediterraneo se non mi fosse salita, più forte della pietà per le vittime, la rabbia per gli sciacalli che speculano politicamente: Salvini, Meloni, Santanché in un crescendo di cinica imbecillità propongono soluzioni improponibili raccogliendo i loro pochi miserabili applausi dal popolo di pancia che costituisce la base del loro elettorato. Niente pensiero, niente cultura, niente logica prima ancora di nessuna pietà. Non stupitevi se assegno così poco rilievo, in questo testo, alla pietà verso le vittime; è voluto, è necessario. Il sentimento della pietà, per quanto nobile, è frutto di sentimenti, di modi di intendere l’altro, il diverso, lo straniero, in questo caso l’immigrato; riguarda il senso che hai della vita e la tua concezione dei destini dell’umanità… qualcosa di troppo variabile e impalpabile. Non si può discutere in termini di pietà con Salvini e i suoi uomini di pancia. Io vorrei proporre un discorso freddo, tutto di testa, basato su questioni puramente logiche e razionali. Se riusciamo a restare in questi binari forse vediamo la natura dei problemi e intravvediamo qualche barlume di soluzione. Praticabile.
I sociologi ci raccontano il destino del mondo (con una conclusione sul ruolo degli intellettuali)
Questo articolo è parte di un ciclo di tre in cui un gruppo qualificato di sociologi ci ha raccontato la sua visione dei problemi attuali e dei possibili sviluppi. I tre articoli sono così organizzati:
- l’Europa (il primo articolo); per precisazioni sul metodo di intervista e un’introduzione generale (con link all’elenco dei sociologi partecipanti) rinvio a questo;
- l’Italia (il secondo articolo);
- il mondo, e conclusioni sul ruolo degli intellettuali (il presente articolo, che conclude la serie).
Va da sé che una domanda sui “destini del mondo” non è semplicemente complessa quanto impossibile. Benché abbia una discreta stima del pensiero sociologico non pretendevo di avere, dal gruppo interpellato, un breviario dei problemi mondiali e semmai le loro soluzioni. Ma dopo “Italia” ed “Europa” ho voluto provocare i miei partecipanti per cercare di cogliere sostanzialmente alcune dimensioni generale entro le quali collocare le precedenti risposte più “locali”. Insomma: i problemi dell’Italia, l’affanno europeo, sono collocati in uno scenario più ampio di cui volevo almeno la segnalazione delle principali dimensioni.