Renzi dalla visione politica alla “politica-opportunity”

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Di giustificazioni Renzi ne ha indiscutibilmente diverse, a partire dal fatto che si ritrova una maggioranza innaturale ereditata dalla precedente gestione del PD, quella di Bersani con la sua disastrosa “non vittoria” e le conseguenze successive che non dobbiamo dimenticare (incarico fallito, disastro per le elezioni del Presidente, maggioranza di Letta fondata su un compromesso bloccato e bloccante con Alfano…). Renzi ha avuta la capacità di spezzare una spirale involutiva con un programma inizialmente riconoscibile (è quell’inizialmente la chiave del ragionamento) che partiva dagli slanci della Leopolda e delle prime primarie (quelle perse contro Bersani) che aprivano il PD a un orizzonte inedito di natura liberal-socialista (“liberal-socialista” è un’etichetta importante e ingombrante con nobilissimi padri, lasciatemela utilizzare qui senza eccessivi retropensieri) svincolata da pastoie ideologiche. L’attrattività di Renzi, o la repulsione che ha generato Renzi, nascono dalla combinazione di questi due elementi: un programma liberal-socialista svincolato dalle vecchie ideologie del ‘900. Che ciò generasse simpatie da parte di un elettorato moderato e antipatie da parte di coloro che hanno poi deciso di uscire dal partito non ha in sé nulla di strano o inopportuno.

La visione renziana del 2012, quando si candidò alle primarie e perse contro Bersani, conteneva dei punti qualificanti importanti che dettero subito il segno della cifra renziana; andatevelo a rileggere; contiene fra l’altro, questi elementi:

  • superamento del bicameralismo;
  • legge elettorale;
  • abolizione finanziamento pubblico;
  • eliminazione e/o riduzione degli enti;
  • riduzione debito pubblico tramite dismissioni patrimoniali;
  • lotta all’evasione e riduzione fiscale;
  • più asili nido; vari investimenti e interventi sulla scuola (inclusa la valutazione);
  • liberalizzazioni;
  • più manutenzione e meno inaugurazioni; grandi opere solo se servono davvero;
  • semplificazione terzo settore;
  • costi standard in sanità;
  • semplificazione fiscale;
  • valutazione e merito nel pubblico impiego;
  • tolleranza zero contro la corruzione;
  • cittadinanza ai figli di stranieri;
  • civil partnership; registrazione coppie di fatto; divorzio veloce…

Mi fermo, perché il programma è più ricco (e argomentato) e se volete potete leggerlo.

Che vi piaccia o no (questo non è un post pro o contro, ma un momento di riflessione politica) questo programma ha una sua chiara organicità e coerenza in senso riformista. Diversi (non pochi) dei punti elencati sono stati effettivamente messi al centro dell’azione di Renzi o sono in agenda. Non si può imputare a Renzi la colpa di essere effettivamente quello che ha sempre dichiarato di voler essere, un liberal-riformista. E il popolo italiano l’ha capito e ben votato…

Ciò premesso non si può non notare la progressiva opalescenza di questa visione. Dopo avere tenuti alti per mesi i toni politici, anche all’interno del suo stesso partito, forzando la mano, minacciando e rischiando, espellendo le frange di sinistra dissidenti, imbrigliando Berlusconi, annichilendo Alfano, ecco che da alcuni mesi il Renzi-pensiero mostra quella che a mio parere è una chiara involuzione rispetto alla visione precedente. La sciagurata incapacità di leggere politicamente la vicenda Marino scegliendo strade apparentemente facili ma prive di spessore politico e scarsamente lungimiranti, mai chiaramente spiegate, lasciate gestire a figure di secondo piano; la mossa dell’IMU, demagogica e non equa, che nulla ha a che fare con la riduzione del carico fiscale; la decisione di una legge di stabilità che fa leva sul deficit; la frettolosa approvazione del finanziamento ai partiti; il rinvio del disegno di legge sulle unioni civili; il disprezzo per la proposta Boeri sulle pensioni che fa seguito all’analogo (e di molto precedente) verso Cottarelli e la spending review; infine la sparata sul ponte sullo stretto di Messina. Nessuna di queste azioni, o dichiarazioni, ha a che fare con una visione liberal-socialista, riformatrice, in linea col vecchio programma di Renzi.

Dare un giudizio diventa sempre più arduo perché assieme a questi segnali involutivi permangono le iniziative portanti della linea del governo sulle riforme; quella del Senato è ormai conclusa, il Jobs Act ha avuto anche i suoi decreti, la Scuola, l’immigrazione… molte cose sono state fatte (vige sempre la clausola sospensiva: che vi piacciano o no; non è della giustezza delle sue azioni che qui si tratta) ma la strada della visione renziana, inizialmente ampia e chiara, appare via via più tortuosa e infestata da erbacce. E non si può dire: colpa della sinistra PD; e non si può dire: colpa della palla al piede dell’NDC; né si può dire che le statistiche su lavoro ed economia non stiano aiutando il governo. La spiegazione deve risiedere altrove.

Fenomenologia di Matteo Renzi. Per cercare una spiegazione plausibile occorre far precedere alcuni presupposti all’argomentazione, quindi:

  • presupposto 1: Renzi non è matto e non è stupido ma ha un disegno;
  • presupposto 2: Renzi sa (alcune) cose che noi non sappiamo.

Fra le cose che Renzi sa e noi no (oppure, meglio: noi non ci preoccupiamo di saperle) ce ne sono alcune piuttosto rilevanti:

1) Renzi gode di un grande appoggio europeo (specie Germania ma non solo) perché visto come sponda italiana all’avanzare del populismo e come unico, al momento, capace di portare il Paese fuori dalle posizioni di coda; è per questo che Renzi si permette pubblicamente di sfidare Bruxelles, per esempio sulla legge di stabilità; lui sa di avere più margini politici di tutti i suoi precedenti e si può permettere di ignorare il fiscal compact e le misure drammaticamente prese da Draghi soli tre anni fa. Scrive a questo proposito Marcello Esposito:

La riduzione della pressione fiscale avrebbe dovuto essere finanziata da una efficace revisione del ruolo e della dimensione della spesa pubblica. Mentre la diminuzione della spesa per interessi, favorita dalla politica monetaria della Bce, sarebbe dovuta servire principalmente per ridurre il rapporto debito/Pil. E, invece, della spending review è rimasto poco e quel poco assomiglia terribilmente alla stagione dei tagli lineari. Lo spazio creato dal Quantitative Easing di Mario Draghi viene usato o per ridurre le tasse – quelle meno legate all’attività produttiva, come quelle legate agli immobili – o per finanziarie ogni sorta di bonus. Bonus energia, bonus mobili, bonus 80 euro, bonus neo-assunti, super-ammortamenti … lo Stato più che ridurre la propria presenza e semplificare il codice fiscale, aumenta il grado di interferenza con i meccanismi allocativi dell’economia di mercato.

Così Renzi cerca di attrarre consensi (non si vede altra spiegazione a scelte così sciocche) sulla pelle del bilancio scommettendo su una ripresa di cui si vedono, al momento, segnali comunque ancora deboli.

2) La sinistra radicale composta da SEL (più o meno Fassina), Possibile e compagnia danzante arriva all’incirca al 5% (sondaggio Euromedia del 2 Novembre) ma si dovrebbe presentare come nuovo soggetto unico (e non come coalizione) per superare con certezza alla Camera lo sbarramento del 3%; a destra una miriade di sigle di scarso appeal (anche la Lega di Salvini ha concluso il suo exploit) stimabile attorno o poco sopra il 30%. La vera battaglia, in caso di elezioni a breve, sarà fra il PD di Renzi (oggi circa al 31% ma in flessione) e 5 Stelle (oggi circa 27% in crescita). Il punto è quindi: cosa sa Renzi, che noi non sappiamo o capiamo, riguardo una sua vittoria al ballottaggio (previsto dalla nuova legge) contro Grillo? Perché i dati dei sondaggi danno i due testa a testa al 50%… Forse che l’involuzione populista renziana è un tentativo di strizzare l’occhio ai ceti moderati di destra che potrebbero altrimenti non votarlo al ballottaggio?

In conclusione Renzi sembra avere imboccata una strada ambigua: avanti con le riforme strutturali con tentativi di seduzione di aree tradizionalmente di destra; voce grossa in Europa come sceneggiata per mostrarsi non prono ai poteri europei, indipendente e burbero, sia pure in ambito Euro. Se questo fosse tutto un gioco comunicativo volto a far piazza pulita di opposizioni interne ed esterne con un all in al ballottaggio elettorale, per mostrarsi unico baluardo ai populismi di destra, unico riformatore degli ultimi trent’anni di Repubblica, beh, onestamente, devo dire che sarei estremamente preoccupato. Gli strappi renziani interni al partito hanno portato all’isolamento delle minoranze di sinistra ma anche allontanato i simpatizzanti non schierati, stufi delle faide interne; alcune riforme sono state fatte e possono essere oggetto di vanto ma la gran parte del popolo italiano è più interessato a fisco, liberalizzazioni e lavoro, più che al Senato e alle Province o alla legge elettorale. Le riforme veramente liberali in tema di diritti civili tardano ad arrivare proprio perché piacciono e sono sollecitate da minoranze di sinistra e osteggiate da destra e Vaticano (il cattolicissimo Tronca non è stato nominato commissario romano per caso…)… Insomma la scommessa di Renzi, se di questo si tratta, si gioca sul filo di un rasoio e sulla pelle degli italiani.

Ammesso, ovviamente, che non sia errato il presupposto numero 1.

(Per una comprensione di certi passaggi di questo articolo è arrivata giusta giusta l’intervista che Renzi ha rilasciata a Federico Geremicca della Stampa l’8 Novembre)