Gli italiani sono probabilmente così presi dalla caduta di Marino, dalle esternazioni di Tavecchio e dalla crisi delle mezze stagioni che potrebbero avere preso sotto gamba le elezioni turche che, domenica scorsa, hanno restituito a Erdogan il potere assoluto sulla Turchia, momentaneamente incrinato sei mesi fa (precedenti elezioni). Nella percezione un po’ provinciale che spesso alligna in Italia la Turchia è al massimo la Moschea Blu di Istanbul da visitare prima del Gran Bazaar. Un posto bellissimo abitato da gente baffuta che emigra in Germania, roba lontana…
Invece la Turchia ha molto a che fare con la nostra vita quotidiana e potrebbe averne a che fare ancora di più. La Turchia è la porta dell’Asia in Europa (e non viceversa); è paese di enormi risorse naturali ancora non sfruttate capaci di cambiare i rapporti economici in Europa, qualora la Turchia fosse ammessa al nostro confuso consesso; è membro della NATO con uno dei dieci eserciti più potenti del mondo (e conseguentemente col più potente in quell’area calda – fonte); l’Italia è il suo quarto partner commerciale per esportazioni e quinto per importazioni, parliamo di nove miliardi di Euro (2014 – fonte); e infine ha due milioni di rifugiati in attesa che le autorità locali decidano in che misura e tempi far loro intraprendere della rotta balcanica di cui abbiamo già parlato. Ci sarebbero molti altri dati per mostrare l’importanza della Turchia, non in termini astratti ma come protagonista, in un modo o nell’altro, delle nostre vite, in termini economici, in termini di sicurezza e pace.
E poi c’è Erdogan detto “il Califfo”, protagonista da 12 anni di una svolta islamista che allontana l’ingresso turco nell’Unione Europea, che si pone con estrema ambiguità nei confronti del fondamentalismo islamico, che chiude giornali di opposizione e imprigiona i critici di quello che è diventato essenzialmente un regime oppressivo e che punta a cambiare la Costituzione in senso presidenzialista, sostanzialmente a suo favore (su questo punto ha qualche modesta difficoltà, non insormontabile – fonte). Erdogan rappresenta plasticamente quella categoria dello spirito che il pensiero veloce chiama “islamismo moderato”, che altro non è che un dispotismo moderato, oppressore al suo interno ma disponibile a far affari con gli occidentali. Devo insistere su questo punto: noi vogliamo il petrolio saudita, i resort egiziani, i metalli turchi e distogliamo lo sguardo dalle gravissime violazioni dei diritti umani, dalle intollerabili discriminazioni di genere, dalle contiguità note e documentate col terrorismo che sottolineiamo con vigore se riguardano altre nazioni.
La Turchia è un paese cruciale per la soluzione della crisi siriana, per la lotta all’Isis, per le rotte degli immigrati, per lo sviluppo economico mediorientale ed europeo, come guida cui guardano molti paesi islamici. Ce n’è abbastanza per guardare molto attentamente a ciò che accade. E ora una selezione di pareri dalla stampa internazionale.
Turkey’s election deepens Erdogan hold on power amid regional crises, di Ishaan Tharoor, “The Washington Post”, 1 Novembre 2015:
Il Primo Ministro Ahmet Davutoglu, l’attuale leader del partito che ha fondato Erdogan, è stato in grado di formare un governo di coalizione [sei mesi fa – NdT], aprendo la strada a un nuovo turno elettorale che Erdogan sperava avrebbe ripristinato la posizione dell’AKP [il partito di Erdogan – NdT].
Ma, in assenza di un governo stabile, la vacillante economia del paese si è ulteriormente indebolita, con la lira turca ora in bilico al punto più basso di tutti i tempi. La Turchia ha anche sperimentato una recrudescenza di violenza durante l’estate. La decennale guerra civile con i separatisti curdi ha avuto riflessi nella vita quotidiana, e presunti terroristi dello Stato Islamico hanno colpito obiettivi in Turchia, tra cui Ankara, dove un doppio attentato ad un raduno di sinistra ha ucciso 102 persone nel peggior attacco terroristico della storia moderna del paese.
I critici di Erdogan hanno sostenuto che il clima di tensione e contrapposizione della politica turca è stata una diretta conseguenza del suo stile demagogico. Ma Erdogan ha sostenuto che il governo monopartitico dell’AKP è la migliore garanzia di sicurezza della Turchia e per gli interessi nazionali.
“E ‘ormai evidente quanto sia importante la stabilità per la nostra nazione. Tutti noi dovremmo rispettare la volontà nazionale”, ha detto Erdogan ai giornalisti domenica dopo aver votato in una scuola a Istanbul, nel quartiere verdeggiante di Kisikli, sul lato asiatico del Bosforo.
A giudicare dai risultati delle elezioni, molti elettori hanno ascoltato il messaggio. “Ciò dimostra che l’elettorato turco si preoccupa di più per la stabilità e l’economia, piuttosto che per i diritti, la libertà di espressione, e altre cose che dovrebbe importare in una democrazia normale”, ha detto Suat Kiniklioglu, editorialista ed ex parlamentare turca.
Worried over security, Turkey rallies behind Erdogan, di M.K. Bhadrakumar, “Asia Times”, 2 Novembre 2015:
La politica di paura e divisione di Erdogan si è rivelata un enorme successo. Aveva già una base elettorale ‘islamista’ ma è riuscito a inserirsi in una spessa fetta di elettori nazionalisti estremi, e la combinazione si è dimostrata imbattibile. Non esiste una vera e propria contraddizione perché l’islamismo (leggi: la religione) e l’ultra-nazionalismo sono compagni di viaggio. La retorica è il collante che li lega ed Erdogan è un demagogo di prim’ordine. […] Per Erdogan il voto di domenica è stato un evento “do-or-die” e ora ci si aspetta che porti avanti la sua agenda di riforma costituzionale per stabilire una forma di governo presidenziale. In ogni caso, la sua autorità esecutiva rimane indiscussa sotto un governo dell’AKP che sicuramente seguirà il copione da lui stabilito in materia di politica.
Will Erdoğan allow greater press freedom in Turkey? Don’t count on it, di Roy Greenslade, “The Guardian”, 2 Novembre 2015:
La vittoria elettorale a sorpresa di Recep Tayyip Erdoğan non depone bene per il giornalismo in Turchia. Un presidente che ha dimostrato scarso rispetto per la libertà di stampa in questi ultimi anni è improbabile che si preoccupi del che il suo paese sia uno dei più prolifici incarceratori di giornalisti al mondo.
Sotto le amministrazioni dell’AKP di Erdogan, dal 2003, sia come primo ministro o presidente, il lavoro giornalistico è diventata un’attività pericolosa. I giornalisti che hanno scritto o trasmesso servizi sulle cosiddette “questioni delicate”, in particolare il terrorismo, si sono trovati di essere accusati di infrangere la legge. Mercoledì scorso (28 ottobre), la polizia ha fatto irruzione negli uffici di Istanbul del gruppo Koza İpek e ha spento le trasmissioni televisive in diretta. All’esterno ha usato cannoni ad acqua e gas lacrimogeni contro i manifestanti che si sono riuniti a sostegno della società televisiva. Il gruppo, che possiede cinque testate giornalistiche e televisive […] è vicino al rivale politico di Erdogan, il religioso islamico Fethullah Gulen. Il partito di Erdogan considera Gulen, che vive in un esilio auto-imposto negli Stati Uniti, come il leader di un’organizzazione illegale. Al posto di telegiornali sulle l’elezione, le due stazioni televisive sono stati costrette a trasmettere documentari sulla seconda guerra mondiale e la vita di cammelli.
Infine, a dimostrazione che pecunia non olet e che continueremo a comperare gas da Putin, componenti dalla Cina e sigari da Cuba indipendentemente dai regimi e da quello che combinano, ecco la posizione europea sulle elezioni turche:
EU commends Turkey’s ‘commitment to democratic process’, “Middle East Monitor”, 2 Novembre 2015:
L’Unione europea ha descritto le elezioni della Turchia come “un forte impegno del popolo turco ai processi democratici”. In una dichiarazione congiunta resa il lunedì dopo che i risultati delle elezioni in Turchia erano stati annunciati, il capo della politica estera dell’Unione europea Federica Mogherini e il commissario Ue all’Allargamento, Johannes Hahn, hanno dichiarato: “le elezioni generali di domenica in Turchia, che ha avuto un’alta affluenza alle urne, hanno riaffermato il forte l’impegno del popolo turco per il processo democratico “. “L’UE collaborerà con il futuro governo al fine di rafforzare ulteriormente il partenariato UE-Turchia per continuare a migliorare la nostra cooperazione in tutti i settori, a beneficio di tutti i cittadini”, hanno aggiunto nella dichiarazione.
UE e la Turchia sono in procinto di negoziare un piano d’azione per i rifugiati, in base al quale i 28 membri dell’Unione offriranno finanziamenti alla Turchia per la riduzione del flusso di richiedenti asilo che entrano in Europa in cambio di visti più facili per i cittadini turchi che cercano di visitare Europa.
[…] Anche lunedi, il segretario generale del Consiglio d’Europa Thorbjorn Jagland ha dichiarato di essersi congratulato con il primo ministro turco Ahmet Davutoglu “sul risultato del Partito AKP nelle elezioni di ieri con una così forte affluenza alle urne”. Jagland ha auspicato che “quando il nuovo governo sarà formato esso prenderà l’iniziativa per affrontare le numerose sfide che la Turchia oggi e per costruire una società inclusiva che abbracci tutti coloro che non hanno votato con la maggioranza”. “Siamo lieti di continuare il nostro dialogo e la cooperazione con la Turchia in settori di importanza per il Consiglio d’Europa, tra cui il ruolo del paese nell’ospitare più di due milioni di rifugiati, la riforma del sistema giudiziario e la libertà di espressione”, ha aggiunto.
Risorse in italiano:
- Franco Venturini, Le colpe europee, “Corriere della Sera”, 2 Novembre 2015;
- Francesco De Palo, Turchia, la straordinaria anomalia di Erdogan, “Il Fatto Quotidiano”, 2 Novembre 2015;
- Alberto Negri, Turchia, perché Erdogan ha stravinto il voto della paura, “Il Sole 24 Ore”, 1 Novembre 2015;
- Alessio Aringoli, Così la vittoria di Erdogan rischia di trasformarsi nella vittoria dell’Isis, “L’Huffington Post”, 2 Novembre 2015.