Da qualche giorno un sentimento di angoscia e inadeguatezza attraversa come un’onda gran parte del web. Trapela dai post di molti amici un senso di smarrimento simile a quello del bravo ragazzo che prende un brutto voto al liceo, eppure di solito va bene, eppure aveva studiato tanto, e attonito promette a sé stesso che si impegnerà di più, anche se non sa ancora in che modo.
Nulla di grave in realtà: semplicemente gli intellettuali di sinistra hanno fatto il test del Fascistometro di Michela Murgia, risultando a sorpresa tutti, nella migliore delle ipotesi, protofascisti, se non peggio.
Naturalmente a destra si registrano livelli di fascismo maggiori, da “militante consapevole” fino al livello più alto, “patriota”, ma così come a scuola gli studenti indisciplinati fanno spallucce o addirittura si vantano del voto pessimo, mentre il bravo ragazzo studioso si dispera anche per una lieve insufficienza, così la maggior parte degli elettori di destra si compiace dell’esito, mentre la sinistra, come è sua abitudine, cade in crisi. Ma come, ci si domanda increduli, io fascista?
C’è chi sostiene che il test sia ironico, poiché è legato alla promozione del nuovo libro di Michela Murgia, “Istruzioni per diventare fascista”, in cui l’autrice usa effettivamente il paradosso e il ribaltamento. Si tratta infatti di una serie di consigli sarcastici per apprendere e praticare il fascismo, più economico ed efficiente rispetto alla confusa, dispendiosa e instabile democrazia. Il libro è interessante, contiene alcuni ragionamenti arguti e condivisibili e la scrittura della Murgia è sempre notevole, ma l’ironia appare limitata alla tecnica narrativa, mentre la sostanza si rivela molto ideologica. E il test, purtroppo, è molto serio.
Il Fascistometro è semplice, elenca 65 frasi e chiede di selezionare quelle in cui si ravvisa buon senso. Più frasi si selezionano, più si risulterà fascisti. A tutte le frasi, il test assegna lo stesso peso ai fini del risultato finale, a meno di piccoli arrotondamenti.
Esaminando le frasi, è evidente come vadano da semplici luoghi comuni, di quelli che contengono quel po’ di verità legato proprio al cosiddetto buon senso, ad affermazioni effettivamente fasciste o maschiliste (le rivalutazioni di Mussolini, l’idea che una donna sia colpevole del proprio stupro), ad altre fuori contesto (le quote rosa sono offensive per le donne), ad altre ancora che semplicemente andrebbero approfondite (non si fa nulla per il problema delle culle vuote), a giudizi lapidari su intere categorie (giornalisti, sindacati), ma anche ad alcune indiscusse verità, verità già dimostrate dai numeri (molti non sono profughi, ma migranti economici), verità che non si possono più dire perché le ha dette il politico sbagliato (sarebbe meglio aiutarli a casa loro, un paese senza confini non è un paese), verità che speriamo di non smettere mai di dire perché sacrosante (facile parlare quando hai il culo al caldo e l’attico in centro)
E’ altrettanto evidente che quel che emerge non è il fascismo o l’antifascismo, ma più semplicemente il pensiero politico della Murgia: femminista e favorevole alle minoranze ma immigrazionista all’estremo, favorevole al suffragio universale ma ostile a qualsiasi forma elettorale che comporti un esecutivo più forte, solo per fare qualche esempio. Dopo una breve analisi del test(o) mi sento quindi di rassicurare gli amici e me stessa: essere fascisti è semplicemente non essere Michela Murgia, la quale fa, letteralmente, riciclando una facile battuta, di tutta l’erba un fascio.
In più si può verificare che anche selezionando 0 frasi, quindi non riconoscendosi in nessuna delle affermazioni, si risulta protofascisti. Essere predisposti al fascismo è quindi la dotazione di base, per un italiano, per un europeo o forse per un occidentale: il fascismo è una specie di peccato originale da cui nessuno è immune. D’altra parte, non dimentichiamo che Michela Murgia nasce cattolica, è stata per anni insegnante di religione: perché dovrebbe esimersi dall’infonderci un po’ di sano senso di colpa? Si potrebbe poi parafrasare quel brutto detto orientale sull’uomo che torna a casa e picchia la moglie: ogni volta che incontri un lettore (o un elettore), digli che è fascista, tu non sai perché, ma lui sì. Siamo al pan-fascismo totale globale, e su quanto questo diluisca e renda debole il concetto si è già detto molto.
Però, pensandoci meglio – e potrebbe realizzarsi proprio in questo la vera ironia, per quanto inconsapevole – quale suprema forma di fascismo è voler definire gli altri e sé stessi attraverso un elenco di luoghi comuni? In questo senso, il test diventa una forma di meta-fascismo. Infatti, volendo ritenere ogni semplificazione implicitamente fascista – e questo hanno in comune tutte le frasi proposte, essere semplificazioni di ragionamenti complessi – il fatto stesso di chiedere a un test di definirci è un atto fascista, e ci rende tali nel momento stesso in cui premiamo il tasto “calcola”. Quindi sì, ci siamo cascati, la curiosità ci ha ucciso ed ora siamo fascisti. Come possiamo venirne fuori?
Se le parole stesse, in quanto definiscono, sono fasciste, se il pensiero stesso, in quando opera distinzioni, è discriminatorio, cosa ci resta, se non rinunciare a tutto ciò che ci rende quello che siamo, non solo ai confini geografici, ma ai confini di noi stessi?
Ma se non fossimo disposti a questo, forse esiste una soluzione alternativa, che ci consenta la sopravvivenza. Affrontare quel peccato originale che tutti ci accomuna, accettare che siamo tutti colpevoli, anche se non sappiamo bene di cosa. Pregare, chiedere perdono. Comprare il libro della catechista del fascismo Michela Murgia. Espiare. Leggerlo come un breviario. Ora non possiamo farne a meno, perché è l’unico che potrà svelarci come non essere più fascisti, oppure che potrà dirci che no, non era vero, era tutto uno scherzo, un gioco, oppure darci gli strumenti per difenderci, per dire no, sbagli tu, io non sono fascista, fascista sarai tu.
Ma in ogni caso, ora dobbiamo comprarlo, pagare questa piccola indulgenza per salvare la nostra anima, perché un marketing efficace, forse solo questo ormai, a quanto pare non è fascista.
Contributo scritto per Hic Rhodus da Viviana Viviani. Lavora come consulente aziendale ed è giornalista pubblicista. Ha pubblicato nel 2011 il romanzo Il canto dell'anatroccolo con Corbo editore e ha pubblicato racconti sulle antologie "A Bologna piace Giallo" e "Fino alla fine" di Damster. E' ideatrice, insieme al collettivo di scrittura Gruppo Lizard, del progetto letterario "Penitenziagite! Un cadavere nella rete", la prima Social Network Novel, in rete da aprile 2018.