La poesia, l’anarchia e perché Salvini ha tutto il diritto di citare De Andrè

Il pescatore di De Andrè è una canzone complessa e criptica, che già a suo tempo fu soggetta a diverse interpretazioni. Portandola nel contesto attuale, appare subito evidente come su tutte emerga l’interpretazione leghista. Il pescatore, assopito sulla riva del fiume, che aiuta un assassino in fuga fornendogli cibo (un assassino eh, mica un ladruncolo. Un assassino! Forse proprio un tagliagole dell’ISIS) è chiara metafora dell’accoglienza indiscriminata e selvaggia messa in atto sulle coste italiane dal precedente governo. Come prevedibile l’assassino, dopo aver ricevuto aiuto, si dà alla fuga – sappiamo quanto spesso ciò avvenga nei centri di accoglienza – ed è chiaro che continuerà a delinquere. Nelle parole “fu il calore del momento, poi via di nuovo verso il vento” non c’è infatti traccia di redenzione. Ma non ancora soddisfatto dell’aver dato supporto al criminale, il pescatore nega le informazioni ai gendarmi che lo interpellano, finge di dormire, mette in atto una vera e propria omertà mafiosa. Il suo intervento non è quindi solo di supporto umano, apprezzabile in un’ottica civile o cristiana, ma di vero e proprio ostacolo alla legalità. Alla luce di questa interpretazione non appare quindi affatto fuori luogo la scelta di Salvini di citare proprio questa canzone a sostegno della propria politica

E’ credibile questa nuova lettura? Beh, sulla libertà d’interpretazione nel triangolo autore-lettore-opera sono state scritte pagine, ma di certo sarebbe una distorsione notevole del messaggio originario: chiunque conosca la poetica di De Andrè sa che era anarchico, contrario ad ogni forma di potere, a favore degli ultimi a prescindere, compresi i criminali efferati. Ha ragione quindi Salvini a citarlo a sostegno della propria politica? No, non l’avrebbe per nulla, ma il punto è che Salvini non l’ha fatto, mai, nemmeno lontanamente. Ha scritto semplicemente “grazie poeta”, come omaggio all’artista, nel giorno del ventesimo anniversario della sua morte.

E questo è più che legittimo, da parte di chiunque. A strumentalizzare politicamente la cosa sui social  è stata invece l’opposizione, mettendo purtroppo in atto uno dei tanti attacchi vuoti e controproducenti e dimostrando ancora una volta una presunzione intellettuale evitabile.

De Andrè, anche da vivo, non ha mai voluto essere inquadrato politicamente, se non in una posizione anarchica. Raramente votava, e una delle poche votò DC, per sostenere un amico che stimava, nè risultano sue requisitorie contro nessuno dei politici del tempo. Parlava tramite le sue canzoni, che pur trattando temi al centro della politica rimangono a uno stadio prepolitico, ben lontano dalla prassi. In Khorakhané,  quando dice “ora alzatevi spose bambine/anche oggi si va a caritare”, crea un’immagine evocativa ben lontana dalla reale condizione delle bambine rom. In Bocca di rosa racconta di una donna che ama con passione tutti gli uomini del paese senza chiedere nulla in cambio, creando il personaggio fiabesco e irreale di una favola erotica maschile, così come in Via del campo parla di prostituzione con immagini poetiche suggestive, ma mai si chiede se quella ragazzina che sorride abbia scelto di starci, in quel letame da cui nascono i fior, o se esista un modo per salvarla. 

La sua accettazione totale degli ultimi è affascinante, ma ben lontana da ogni concretezza. D’altra parte, la poesia vola molto al di sopra dei problemi che la politica è chiamata ad affrontare. Come si può quindi pensare di dare una connotazione politica ad un uomo che non l’ha mai voluta nemmeno in vita, e che scomparso ormai da vent’anni non ha mai nemmeno potuto confrontarsi con i temi attuali? Se De Andrè vivesse oggi, sarebbe antisalviniano? Probabile. Ma cosa penserebbe degli altri partiti? Sarebbe europeista e liberista, voterebbe PD? Sarebbe una maglietta rossa, un sostenitore dell’immigrazione no borders, salirebbe a bordo delle ONG, oppure sarebbe un radical chic che scrive invettive dal suo salotto? Stimerebbe Saviano e Murgia o li riterrebbe a loro volta servi del potere? Come si sposerebbe la sua anarchia con l’obbligo vaccinale? Forse sarebbe stato grillino, di fianco al suo amico e testimone di nozze Beppe, ma solo nella prima fase, quella dei vaffa, perchè poi, come ogni anarchico sa, il potere corrompe. O forse, come l’amico e rivale De Gregori, giungerebbe alla conclusione che “è sempre più difficile capire chi oggi nella politica esprima le ragioni dei deboli e chi dei forti”. Mi piace pensare che di questi tempi coglierebbe la complessità e starebbe lontano dalle tifoserie, anche da quelle che ora ritengono Salvini indegno di omaggiarlo. 

Poi, molto probabilmente, anche oggi sceglierebbe di restare fuori dalla politica e dentro la poesia. Scriverebbe di una Marinella in Burqa e di un bombarolo islamico, e verrebbe accusato di islamofobia o islamofilia, a seconda delle parti. Se oggi fosse giovane forse scriverebbe un nuovo Cantico dei drogati in versione trap, che ad alcune mamme non piacerebbe, e forse, lui fiero di aver detto per primo la parola “puttana” in una canzone, si stupirebbe di non poterlo più dire, perchè oggi si chiamano sex workers.  Resta il fatto che quel che penserebbe oggi De Andrè non lo possiamo sapere, e se parlare di ragù e Nutella per attaccare Salvini dimostra povertà di argomenti ma è tutto sommato innocuo, rivendicare l’esclusiva di una parte politica sulle opere di un poeta anarchico, pretendere di decidere chi è o non è degno di citarlo, ha il retrogusto acido e la consistenza viscida di una presunzione di egemonia intellettuale in cui non è più ammissibile cadere, specie se si vuole recuperare un elettorato smarrito, perchè l’arte e la poesia vanno oltre il tempo, lo spazio e le fazioni, appartengono a tutti, anche a quelli che non ci piacciono. Chi non comprende questo non è un intellettuale, tantomeno un intellettuale illuminato e accogliente.