Organizzare il rimpatrio di un connazionale in tempo di pandemia e in regime di divieto di spostamenti

Ecco come racconterò ai nipoti di averlo fatto.

“Sapete, cari, era l’anno 2020 e ci trovammo in questa pestilenza, cioè la chiamavano così e la paragonavano alla pestilenza di cui parla Manzoni nei Promessi Sposi, ma non c’era nemmeno un lontano paragone… vabbè ma non divaghiamo.

In pratica capitò questo virus, e il Governo decise di chiudere tutto, di vietare ogni spostamento, insomma, non si poteva fare praticamente nulla”

“Cioè non potevate uscire?”

“No, non si poteva, tranne che per fare poche cose indispensabili. Se andavi a comprare il pane, la gente ti urlava dalla finestra : “STATE A CASAAAAAAAA”, poi c’erano sindaci che facevano video dove minacciavano di usare il lanciafiamme se si fosse organizzata una festa di laurea e c’erano presidenti di Regione che volevano usare i droni per verificare che nessuno si allontanasse da casa propria oltre 200 metri.”

“Ma è pazzesco!”

“Era pazzesco, sì. E fu proprio in questo clima di terrore, in cui la gente ti fotografava quando uscivi di casa, che mi capitò di dover organizzare il rientro di vostra madre dall’estero. In quell’anno, studiava a Dublino. In Irlanda il virus era decisamente sotto controllo, tipo che in tutta l’isola ci saranno stati tremila casi, quando in Italia ce n’erano più di centomila, anche se già avevano adottato le misure restrittive che stavano prendendo un po’ dappertutto. Dall’oggi al domani gli studenti internazionali (gli italiani in particolare) si trovarono a passare da importante fonte di reddito per molti irlandesi, a indesiderati portatori di malattie, che prima se ne andavano meglio era. La signora che la ospitava le impediva di aprire il frigo e la obbligava a stare nella sua stanza.”

“Ma se stavano già là, mica portavano malattie!”

“Certo, è logico. Ma allo stesso modo, all’inizio dell’epidemia, in Italia, la gente ce l’aveva a morte con i cinesi, non andava più a mangiare al ristorante cinese né a comprare nei bazar, quando magari quelli avevano visto la Cina l’ultima volta dieci anni prima. Ad ogni modo, vostra madre, là, non la volevano più, e toccava riportarla in Italia. Il governo italiano decise di favorire il rientro degli italiani all’estero. Cioè, noi eravamo il secondo paese al mondo per numero di contagi, e anziché lasciare i nostri connazionali al sicuro dove si trovavano, abbiamo fatto di tutto per riportarli in Italia. Anziché dare i soldi agli ospedali che annaspavano, lo Stato decise di dare soldi alla compagnia aerea nazionale, perché organizzasse voli apposta per fare rientrare gli italiani che magari stavano benone dove stavano.”

“Ma non ha senso!”

“No, non ne ha nessuno. Ma c’è di peggio: gli italiani che rientravano dall’estero, indipendentemente da dove stessero rientrando e da come si sentissero, dovevano osservare due settimane di quarantena. Dovevi dichiarare il tuo rientro all’ASL e loro ti davano delle indicazioni come se fossi malato, anche se eri sano.”

“Ma la mamma era malata?”

“La mamma stava benissimo, meglio di me. Doveva però provarsi la febbre due volte al giorno e si dimenticava, allora inventava dei valori a caso.

I voli partivano da diversi aeroporti europei, ma nessuno da Dublino. Quindi bisognava comprare due voli. Perché col primo volo dovevi raggiungere l’aeroporto da dove partiva il volo speciale che ti consentiva di tornare in Italia (gli unici aerei che arrivavano in Italia erano quelli) e col secondo arrivavi a Fiumicino.”

“Ma due voli vuol dire che perdi un sacco di tempo!”

“Esatto, e rischi di perdere il volo se non hai abbastanza tempo, perché devi recuperare il bagaglio dal primo volo e imbarcarlo sul secondo. Ma gli aeroporti erano chiusi, perché le compagnie avevano cancellato praticamente tutti i voli, quelli sull’Italia in particolare.”

“Ma perché Fiumicino?”

“Ah, saperlo. Perché così era scomodo per tutti tranne che per i romani. Pensa a tutti quelli che venivano dal Piemonte o dalla Puglia e dovevano incollarsi un viaggio lunghissimo per arrivare a Fiumicino! A me tutto sommato non è andata malissimo… erano circa 500 km e il volo arrivava a metà pomeriggio. Ma ero obbligata ad andare da sola. Pensa a quelli il cui volo arrivava a mezzanotte!”

“Da sola?”

“Eh, già. Era consentito a un solo familiare di andare in aeroporto. Fossero 5, 50 o 500 km non importava: vietato andare in due per darsi il cambio. L’autostrada, però, era praticamente deserta. C’erano giusto un po’ di camion e pochissime automobili. In qualche momento ho pensato che se avessi forato, o avessi avuto un guasto alla macchina sarei stata davvero sola.”

“E se ti fermava la polizia?”

“Mi fermò. 

Ero pronta, ovviamente. 

Avevo un documento che avevo preparato il giorno prima. Quel documento cambiava in continuazione e quando uscivi dovevi stare attento a procurarti quello giusto. Io ne stampai diverse copie, sperando che non cambiasse mentre ero per strada. Mi andò bene. Quando mi fermò la Polizia, spiegai che stavo andando a prendere vostra madre all’aeroporto e non ci furono problemi”

“Ah, meno male!”

“Ma io ero tranquillissima. Se leggi con attenzione le regole e le segui senza timore, non devi avere paura di nulla. Era un’altra la cosa che mi preoccupava: mentre guidavo, ascoltavo la radio e diceva che sul Grande Raccordo Anulare c’erano code per i controlli. Io ero partita con largo anticipo, proprio per questo, ma avevo già perso quasi 45 minuti col primo controllo…”

“oddio, quindi com’è andata quando hai imboccato il G.R.A.?”

“Era deserto.

D e s e r t o .

Manco nelle highlands ci sono così poche macchine. Sembrava il set di un film apocalittico. Questi quartieri di periferia e la strada accanto senza nessuno… incredibile!

Arrivai a Fiumicino senza problemi, recuperai vostra madre e mi rimisi in strada. Ovviamente avevo i documenti anche per lei. Lei doveva viaggiare sul sedile posteriore. Poi, a causa di tutto il terrorismo psicologico, mi ero portata da mangiare per cenare insieme.”

“Ma non c’erano gli autogrill?”

“Certo, ma siccome non ci si fermava nessuno, non erano neanche tanto riforniti… cenammo all’altezza di Arezzo, quando stava facendo buio. Altre tre ore di strada prima di casa. Non c’era anima viva.

Cioè, stavo percorrendo l’autostrada più trafficata d’Italia in uno scenario da far west, e il mio unico pensiero era: se mi stanco troppo/se ho un guasto alla macchina/se mi sento male io/ se si sente male lei… cosa accidenti faccio?”

Dopo Firenze, per completare la casistica iniziata al mattino con ghiaccio in terra e neve in Appennino, abbiamo anche trovato una serie di guasti all’illuminazione, trovandoci in un’autostrada drammaticamente buia, oltre che deserta, per almeno una ventina di chilometri, e per concludere in bellezza un bell’acquazzone poco prima di Bologna”

“Uh, santo cielo. Ma siete arrivate sane e salve?”

“Sì, molto stanche, ma sane e salve.”

“E vi ha fermato qualcuno?”

“Macché, mi sono anche fermata a fare gasolio, non c’era un cane”

“Beh, ma appena arrivate a casa vi sarete abbracciati tutti insieme, finalmente”

“No. Gli abbracci erano vietati. Più vietati di tutto il resto”

“Ma se stava bene?!”

“Ah.. allora poi…”

(Mia figlia è rientrata.

Fra trent’anni ci ricorderemo di quel viaggio un po’ strano in un’autostrada deserta e buia.

Ci abbracciamo tutti i giorni.

Più volte al giorno.)