La seconda guerra civile americana

A novembre del 2024 i cittadini statunitensi andranno alle urne per eleggere il loro Presidente. A novembre del 2024 scoppierà la seconda guerra civile americana. 

Troppo drammatico? Troppo presto per fare una simile predizione? Le guerre civili, così come i colpi di Stato e le rivoluzioni, non nascono dal nulla. Prima c’è sempre un periodo in cui si gettano le fondamenta, su cui qualcuno poi si solleva per ribaltare lo status quo. Nel caso degli Stati Uniti, questo processo è già iniziato nel 2018, e ora sta accelerando. Ricapitoliamo brevemente i momenti chiave del passato: 

  1. 2018: Donald Trump delegittima a priori i risultati delle prossime elezioni presidenziali (qualora dovesse perdere, ovviamente), adducendo a brogli elettorali del partito Democratico.
  2. Novembre 2020: di fronte a risultati che decretano la sua sconfitta, Trump lancia una serie di denunce legali. 
  3. Una volta che tutte le sue denunce cadono nel vuoto, e che secondi e terzi conteggi dei voti ribadiscono la vittoria del candidato democratico, Joe Biden, Trump contatta per telefono le autorità elettorali della Georgia chiedendo che “trovino” le varie centinaia di migliaia di voti di cui avrebbe bisogno per vincere quello stato. Il Segretario di Stato della Georgia, Brad Raffensperger – nonostante sia un Repubblicano – sceglie il lato delle istituzioni e rende pubblica la chiamata di Trump, in effetti denunciando pubblicamente il suo tentativo di frode elettorale.
  4. 6 di dicembre 2020: dopo settimane di accuse di furto elettorale da parte di Trump, vari esponenti Repubblicani e molti giornalisti amici di Fox News, una folla di scalmanati invade il Campidoglio.
  5. Gennaio 2021: Trump lascia la Casa Bianca ma non smette di denunciare il furto elettorale, nonostante la mancanza di qualsiasi prova, e inizia a pianificare la sua candidatura per le presidenziali del 2024.
  6. Lentamente, il grido di orrore dei politici Repubblicani e dei giornalisti di Fox News contro l’attacco al Campidoglio scema, mentre il coro di appoggio a Trump acquista forza. Uno dei pochi membri della cupola Repubblicana che si oppone apertamente alla retorica trumpista, Liz Cheney, viene rimossa dal suo carico di leadership al Senato.

Arriviamo così ai giorni nostri, dicembre del 2021, con la seguente situazione:

  1. Il 60% dei repubblicani adulti pensa che Biden abbia rubato le elezioni.
  2. L’establishment trumpista ha già lanciato la campagna per il 2024, con lo slogan “Stop the Steal” (Fermate il Furto)
  3. Le elezioni intermedie del novembre 2022 vedranno con ogni probabilità i democratici perdere il controllo della Camera e la fazione trumpista rafforzarsi dentro al partito repubblicano. Quest’ultima tendenza è talmente forte che vari parlamentari repubblicani tradizionali (quelli sensati) non si ricandideranno, consapevoli che non hanno chance di vincere le primarie senza l’appoggio di quel 60% di repubblicani populisti menzionati nel punto 1.
  4. La commissione parlamentare che investiga l’assalto al Campidoglio si conclude con un pugno di mosche. 
  5. I parlamentari repubblicani di Arizona, Georgia, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin stanno cercando di cambiare le leggi elettorali di questi stati in due direzioni distinte ma convergenti: togliere la funzione di certificazione dei risultati elettorali a cariche ora in possesso di esponenti democratici e darla a cariche controllate dai repubblicani, o affidarla direttamente ai parlamenti di Stato, tutti guarda caso a maggioranza repubblicana. In poche parole, stanno cercando di eliminare l’imparzialità dalla contesa elettorale, per cui se domani ci fosse un’altra denuncia di brogli, un funzionario, una commissione o un Parlamento di stato controllato da trumpisti potrebbe decidere di ignorare numeri e fatti e assegnare i grandi elettori di quello Stato a Trump. Senza dubbio ne seguirebbe una valanga di denunce legali, ma le Corti statali, federali e persino quella Suprema sono in netta maggioranza occupate da giudici vicini ad ambienti repubblicani.
  6. Contemporaneamente, vari Stati a maggioranza repubblicana hanno o stanno passando leggi che limitano la possibilità di votare per posta o che imporrebbero maggiori requisiti di documentazione personale, ben sapendo che entrambe le misure scoraggerebbero il voto delle minoranze razziali e dei ceti più bassi, in stragrande maggioranza democratico.

I democratici sono ben consci di questa manovra a tenaglia, ma non possono fare molto. Per Costituzione, ogni Stato è libero di scegliere come vuole il suo sistema elettorale. E la battaglia per il controllo delle Assemblee statali è stata vinta dai repubblicani parecchi anni fa, grazie a un maggior appeal nelle zone rurali e a un ridisegno dei distretti elettorali che ha in parte eliminato la concorrenza dei democratici e dato il via a una radicalizzazione delle primarie (che a sua volta ha partorito il germe del trumpismo). Inoltre, Biden è completamente assorto dall’opera di mediazione tra le varie fazioni democratiche per far passare la riforma economica “Build Back Better”, consapevole che ormai rimangono pochi mesi a disposizione – la campagna elettorale per le elezioni del 2022 sta per iniziare – e che se non ci riesce sarà dura convincere gli americani che la sua Presidenza non sia un fallimento. Nel 2021 il partito Democratico presentò una proposta di legge federale per garantire il diritto al voto senza le restrizioni del punto sei, ma questa si è incagliata nelle secche della mancanza di una maggioranza qualificata in Senato. E quella decisione democratica di non cambiare questo requisito potrebbe finire nei libri di storia come disastrosa.

Arriviamo così al futuro prossimo:

  1. I risultati delle urne presidenziali 2024 indicano la vittoria del candidato democratico (Biden avrà 82 anni, non è detto che sarà lui).
  2. Trump denuncia di nuovo una truffa, ma questa volta le autorità elettorali di due o tre Stati “amici” gli danno ragione, nonostante un’evidente mancanza di prove. I voti di questi Stati fanno pendere la bilancia a favore di Trump.                
  3. Gli Stati più democratici, come California, New York e Massachusetts, rifiutano di inviare i propri delegati alla votazione che formalmente elegge il nuovo Presidente. Gli Stati repubblicani vanno avanti comunque e nominano Trump, ma gli Stati democratici li ignorano e continuano ad appoggiare il loro candidato. Per la prima volta dai tempi di Lincoln, gli Stati Uniti si trovano con due Presidenti eletti allo stesso tempo.
  4. Caos. Caos. Caos.

Il caos è imprevedibile per definizione, per cui questa analisi si ferma qui. Invece, si apre una riflessione più ampia. Se alla base della guerra di secessione americana c’erano modelli sociali ed economici molto diversi tra il Nord e il Sud, forse persino antitetici, qual è la differenza che ha portato a questo nuovo conflitto civile? Cosa rende così diversi e incompatibili i cittadini trumpisti da quelli democratici? 

Non si tratta di classi sociali, quella divisione è morta con l’epoca industriale. Non si tratta nemmeno di una contrapposizione razziale, dato che la maggior parte dei votanti di ambo i partiti sono ancora bianchi. Una buona parte dei democratici infatti ha riserve sull’aborto, mentre in nessuno stato si discute la legalità del matrimonio gay. Molti totem sacri dei Repubblicani sono stati rottamati, come il debito pubblico sotto controllo (grazie ai tagli alle tasse di Trump), i muri virtuali e reali all’immigrazione e al commercio estero (omaggio dell’edilizia populista), e lo Stato minimalista (effetto Covid). In politica estera i due partiti sono perfettamente allineati: morte alla Cina, dimentichiamoci del Medio Oriente e ricordiamoci – ogni tanto – dell’Europa. Persino Israele non è più il punto di scontro del passato, al netto delle iniziative egocentriche di Trump.

Rimangono differenze culturali tra gli americani che vivono nei centri urbani (soprattutto le minoranze razziali e i gruppi più educati) e quelli dell’America rurale, ma i democratici hanno conquistato parecchi sobborghi che una volta erano feudi repubblicani, mentre i Repubblicani hanno migliorato tra i votanti latini. Non è un caso che nelle Presidenziali 2020 stati che erano sempre stati rossi (repubblicani) come la Georgia e la Virginia divennero blu (democratici). Il Texas di John Wayne fu a un passo dal fare lo stesso. La guerra culturale che tanto infiamma le reti sociali è in buona parte un fenomeno limitato alle… reti sociali, come dimostra la popolarità in Twitter di slogan come “Defund the police” (tagliamo i fondi alla polizia) che poi fanno perdere voti ai Democratici. 

Ma allora perché ci si avvia a una seconda guerra civile americana? La risposta ha poco a che vedere con politica, economia e sociologia, e molto con la psicologia di gruppo. Gli americani, come molti europei, sentono un profondo disagio per le condizioni in cui vivono, nonostante materialmente queste siano migliorate dopo la crisi immobiliare a finanziera del 2007. È vero che la disuguaglianza sociale è cresciuta, ma non è certo ai livelli del 1800, o anche solo degli anni 60 per i gruppi minoritari e per le donne. C’è sicuramente un elemento di nostalgia tra la comunità bianca per i tempi passati, ma questo esiste da tempo. Anche l’effetto del Covid e della conseguente quarantena non sono la risposta, dato che Trump venne eletto nel 2016. 

Bisogna scavare più nella psiche che nel portafoglio. In quest’ottica, spiccano due elementi: il fatto che per la prima volta in secoli una parte consistente dei giovani non raggiungerà lo stesso tenore di vita dei suoi genitori, e il crescente isolazionismo e la conseguente solitudine che è esplosa negli ultimi decenni. Uno studio dell’Università di Harvard pubblicato lo scorso febbraio riporta che il 36% di tutti gli americani soffre di solitudine frequentemente, con punte del 61% tra i giovani adulti (18-25 anni) e del 51% tra le madri con bambini piccoli. Effetto Covid? In parte sì, ma già nel 2018 l’indice della solitudine elaborato da Cigna, gigante delle assicurazioni mediche, riportava un 43% (senza specificare la frequenza). Le reti sociali poi, con i loro algoritmi funesti, rinforzano l’isolamento all’interno di gruppi virtuali che condividono le stesse opinioni, non importa quanto radicali siano (Stop the Steal, No Vax, etc). Così non solo non offrono un antidoto alla solitudine (che cresce man mano che diminuisce l’età delle persone: la generazione Z è quella che sta peggio, nonostante passi più tempo in Facebook, Instagram etc.) ma gettano benzina sul fuoco di questo esercito di persone scontente della loro vita, aumentando la conflittualità sociale e spianando la strada ai pifferai populisti. Entrambi gli studi indicano la stessa via d’uscita da questa crisi: riformulare le dinamiche sociali e dedicare più tempo ad interagire in modalità aereo con le persone che ci importano, sia come individui che come istituzioni. Purtroppo, è impossibile pensare di invertire una tendenza nata tre secoli fa con l’illuminismo prima del 2024. Non ci resta che pregare che gli Stati Uniti sopravvivano al Grande Disagio.

Contributo scritto per Hic Rhodus da Giuliano Perseu 
Iniziò la sua carriera in agenzie stampa a New York, ma dopo avere scoperto il lato oscuro del giornalismo italiano decise di passare alle relazioni internazionali, utilizzando un master della Columbia University come biglietto di sola andata. Il viaggio lo ha portato a vivere in El Salvador, Afghanistan, Sierra Leone, Iraq, Caraibi, Senegal e Colombia, ed èappena iniziato.