Sì, guardo il Trono di Spade e mi piace. No, non vi saprei fare un riassunto perché con una stagione l’anno e una proliferazione di casate e personaggi e sotto-trame di questa mole ho perso il filo. Comunque è facile: c’è un trono conteso, diversi personaggi cattivi e perfidi in competizione, consiglieri infidi che tradiscono, assassinii (14 in media nella seconda serie – fonte – ma hanno migliorato nel tempo), parricidi, stupri, incesti e poi, vediamo… religioni stravaganti, zombi gelati che arrivano da un misterioso Nord (Salvini questa volta non c’entra) e donne accaldate e perciò discinte, tutte giovani e graziose e dai comportamenti decisamente licenziosi. Ah! Ci sono anche tre draghi! Un super mega-fantasy dall’imponente produzione: 6 milioni di dollari i costi medi a puntata (e svariati altri record) che generano una valanga di soldi all’HBO (fonte), un’ampia e diversificata scelta delle location, personaggi non troppo banali, buona sceneggiatura. Uno spettacolo godibile. Ma cosa lascia allo spettatore?
La morale del Trono di Spade. Volete scherzare vero? Anche se alcuni commentatori ritengono di averne rilevata una (per esempio questo, ma non è l’unico) la trama è decisamente immorale (neppure amorale, proprio ‘immorale’) con una nota costante e non dissimulata di opportunismo sfrenato, lotta per il potere capace di calpestare qualunque legge nella crudeltà più ignobile, dove gli eroi buoni sostanzialmente muoiono presto (nell’attuale 5^ serie ne sono rimasti pochissimi) e quelli cattivi sono semplicemente sostituiti da altri ancor peggiori. Una lettura sorprendente, in un certo senso, l’ho trovata in una fonte cristiana che, proprio a partire da questa analisi oscura, afferma l’esistenza di una Surprising Morality of ‘Game of Thrones’ per il fatto che i personaggi sono complessi, mai veramente cattivi o veramente buoni, come poi sono nella realtà gli esseri umani, e che aprono ai buoni sentimenti degli spettatori che prendono posizione contro le nefandezze e a sostegno dei buoni. Contenti loro…
La parità di genere del Trono di Spade. Assolutamente rispettata. La prostituzione è maschile e femminile; la guerra è fatta da uomini e donne e ci sono alcune temibili guerriere che è meglio non incontrare; le regine sono perfide quanto i re o pretendenti re e insomma mi pare che ci sia un’equa ripartizione di genere nei vari ruoli. Questo elemento ha reso molto moderno il genere fantasy sempre molto maschilista; comparando col Signore degli anelli non vi potete sbagliare: gli eroi, nella storia di Tolkien, sono tutti e solo maschi; le donne sono al massimo magiche elfe che alla fine sposeranno il bell’eroe, o figure secondarie che cercano di imitare i comportamenti guerreschi maschili. Nel Trono non ci sono mammolette, donne-infermiere, aspiranti casalinghe in attesa del ritorno del guerriero cui concedere meritato premio, e se ci sono è per sbaglio, figurine esili e accessorie che non stimolano la fantasia dello spettatore.
Il sesso nel Trono di Spade è un elemento importante, anche se declinante serie dopo serie, e molto democratico; sostanzialmente tutte le forme di sessualità sono rappresentate e tollerate: l’omosessualità ovviamente; l’incesto (un po’ meno tollerato); i rapporti di gruppo; non parliamo poi di relazioni sado-maso! Conseguentemente c’è molta nudità (o meglio: ce n’è stata molta nelle prime serie) sia maschile che femminile, il che ci riporta alla santa parità di genere.
La religione nel Trono di Spade. Questa è la parte che mi piace di più; diversamente da altre fiction qui abbiamo una pluralità di religioni che stagione dopo stagione sono diventate importantissime. Già conoscevamo i Vecchi Dei, divinità generiche buone per tutti gli usi, e da un paio di stagioni il Signore della Luce, R’hllor, con la sua inquietante profetessa Melisandre; ma l’attuale quinta serie, oltre all’oscura setta servitrice del Dio dai molti volti, ha dato un ruolo rilevante alla fede principale, quella dei Sette, che presenta un ordine di adepti inizialmente apparsi come poveri francescani pietosi e ora – dopo essere stati stupidamente armati dalla regina cattiva – rivelatisi essere in realtà un gruppo di fanatici fondamentalisti ispirati esplicitamente al peggior cattolicesimo medioevale: esteriormente umili ma ferocemente arroganti, fintamente pietosi ma sadicamente crudeli, i seguaci più estremi e settari dei Sette uccidono, torturano imprigionano allo scopo di purificare il mondo corrotto di cui in realtà si servono e sono parte.
Che mondo è rappresentato, veramente, nel Trono di Spade? Io credo che ciò che ci piace dello spettacolo – a parte la fiction in sé voglio dire – è proprio insito nella descrizione che ho data sopra che, in un certo senso, è la trasposizione in un mondo immaginario e magico di una certa contemporaneità post moderna come si può trovare in certi luoghi americani (New York, San Francisco…) o Nord Europei. Questo mondo al quale anche noi Europei del Sud puntiamo è fatto di queste medesime cose (al netto della fiction, come ho già detto): morale elastica, secolarizzazione e critica delle rigidità religiose, edonismo e libertà sessuale, orientamento al fine personale e al successo, spregiudicatezza politica. Diversamente da altre storie fantasy il Trono non costruisce un mondo diverso (magistrale per esempio nel Signore degli Anelli – il libro, non il film! – l’invenzione attenta di una lingua nuova da parte di Tolkien), ma il nostro stesso mondo, nei suoi eccessi già attuali, mascherato nel genere fantasy. In questo modo il Trono diventa un potente elemento di narrazione dell’oggi, costruisce una cornice giustificativa in forma di novella fantastica. Potete abbracciare un dio qualunque o rimanere atei, avere rapporti sessuali con chi vi pare (sia che siate maschi o femmine), intrigare, osare! Il successo del Trono risiede nella rappresentazione delle ambizioni della classe media americana e occidentale, nelle fantasie realizzate dagli artisti, dai protagonisti delle notti di Hollywood come immaginate e fantasticate attraverso le riviste di gossip, il potere spregiudicato già rappresentato da House of Cards, l’avventura che era della prateria, poi della route 66, e adesso… al massimo da qualche videogioco. La trasposizione fantasy non permette di leggere razionalmente questa rappresentazione dell’eccesso – un eccesso possibile, in parte reale – al borghese di Brooklyn, al citoyen di Lille o all’impiegato di Garbatella, che sogna le avventure di Snow e la subdola sottigliezza di Tyrion Lannister.