La vendetta sarà tremenda e la confusione permanente

Questo è un esercizio di fanta-politica, per giocare un po’ coi nostri lettori. Il tema è: cosa accadrà allo scenario politico italiano dopo il referendum e le dimissioni di Renzi.

Per fare questo gioco occorre fissare alcuni punti, ipotetici, sui quali costruire un ragionamento; fra questi punti ritengo ragionevoli i seguenti:

  • non si andrà a elezioni anticipate prima di una qualche legge elettorale non necessariamente intelligente ma, almeno, applicabile senza creare disastri ingestibili (come sarebbe l’attuale situazione);
  • la nuova legge elettorale sarà proporzionale, o prevalentemente proporzionale (e probabilmente con una parte almeno di voti di preferenza per accontentare il popolaccio);
  • la nuova legge conterrà degli sbarramenti di lista ma molto bassi.

Chi guiderà l’esecutivo in questa fase e quanto durerà l’iter legislativo non ha molta importanza; considerando le molte posizioni in Parlamento certamente più tempo di quanto vorrebbero Salvini e Grillo, e vista la fretta di trovare un accordo per andare di corsa a votare meno, forse, di quanto vorrebbero i parlamentari di nuova nomina che devono far maturare il vitalizio. A noi, in questo ragionamento, non ci importa.

Renzi ha bisogno di un congresso prima delle elezioni. La resa dei conti sarà tremenda perché Bersani, Speranza, Gotor e compagnia non possono pensare di festeggiare la sconfitta del loro partito, da loro propiziata, e di continuare come nulla fosse. Non è normale. Non è “sano”. La scissione, che di fatto è già nelle cose, deve essere formalizzata in un congresso che consenta a Renzi di mantenere a sé il partito e a Bersani di uscire col giusto sdegno e all’insegna di un’insopportabile costrizione, come fu anche per Fassina, per intenderci. panebiancoLa minoranza ex-dem potrebbe provare a fare l’ennesimo partitino in vista delle elezioni, federandosi poi con le molteplici formazioni radicali per superare gli sbarramenti e tornare in Parlamento – grazie al maggioritario – assieme a Fassina, Landini, Ferrero e altri nobili tribuni. Diciamo che un buon 3-4% potrebbero anche farlo.

Questo, beninteso, se nel PD non si scatena un tutti contro tutti con una faglia anche nei “renziani”, come par in effetti di vedere. In questo caso per Renzi le cose si complicherebbero assai. Se i franceschiniani, i “giovani turchi” o altre componenti interne pensano giunto il momento buono per eseguire il classico regicidio, Renzi potrebbe trovarsi in minoranza tanto da dover essere lui a dover decidere di uscire (l’alternativa sarebbe l’oblio politico). Difficile dire cosa potrebbe accadere; il nuovo partito di Renzi (PDR) è accreditato di non pochi consensi, come stiamo per dire, ma ciò che resterebbe del PD frenerebbe la sua corsa. Onestamente credo che questo scenario, alla lunga, premierebbe Renzi; difficile che l’elettorato di centro-sinistra riconosca carisma a Franceschini, Orfini o altre figure analoghe, mentre l’evidenza di eventuali ispirazioni dalemiane a questo nuovo ceto dirigente ne sancirebbe la prematura fine.

In un modo o nell’altro Renzi potrà dare compimento al suo PDR (Partito di Renzi), con un’assoluta padronanza nel partito, una distanza dalla sinistra vetero-comunista conclamata dalla scissione (ottimo biglietto da visita per il suo progetto acchiappa-moderati) e un chiaro programma liberal-socialista, che è poi quello suo delle origini leopoldine, per chi lo lesse e se lo ricorda. Un programma sostanzialmente moderato, riformista, liberale verso le imprese e socialdemocratico verso i ceti deboli, attento ai diritti individuali ma senza esagerare, nell’Alleanza Atlantica ma con un occhio a Est, europeista senza il capo troppo chinato, populista quel filino che serve per mantenere il consenso e assieme innovatore quel tanto che basta per appendersi al petto qualche medaglietta.

Chi voterà questo partito? Renzi ha conquistato, sostanzialmente da solo, quasi il 41% di consensi al referendum, guarda caso l’esatta percentuale (ma in termini assoluti sono molti più voti) delle europee. Possiamo quindi dire che il PDR sarà un partito da 41%? No, naturalmente. In politica non ci sono queste traslazioni automatiche. Ma quel 41% è l’orizzonte entro il quale Renzi può sperare di conquistare consensi: ampia base dell’attuale PD; cattolici riformisti e democratici che adesso vagano fra i resti delle frattaglie centriste; liberali non cannibalizzati da Berlusconi che cercano una casa da vent’anni; elettori di destra che non trovano più collocazione dopo il suicidio berlusconiano, che sono convintamente anti-leghisti e potrebbero fidarsi di un Renzi anti-comunista. Probabilmente anche residui di grillini delusi (pochi) e di radicali di sinistra scettici (pochi). Guardate che tutti assieme questi elettori (appunto: moderati, riformisti, di area liberal-socialista) sono veramente molti. E potrebbero votare Renzi sia per il suo strappo da Bersani & Co., sia per la proposta complessivamente accettabile, sia per la mancanza di alternative (un serio elettore di destra, oggi, per chi dovrebbe votare?). Non sarà quindi il 41% ma comunque un percentuale di tutto rispetto; Marcello Sorgi parla di almeno un 25% ma si tiene basso, a mio avviso, alla luce dei ragionamenti che seguono, e un recentissimo sondaggio post-referendum lo accredita del 33% con un suo partito.

Il primo di questi ragionamenti riguarda il M5S e il suo posizionamento nell’arco democratico, un posizionamento chiaramente di destra. Non è la prima volta che lo scriviamo e siamo onestamente perplessi di fronte all’insistenza su un ipotetico tripolarismo. Non può esistere una realtà politica tripolare, per motivi ontologici, prima che politici. Esiste un continuum destra-sinistra (vedere QUI per la sua evoluzione negli anni) e non un’ortogonalità che preveda un asse “sopra e sotto”. E in ogni caso le idee e i comportamenti di Grillo e dei principali esponenti, le proposte politiche e l’essenza populista, il bacino elettorale e le possibile alleanze e convergenze mostrano tutte, e inequivocabilmente, la natura di destra del Movimento, indipendentemente dal fatto che elettori “di sinistra” l’abbiano votato.

L’elettorato di destra, quindi, troverà un’offerta elettorale esclusivamente fascista o populista; resterà la tremula fiammella di quel che resta di Forza Italia, col vecchio leone ormai senza denti e cuccioli rissosi e senza carisma; raccoglierà pochi voti. Quest’offerta elettorale, per la destra, sarà eccessiva; gli elettori sostanzialmente impauriti dall’immigrazione, pur senza essere smaccatamente xenofobi, quelli diffidenti verso l’Euro, quelli timorosi dall’impoverimento, dalla marginalizzazione, quelli delle periferie geografiche e sociali (come descritte dall’Istituto Cattaneo come base del voto No) avranno da sbizzarrirsi fra tre o quattro forze analoghe ma la vincente sarà quella di Grillo. E a chi dovrebbe rivolgersi chi, da destra moderata, non vuole fare questa fine? Chi è timoroso, sì, ma con lucidità, chi non desidera sparare ai gommoni né uscire dall’Euro? A chi se non a un moderato PDR?

A quel punto i giochi si faranno in Parlamento a seconda di come è stata combinata la legge elettorale. Nessuno avrà la maggioranza (i nostri bravi legislatori staranno attentissimi a questo punto e faranno il triplo carpiato per riuscire in questo intento) e serviranno alleanze: Tutte le destre (M5S incluso) contro tutti i moderati del PDR che – forse – sarà costretto a cercare alleanze in partiti di centro e di sinistra superstiti. Qualcosa di molto simile al governo Renzi-Alfano degli ultimi anni ma con più chiarezza. Maggioranza probabilmente risicata, ricorso ai voti di fiducia… il solito film.

La possibilità che questo film non venga proiettato risiede solo in due elementi:

  1. la legge elettorale sarà migliore del temuto e prevederà un ragionevole premio di maggioranza;
  2. il PDR alle prossime elezioni si avvicinerà più al 41 che al 25%.

Ma che si sia inaugurata un’altra lunga fase di instabilità è, purtroppo, l’ipotesi più probabile.