Giovani a tempo indeterminato

 Schermata 2017-07-02 alle 15.18.40E’ appena uscito l’ultimo lavoro di Giovanni Di Franco, sociologo, ordinario alla Sapienza, noto metodologo e animatore di molteplici attività formative di alto livello. Si tratta di una ricerca sui giovani romani, scritta da diversi autori, che consente una riflessione generale sul tema, sempre più attuale, dei giovani, del loro stare nel mondo, dei loro valori, aspettative troppo spesso frustrate. In particolare il saggio iniziale dello stesso Di Franco si presta a una lettura ampia e generale, non riferibile in particolare a Roma, percorsa attraverso quattro fondamentali capitoli dai quali estrapoliamo alcuni brani significativi, col consenso dell’Autore che ringraziamo.

Segnaliamo che l’intera opera è disponibile in Open Access, ovvero gratuitamente, a questo indirizzo web: http://ojs.francoangeli.it/_omp/index.php/oa/catalog/book/236.

Essere giovani in tempo di crisi

Per cercare di comprendere le attuali condizioni di vita dei giovani nel nostro Paese, e dei coetanei di molti altri paesi occidentali, è necessario fare riferimento ai numerosi cambiamenti che hanno investito le società in questi ultimi decenni. A nostro avviso, il concetto che meglio rappresenta l’attuale situazione è quello di crisi di un intero sistema sociale. Un concetto molto più generale di quello usato per definire la crisi economica- finanziaria iniziata nell’estate del 2007 negli Usa e successivamente propagatasi in Europa e nel resto del mondo. Non intendiamo quindi una semplice, seppure grave – e forse mai sperimentata nella sua intensità e durata – crisi del ciclo economico, ma la crisi di un intero sistema sociale, politico, culturale, valoriale, che coinvolge tutte le dimensioni della vita di ampie fasce della popolazione, e in particolare degli strati più vulnerabili. […].

Al sostanziale impoverimento dei giovani in Italia deve essere associato un altro grave problema di natura demografica. Ancora una trentina di anni fa la distribuzione per età della popolazione era graficamente rappresentata da una piramide, dove al crescere della classe d’età diminuiva la popolazione. Oggi assomiglia a una teiera e nell’arco di un paio di decenni assumerà le forme di un vaso che si allarga verso l’alto. Negli anni Ottanta le classi d’età percentualmente più numerose erano quelle giovanili, tra i venti e i trenta anni. Oggi la pancia della distribuzione è salita fra i cinquanta e i sessanta anni. Alla metà del secolo il baricentro muoverà ancora più in alto. L’Italia invecchia, e deve porsi il problema di invecchiare bene ricucendo in fretta i divari più profondi che si sono scavati fra le generazioni. Divari di lavoro e di reddito a danno dei giovani, che più di altri fattori minano il potenziale sviluppo dell’economia e della società. Oggi il reddito medio di un membro di una famiglia il cui capofamiglia non ha più di trenta anni è tornato indietro ai valori di quaranta anni fa. Ben diversa e migliore risulta la situazione di chi può contare su un capofamiglia ultra-sessantacinquenne o anche solo cinquantenne. Cresce il peso delle famiglie che trovano nelle pensioni la fonte prevalente del loro reddito, mentre raddoppia rispetto agli anni Ottanta la quota di giovani tra i 25-34 anni che vive ancora nella fami- glia d’origine. Magra consolazione, la riduzione del numero medio dei figli aumenta la misura dei lasciti. Ma le maggiori eredità non potranno sostenere i consumi delle future generazioni quando saranno finite le pensioni dei baby-boomers (quando negli anni Sessanta ogni anno le nascite superavano abbondantemente il milione; nel 2015 e nel 2016 i nuovi nati sono stati me- no di cinquecentomila). Servono lavoro e lavori nuovi e sostenibili, da crea- re con l’innovazione, le riforme e il buon senso. […].

Per effetto di questa crisi sistemica, la gran parte delle persone vive immersa in un orizzonte culturale nebuloso, dove mancano i punti di riferimento che dovrebbero consentire di stabilire un ordine, un sistema dei ruoli, una gerarchia dei valori. All’insicurezza riguardo al lavoro e al reddito si sommano altre insicurezze e paure che derivano dall’incapacità di orientarsi in un mondo globale dove quello che succede a migliaia di chilometri di distanza ha delle conseguenze rilevanti a casa nostra. In un mondo così complesso qual è il posto dei giovani? In una società segnata dall’insicurezza, quale futuro è possibile immaginare?

Antropologia della crisi culturale

Uno dei limiti delle interpretazioni correnti della crisi consiste nell’eccessivo riduzionismo economico-finanziario. […].

In un recente saggio, l’antropologa Amalia Signorelli (2016), analizzando il modo di vivere la crisi in Italia, individua nell’impossibilità strutturale di pensare, decidere e agire in termini di progetto (cioè secondo un’etica dell’andare oltre, un ethos del trascendimento) il carattere culturale distintivo determinatosi in questi anni. Ciò produce una sorta di paralisi progettuale che impedisce di superare la datità dell’esperienza, e che può essere considerata uno dei sintomi più gravi della crisi in atto. […].

Piuttosto che essere una condizione statica, acquisita una volta per tutte, la presenza nel mondo è un processo dinamico che plasticamente si adatta alle diverse situazioni esistenziali che le si propongono. In alcuni casi può capitare che la presenza individuale e collettiva non sia in grado di andare oltre la situazione data: si rivela inadeguata ed entra in crisi. La natura della crisi esprime l’incapacità umana di esserci nel mondo. In una tale situazione, gli esseri umani, da protagonisti dell’esserci, capaci di conoscere, valutare, decidere, agire con gli altri, si percepiscono come soggetti angosciati che sperimentano il sentirsi “agiti da”, la sensazione di essere preda di forze oscure e incontrollabili, in balia di un destino incerto e inconoscibile del quale appare impossibile essere gli artefici; si convincono che “non c’è più niente da fare”. Per gli esseri umani sentire la crisi della presenza vuol dire affacciarsi sull’abisso del marasma culturale, sul rischio di perdere il mondo e se stessi con il mondo. Perché nel momento in cui una società non sa più dare un significato e un valore ai propri accadimenti, precipita nella crisi culturale, nel marasma, perde la propria presenza nel mondo, la propria capacità di produrre mondo. […].

La frattura fra inclusi ed esclusi

I riflessi della la crisi della presenza sono molto evidenti anche nell’ambito della sfera politica. Negli ultimi anni, nelle democrazie occidentali si è registrato un progressivo indebolimento della partecipazione elettorale a seguito della diminuita efficacia attribuita in generale all’azione politica, all’aumento della sfiducia verso gli attori politici, all’indebolimento dei partiti tradizionali ritenuti incapaci di proporre soluzioni ai problemi che affliggono molti cittadini e programmi di riforma dello status quo.

[…]. Alcune importanti elezioni del 2016 hanno registrato un inatteso aumento della partecipazione elettorale e risultati che hanno smentito tutte le previsioni pre-elettorali. Ad esempio, al referendum sulla Brexit la partecipazione elettorale è stata del 72%, un risultato che non si otteneva da anni dopo il crollo della partecipazione elettorale registratosi nelle elezioni del 2001 (dove votò appena 59% degli elettori); alle elezioni presidenziali americane l’affluenza è stata del 60%, alle precedenti del 2012 si era attestata al 55%; al referendum costituzionale italiano del 4 dicembre 2016 la partecipazione è stata del 65,5% raddoppiando il 32% di votanti al precedente referendum del 16 aprile 2016.

Alcuni analisti hanno individuato un comune denominatore fra i risultati di queste elezioni che va oltre il significato politico di ciascuna di esse. La comparazione fra questi eventi elettorali evidenzia una nuova frattura che sembra aver sostituito le classiche fratture interne agli elettorati e in primo luogo quella classica fra gli elettori di destra (o centro-destra) e di sinistra (o centro-sinistra). Fra le diverse etichette proposte, quella che sembra più appropriata a nominare la nuova frattura è la dicotomia fra gli inclusi e gli esclusi. Inclusi o esclusi rispetto a cosa? […].

Pertanto, la nuova frattura che divide in due gli elettorati è fra gli inclusi, ossia chi ancora crede sia utile (possibile) trovare una risposta ai problemi che ci toccano ricorrendo agli strumenti della democrazia rappresentativa, e gli esclusi, che da tempo hanno perso fiducia verso le istituzioni politiche e o si sono ritirati dall’agorà politico o sono alla ricerca di qualche soluzione radicale e definitiva, dando fiducia a leader che si propongono obiettivi anti-sistema.

La frattura fra gli inclusi e gli esclusi può essere letta anche in termini sociologici: fra i primi prevalgono i cittadini più istruiti, giovani, residenti nei grandi centri urbani, sostenitori di un’agenda liberale, pro-globalizzazione, che prediligono l’apertura e il confronto multi-culturale, apprezzano l’assenza di frontiere e si sentono cittadini cosmopoliti, simpatizzanti di partiti sia di centro-destra sia di centro-sinistra. Fra gli esclusi prevalgono gli anziani, con livelli bassi o medio-bassi di istruzione, residenti in piccoli centri, o in centri che hanno subito la deindustrializzazione, completamente sfavorevoli alla globalizzazione, molto preoccupati per le loro condizioni economiche e fortemente impauriti della presenza di immigrati che vengono percepiti, ovviamente in modo del tutto ingiustificato, come la causa dei loro problemi e della loro difficoltà a tirare avanti fino alla fine del mese. […]

La frattura sembra quindi molto netta: gli inclusi sono i soggetti che go- dono delle possibilità che offre l’attuale società. Sono inseriti nella storia e agiscono in essa. Non a caso gli esclusi considerano gli inclusi parte dell’élite, del sistema. Ma questo non è necessariamente vero; dall’altra parte ci sono gli esclusi, persone appartenenti alle fasce popolari e al ceto medio, che nel corso degli ultimi anni hanno subito un peggioramento delle loro condizioni di vita o anche solo la percezione che per loro le cose possano andare male in un futuro prossimo. Gli esclusi si percepiscono ininfluenti e impossibilitati all’azione ricorrendo ai classici strumenti della democrazia rappresentativa. Possono mobilitarsi per preservare il sistema sanitario pubblico e gli altri servizi del welfare state. Ma più degli aspetti economici, pure per loro fonte di ansia e preoccupazione, oggi la dimensione più importante per i ceti popolari esclusi è sempre più l’immigrazione. A loro parere i nativi sono discriminati rispetto ai migranti nell’accesso allo stato sociale. Questo sentimento di ingiustizia rispetto ai concittadini immigrati non riguarda solo l’assegnazione delle case popolari, ma anche i servizi della prima infanzia, gli asili e l’accesso a tutti i servizi pubblici. Negare l’esistenza di una tensione fra nativi e immigrati o, ancora peggio, limitarsi all’esaltazione retorica del multi-culturalismo e delle sue virtù non risolve il problema, ma lo esacerba, consegnandone il monopolio all’estremismo. […].

I rappresentanti dell’élite dovrebbero prendere atto di questa protesta e cercare risposte adeguate a soddisfare i problemi e i bisogni degli esclusi. Sarebbe un grave errore considerare i risultati della Brexit o dell’elezione di Trump come un occasionale sfogo di un populismo grossolano che non tiene in considerazione i fatti e non riesce a valutare le conseguenze del proprio voto sul piano politico-economico. Al contrario, occorre prendere atto del fatto che le ragioni che sono alla base di questi risultati elettorali sono assolutamente comprensibili e concernono le conseguenze economiche del- la globalizzazione e dell’accelerazione del progresso tecnologico. […]

Crisi culturale e cultura digitale

Abbiamo affrontato la crisi della presenza sotto diversi aspetti. Dobbiamo considerarne un altro altrettanto importante per la radicalità del suo impatto sulla vita delle persone. Stiamo parlando dell’esplosione dei social network che rappresenta la rivoluzione dal web tradizionale, caratterizzato da un flusso sostanzialmente unidirezionale delle comunicazioni, al cosiddetto web 2.0, caratterizzato da un flusso bidirezionale, dove gli utenti autonomamente possono produrre e diffondere i loro contenuti sulla rete. Ovvia- mente, i principali protagonisti di questa trasformazione sono i giovani perché sono i soggetti che, avendo più o meno la stessa età di internet, passano molto del loro tempo connessi al web. […]

I giovani internauti, facendo loro le caratteristiche della rete come l’orizzontalità, la simultaneità e l’assenza di autorità, sono divenuti i maestri di se stessi e spesso sono anche i maestri dei loro genitori. Se la sincronicità è la caratteristica della società liquida, che ormai sarebbe meglio definire gassosa, è perché la tecnologia della rete ha eliminato la cronologia, la successione fra il prima e il dopo, superando di fatto tutti i principi e i fondamenti dei sistemi educativi. […].

È saltato (o è seriamente in crisi) uno dei meccanismi primari dell’organizzazione sociale: la fiducia nel potere, nei partiti, nelle élite di qualunque livello e di qualunque natura.

Evidentemente anche le autorità sono responsabili della perdita di fiducia, ma quando la critica del potere e delle autorità (che in sé è l’essenza della democrazia) diventa l’arma finale dei ciarlatani, o peggio ancora il pretesto dei mediocri per sentirsi meno mediocri, alle porte non c’è una rivoluzione, ma solo una sua rovinosa parodia. Sempre più di frequente nei social network si manifestano discussioni caratterizzate dall’insolenza, dal dileggio e dall’ignoranza. Si conducono logomachie contro i presunti nemici e si stendono liste di proscrizione. Basti pensare, ad esempio, all’odio sistematico verso tutti i governi e tutti gli esponenti di qualsiasi istituzione additati come servi del potere e nemici della gente comune.

Questi fenomeni degenerativi non sono causati dalla rete, ma dalla rete vengono amplificati e diffusi. […]

Probabilmente la combinazione dei social network e di alcuni nuovi movimenti politici e di altra natura ha creato le condizioni perché si formassero delle vere e proprie bolle informative indipendenti le une dalle altre. Tutte immuni ai consueti controlli di veridicità e attendibilità che caratterizzavano i dibattiti svolti nello spazio pubblico. Nella rete le persone scelgono la loro fonte di informazione in funzione delle proprie opinioni e dei propri pregiudizi, in una sorta di inviolabilità ideologica che è anche una forma di autismo informativo. Sembra che i principi dell’illuminismo e dell’empirismo siano ormai dissolti. La costruzione di verità di comodo non pone solo un problema politico e sociale ma ostenta una nuova concezione dei rapporti tra la neo-politica e la realtà: non conta chi con argomenti razionali riesce a interpretare meglio la realtà e individua le soluzioni più praticabili, ma chi è più bravo a raccontare delle storie che rappresentano una “realtà migliore”, non importa se realizzabile o meno. Sembra questa ormai la chiave della conquista del potere.

In conclusione, giovani e adulti viviamo in un tempo di profonda crisi culturale. Assistiamo spaesati al crollo delle gerarchie dei valori, alla rabbia contro le élite che si sono impossessate delle risorse e godono in esclusiva dei benefici del progresso tecnologico, mentre le libertà politiche sono ridotte a vuoti rituali e le libertà civili sono meno rilevanti rispetto alla ricchezza. In questo tempo di crisi ci sono almeno tre grandi emergenze fra loro concentriche (l’ondata emigratoria senza precedenti, il terrorismo islamista e la crisi economico-finanziaria che lascia dietro di sé una crisi drammatica del lavoro) che producono in molti un senso di profonda insicurezza che, inoltre, si alimenta dalla consapevolezza di sapere che si tratta di eventi fuori controllo e senza governo. Da qui nasce la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni e verso i governi nazionali. Allora non rimane che vivere da apolidi a casa propria, con l’impossibilità effettiva di esercitare i diritti di cittadinanza. A fronte dell’impotenza dello Stato emerge minaccioso il nuovo potere sovranazionale che vive nei flussi finanziari e nei flussi del web. Sempre più cittadini si sentono esclusi, inefficaci, impossibilitati ad agire e quindi stanno nella storia come se non ci stessero.

Giovanni Di Franco

ordinario di Sociologia all'Università la Sapienza di Roma.