Cecco Beppe e i migranti

Tutto nasce dall’ultima ondata di migranti, quella della settimana scorsa, che riporta l’attenzione sui numeri sempre crescenti di disgraziati che dalle coste libiche lasciano l’Africa per entrare in Europa passando attraverso l’Italia, alla quale il Governo di turno, pur mostrando un po’ più di determinazione dei precedenti, risponde con la rituale corsa a Bruxelles che risponde con il solito desolante spettacolo di disinteresse e chiusura, ben rappresentati dalle reazioni francesi ed austriache e dai 30 parlamentari 30 presenti in aula a Strasburgo di fronte a Juncker. In particolare l’atteggiamento austriaco che, trovandosi in campagna elettorale, aveva portato il Governatore del Tirolo a indossare la casacca “Law and Order” e a chiedere l’intervento dell’Esercito ha fatto la felicità della stampa nazionale che, a giudicare dai titoli (“L’Austria schiera l’Esercito!” “I blindati austriaci al Brennero!”, titolavano anche La Stampa e il Corriere) sembrava suggerire che l’Austria avesse deciso di vendicare in un colpo solo Goito, Governolo, San Martino, Bezzecca, Piave, Grappa e Vittorio Veneto e stesse apprestandosi a ridiscendere con orgogliosa sicurezza quelle valli che 99 anni or sono risaliva in disordine e senza speranza.

Passata l’acidità di stomaco causata da quest’altra dose di “informazione” fatta apposta per la gioia degli emuli dotati e meno dotati di Napalm51, forse è il caso di provare a fare un po’ di chiarezza su alcuni temi ricorrenti.

Cominciamo con la mobilitazione austriaca: a seguito di una richiesta del Governatore del Tirolo, Günther Platter, che ha suscitato più di qualche perplessità nella stessa Austria (il capo della polizia del Tirolo aveva l’altroieri confermato alla televisione che non ci fosse alcuna emergenza; il giornalista che intervistava per ORF il governatore gli aveva fatto notare come i numeri relativi ai tentativi di ingresso in Austria fossero al momento significativamente più bassi di quelli dell’anno scorso; il Landeshauptmann/Governatore del Sudtirolo/Alto Adige, Arno Kompatscher, ha rilevato come si sia in campagna elettorale…) 750 soldati del Bundesheer erano stati posti in prontezza operativa con 72 ore di preavviso e 4 blindati ruotati 6×6 PANDUR dotati di barriere pieghevoli antisommossa erano stati fatti affluire, appunto, in Tirolo. Il Ministro della Difesa austriaco, Doskozil, aveva da subito fornito a Platter una “sponda” per togliersi d’impiccio parlando di misure preventive necessarie per essere pronti a fronteggiare una eventuale crisi, stanti le notizie provenienti dall’Italia (fonte: varie testate austriache e ORF1, la tv di stato austriaca). Sufficit per chi vede il nemico ritornare per l’orgoglio e per la fame, che sfogar vuole tutte le sue brame.

Seconda area di nebbia fitta: i termini migrante, rifugiato, profugo, chiedente asilo, utilizzati indiscriminatamente.

La prima cosa da tenere presente è che l’unico di questi termini per il quale esista una definizione accettata internazionalmente ed avente valore legale nell’ambito del Diritto Internazionale è “rifugiato”. Ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione di Ginevra sui Rifugiati del 1951 , come modificata dal protocollo del 1967, rifugiato è:

Chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi. 

La stessa Convenzione prevede inoltre che

Gli Stati Contraenti non prenderanno sanzioni penali, a motivo della loro entrata o del loro soggiorno illegali, contro i rifugiati che giungono direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertà erano minacciate nel senso dell’articolo 1, per quanto si presentino senza indugio alle autorità e giustifichino con motivi validi la loro entrata o il loro soggiorno irregolari;

e che

Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

Inizialmente, la protezione internazionale consisteva in una sorta di surrogato della protezione consolare e diplomatica, mentre oggi si è estesa notevolmente fino ad assicurare ai rifugiati il godimento dei loro diritti umani fondamentali e la sicurezza. In Italia, in sostanza, un rifugiato gode di tutti i diritti ed è soggetto agli stessi doveri dei cittadini italiani, con esclusione di quelli che presuppongono la cittadinanza italiana (esempio, il diritto di voto, la partecipazione a concorsi per l’accesso ai pubblici impieghi, ecc.). Va precisato che lo status di rifugiato ha carattere strettamente individuale (nell’ambito di una stessa famiglia, potrebbe anche darsi che tale status non venga concesso a tutti i membri).

“Profugo” è invece un termine generico. Secondo l’Enciclopedia Treccani:

Il (…) profugo è colui che per diverse ragioni (guerra, povertà, fame, calamità naturali, ecc.) ha lasciato il proprio Paese ma non è nelle condizioni di chiedere la protezione internazionale.

Ripeto: anche se di fatto i due termini vengono spesso sovrapposti, ed anche se sta prevalendo la tendenza ad attribuire ai profughi lo stesso trattamento riservato ai rifugiati, è lo status di rifugiato l’unico sancito e definito nel diritto internazionale. Inoltre tale tendenza è di più facile recepimento nei paesi in cui vige il diritto consuetudinario, il che non è il caso dell’Italia. In soldoni; un profugo, a rigor di termini, non potrebbe lavorare.

In Italia il diritto di asilo è garantito dall’art. 10, comma 3 della Costituzione (si, proprio quella che non si tocca):

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Come risultante da tale normativa il diritto di asilo è oggi previsto, pur con diverso contenuto e diversa intensità, sia per i rifugiati veri e propri, come già definiti dalla Convenzione di Ginevra, sia per le persone riconoscibili quali beneficiari di protezione sussidiaria. Essi corrispondono a quelle persone che, pur non essendo rifugiati propriamente intesi, hanno ugualmente esigenza di protezione internazionale, in quanto in caso di rimpatrio, correrebbero un rischio oggettivo di danno grave, quale la sottoposizione a pena di morte, a tortura o altri trattamenti inumani o degradanti, ovvero una minaccia grave e individuale alla loro vita o alla loro persona a causa di una situazione di violenza generalizzata derivante o dovuta a un conflitto armato interno o internazionale. I titolari dello status di protezione sussidiaria, al pari dei rifugiati, hanno diritto al medesimo trattamento riconosciuto al cittadino italiano in materia di assistenza sociale e sanitaria. Hanno diritto di godere del medesimo trattamento previsto per il cittadino italiano in materia di lavoro subordinato, lavoro autonomo, per l’iscrizione agli albi professionali, per la formazione professionale e per il tirocinio sul luogo di lavoro. Hanno diritto ad accedere agli alloggi di edilizia residenziale pubblica (Fonte: MinInterno).

E poi ci sono i migranti economici, quelli che una volta erano emigranti tout court: e quindi se è vero che tutti i rifugiati sono migranti, è anche vero che non tutti i migranti sono rifugiati.

Ci siamo fin qui? Ah è complicato? Più complicato di come la fanno sembrare i tribuni della tastiera? Ma chi l’avrebbe mai detto…Andiamo avanti.

Se è impossibile stabilire con certezza le cause principali che spingono i singoli migranti a mettersi in viaggio (proprio per questo da almeno un decennio UNHCR preferisce parlare di “flussi misti”), dai dati sull’immigrazione in Italia nel 2016 emerge che il 62% dei flussi è costituito da persone che arrivano in Italia in maniera regolare. A questi “migranti economici” si possono sommare le persone che, pur giungendo via mare, se facessero richiesta d’asilo vedrebbero probabilmente rifiutata la loro domanda, pari al 23% dell’immigrazione totale. Possiamo quindi calcolare che per ogni 100 ingressi in Italia almeno 85 siano attribuibili a ragioni prevalentemente economiche (fonte: ISPI).

Va poi detto che malgrado un rapporto dell’OCSE sottolinei come solo il 29% dei migranti sbarcati in Italia sia passato dagli hotspot dell’Unione europea, oggi l’Italia identifica comunque la quasi totalità delle persone che arrivano sulle proprie coste. L’affermazione secondo cui l’Italia sarebbe inadempiente è stata vera nella prima fase della crisi migratoria in Europa (2013–settembre 2015), quando l’Italia procedeva all’identificazione solo nel 36% dei casi. Anche per questo, molti migranti erano più liberi di tentare l’attraversamento delle frontiere italiane verso paesi del Nord Europa, senza timore di essere “ritrasferiti” in Italia in applicazione del regolamento di Dublino (fonte: ISPI). Oggi non è più così, anche se il sistema continua ad essere lento, farraginoso, mal gestito e fonte di giustificati dubbi in merito ad onestà e professionalità di molte ONLUS e cooperative cui viene affidata la gestione dei chiedenti asilo.

Messi così in chiaro almeno alcuni degli aspetti del problema, è forse possibile procedere a qualche considerazione.

La prima, a mio avviso, è che si confondono i due aspetti del problema. Un conto è salvare la vita a persone in pericolo sul mare (che è un dovere, ai sensi della Convenzione Internazionale sulla Ricerca ed il Salvataggio Marittimo del 1961), un conto è permettergli di stabilirsi in Italia (e quindi nell’Unione Europea) senza averne titolo. Sono due cose decisamente diverse. La questione è ovviamente complessa e di difficile soluzione, si tratta comunque di persone che lasciano paesi che, ancorché non in guerra, non offrono un futuro ai loro abitanti. Un buon passo verso un approccio serio potrebbe però essere deporre le lenti ideologiche e mettersi in testa che si deve soccorrere chi è in pericolo in mare (perché si deve, non perché si è buoni) e lo si deve sbarcare nel porto aperto più vicino (perché si deve, non perché si è cattivi), allo stesso modo in cui si deve dare asilo a chi sfugge da persecuzioni etniche, religiose o razziali (di nuovo perché si deve, non perché si è buoni) e si deve rimpatriare al paese di origine chi non ha questi requisiti (di nuovo perché di deve, non perché si è cattivi). Corollario: dall’inizio del 2015 alla missione italiana Mare Nostrum si era sostituita la prima versione dell’operazione europea Triton, che aveva arretrato il baricentro dei salvataggi a ridosso delle acque italiane. In coincidenza dell’inizio di Triton erano aumentate le morti in mare, fino al tragico naufragio nel Canale di Sicilia del 18 aprile, nel quale persero la vita tra le 700 e le 900 persone e che convinse l’Europa – sollecitata a gran voce dall’opinione pubblica che ora grida di lasciarli annegare mentre allora gridava che bisognava fare qualcosa – a spostare le operazioni di Triton molto più a sud.

La seconda è che, quando si parla di trattati internazionali, bisogna intendersi sui termini e sapere di cosa si parla, soprattutto nel dialogo con i partner stranieri: se si parla di “rifugiati” da ricollocare intendendo tutto il minestrone di cui sopra con un interlocutore che conosca il proprio mestiere, quest’ultimo avrà buon gioco a fare l’innocentino ingiustamente accusato e a citare a quante migliaia di rifugiati ha già dato asilo. Sarà ipocrita e poco etico, ma i trattati e gli accordi sono dei contratti, e come tali vanno gestiti.

La terza è che siamo di fronte ad un fenomeno epocale. A differenza degli sbarchi in Grecia (nel 2015–2016 il 90% degli arrivi sulle coste greche era composto da siriani, afghani o iracheni, persone plausibilmente in fuga da conflitti), i flussi verso l’Italia sono solo in piccola parte legati a conflitti e i migranti giungono soprattutto dall’Africa subsahariana. Sul lungo periodo questi ultimi continueranno ad arrivare, per ragioni demografiche ed economiche. Sul versante demografico le previsioni dell’Onu al 2050 prevedono una popolazione dell’UE sostanzialmente stabile (peraltro solo nel caso in cui l’afflusso di stranieri si mantenesse attorno al milione all’anno), mentre il numero di abitanti dei paesi dell’Africa subsahariana è destinato a raddoppiare, passando da uno a due miliardi. Sul fronte economico, inoltre, nonostante i tanti progressi fatti negli ultimi trent’anni, la regione dell’Africa subsahariana denuncia a tutt’oggi un livello di redditi pro capite tra i più bassi al mondo (1.652 dollari all’anno, contro i 34.861 dollari dell’UE). Demografia e differenze di reddito continueranno dunque a rappresentare importanti fattori di attrazione verso l’Europa e che pensare di fermare questa Völkerwanderung è illusorio e irrealistico: in ogni caso la composizione qualitativa e culturale della nostra società ne sarà toccata. “Come” dipende da noi: certo che se continueremo a offrire miopia, astio, furbizie, comportamenti di cooperative che ricordano quelli dei famigerati “Agenti Indiani” del West, pressapochismo, cialtroneria, insomma l’armamentario denunciato ormai a scadenze regolari da chi ha confidenza con il problema, difficilmente ne uscirà qualcosa di buono.

Quarto: è vero che l’Europa è inadempiente nei ricollocamenti, ma è anche vero che solo meno di 3,000 su più di 8,000 comuni italiani stanno finora tenendo fede all’accordo sulla ridistribuzione con il Ministero dell’Interno che prevede che i Comuni fino a 2000 abitanti accolgano 6 richiedenti asilo ciascuno, mentre quelli oltre i 2000 abitanti ne dovrebbero accogliere 3,5 ogni 1000 abitanti. Nota a margine: il paese dove abito, con 6016 abitanti, in aggiunta ai 229 extracomunitari– ci sarebbero anche 5 Svizzeri da aggiungere, se volessimo essere corretti – che già vi risiedono e lavorano ben integrati, ha ricevuto ieri altri 32 chiedenti asilo, provenienti da Irak, Nigeria Kosovo e Turchia, il che corrisponde a 11 unità in più di quanto previsto e conferma il caos in cui ci si muove in assenza di una qualsiasi politica dell’accoglienza/espulsione, in quanto appare difficile ritenere che agli abitanti di Kosovo e Turchia si possa accordare lo status di rifugiato o di soggetto a protezione speciale.

Quinto: nel breve-medio periodo, l’unico modo di mettere sotto controllo i flussi diretti verso l’Italia sarebbe quello di impegnarsi in Libia, smettere di credere agli accordi per operazioni congiunte con la Guardia Costiera Libica, e vedere una finalmente rinsavita Unione Europea creare le condizioni giuridiche ed operative necessarie per andare a prendere in Libia i criminali che gestiscono il traffico di esseri umani (AH AH AH). Il tutto legando l’erogazione degli aiuti allo sviluppo, di qualunque natura essi siano, all’implementazione di serie misure di controllo delle rispettive frontiere. E per favore non si tiri fuori il discorso del petrolio perché 1., il petrolio viene pagato fior di soldoni, e non vedo perché ci si dovrebbe sentire in colpa se i rispettivi governi (che hanno smesso di essere i fantocci degli USA o dell’URSS da almeno 30 anni) li usano come li usano e 2. beh, al momento di fonti di approvvigionamento alternative ce ne sono in abbondanza, a partire dal disgraziatissimo Venezuela. Il che ci riporta al punto 3.

Concludendo:

  • A problemi complessi non corrispondono soluzioni facili, con buona pace delle tigri dell’etere;
  • non ho ricette da offrire;
  • spero di essere riuscito a chiarire almeno qualche punto;
  • viste le desolanti immagini del parlamento Europeo il giorno in cui Juncker doveva parlare di immigrazione, credo che sia ora che, se l’Unione Europea ha deciso che il mio paese debba essere consegnato a Grillo, Salvini e Meloni, ce lo dica.

[Grazie a Francesco De Luca ed Alberto Lorioli per gli spunti]

Contributo scritto per Hic Rhodus da Maurizio Sulig

Centurione per quasi quarant’anni, più della metà dei quali al comando di qualcosa di 
nazionali o multinazionale. Sei turni in ex-Iugoslavia e Afghanistan. Si esprime in 
inglese e tedesco senza essere causa di frizioni internazionali. Vive in Alto Adige 
con famiglia e gatto (rosso).
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