Gli edonisti della Rete

Siamo sopravvissuti alle abbondanti libagioni, agli auguri ‘a lei e famiglia’, al divertimento forzato, ai buoni propositi d’obbligo; oppure siamo stati con la controparte, cinica e anticonformista, quella che non ha nemmeno festeggiato il Capodanno e che ha preferito trascorrere tra le coperte la notte di bagordi: in entrambi i casi qualche riflessione, volenti o nolenti, siamo inevitabilmente portati a farla per l’inizio dell’anno nuovo, soprattutto se abbiamo l’abitudine (ed i lettori di Hic Rhodus, almeno loro, ce l’hanno) di riflettere. Sulla vita, l’universo e tutto quanto, seriamente o meno. L’inizio dell’anno, cessato il baccano di rito, è il momento ideale per bilanci e meditazioni esistenziali.

Così, passeggiando in rete, mi è stato proposto l’ascolto di un brano di James Last: Romance, dall’LP Beethoven ’74, famosa colonna sonora dello spot pubblicitario (primi anni ’70) di una nota marca di brandy . È stato facile rivivere il clima festivo dell’epoca, benché fossi una bambina; e non ho potuto non fare un confronto con il clima attuale.

1974, crisi energetica, Austerity, prime incrinature al clima di insperato benessere portato dal boom economico del dopoguerra. Gli anni dei primi provvedimenti fiscali accolti sfavorevolmente soprattutto da imprenditori e lavoratori autonomi: l’introduzione dell’IVA fra tutte (1972). Si cominciava ad intravedere la fine dell’arricchimento facile a portata di tutti, o quasi. Però le feste erano sempre le feste, da trascorrere in famiglia o in vacanza: per pochi all’estero, mentre Cortina d’Ampezzo era ancora una meta ambita per gli italiani (i russi e i cinesi che la affollano oggi appartenevano allora a mondi alieni); e soprattutto dava al ceto medio uno status incredibile (i potenti ‘vip’ l’avevano già abbandonata da tempo).

2018, crisi epocale che perdura da un decennio, timidi segni di ripresa, opulenza sulle tavole, ma non troppo ostentata (con un occhio all’ambiente e alla salute); vacanze e crociere in località esotiche alla portata di tutti, le nostre città invase dal turismo vacanziero e divertimento obbligatorio, festeggiamenti in piazza, mercatini di Natale in ogni dove, regali tecnologici da migliaia di euro sono i must del momento; e in primo luogo: le foto che imperversano sui social network che immortalano tutto quanto elencato in precedenza, per il proprio compiacimento e per suscitare l’invidia altrui.

E quindi sulla rete si ode un coro di: “Ah, i bei tempi passati in cui invece si gioiva con poco: la calza della befana, il carbone dolce, lo zampone con le lenticchie, altro che l’antipasto di quenelles di spuma molecolare di uova di storione afgano con foglia d’oro!”

Siamo proprio sicuri che sia cambiato così tanto? Anche quarant’anni fa se non potevi permetterti un cenone luculliano o il Natale sulla neve delle Dolomiti eri uno sfigato, e così se non avevi un’auto decente e almeno un’utilitaria come seconda auto (l’importante è che avesse la targa pari, se quella della prima era dispari). Oppure la pelliccia, rigorosamente di animale pregiato, magari in via di estinzione ma poco importava ai più, mentre oggi le pellicce vere vengono spacciate per sintetiche. ‘O tempora, o mores…’

Sì, qualcosa è cambiato indubbiamente; ma tutto sommato non si tratta di differenze sostanziali. Sono convinta che si tratti di mutamenti superficiali.

È mutata piuttosto la visibilità dell’essere umano ‘social’, la condivisione pubblica di ciò che egli fa e pensa.

Quello che quarant’anni fa era risaputo in una ristretta cerchia di persone, oggi non solo pare sia di dominio pubblico, ma nell’arco di un battito di ciglia, da quando viene pubblicato in rete, fa il giro del mondo.

Ed avendo Internet, presso le masse, la stessa indiscussa autorità che quarant’anni fa aveva la televisione, essere presenti in rete sapendo che chiunque può ammirare il proprio piatto al ristorante, il selfie in compagnia o l’immagine delle vacanze, fa sentire decisamente ciascuno di noi più importante. Letteralmente al centro del mondo. Anzi: in grado di incidere sul mondo, di lasciare la propria impronta, benché si riduca ad un autoritratto con la bocca aculodigallina.

E poi ci sono le schiere di internauti che non si limitano a condividere immagini personali ma, forti della diffusione planetaria dello strumento mediatico, cercano in ogni modo di fare qualcosa che possa influenzare opinioni, incidere su chi assume decisioni, modificare eventi o semplicemente creare scompiglio.

Il fatto che tutto ciò che anche il più stupido degli esseri umani pensa, fa o fotografa ora sia di pubblico dominio preoccupa non poco i più avveduti. E quel che è più interessante è che quanto più alcuni fatti o comportamenti toccano le corde più infime della natura umana, tanto più catturano l’attenzione della massa degli utonti di Internet (sì, avete letto bene: utonti, con la o).

Ma l’utente medio dotato di un qualsivoglia supporto digitale collegato al sistema sociale interattivo globale che cosa esprime? Istinti primordiali, astio, risentimento ed invidia, comicità di bassa lega, indignazioni immediate per qualsiasi notizia circoli in rete, sia essa falsa o reale, proteste, opposizioni, lotte senza quartiere per la difesa da ogni presunto tentativo di sopraffazione ad opera di, in ordine sparso: stranieri, immigrati, profughi, poteri forti, politici lestofanti, multinazionali della chimica, specie aliene, complottardi internazionali, religioni varie, uomini maschilisti, donne femministe, razzisti, capitalisti, comunisti, qualunquisti, sapientoni, ignorantoni, maghi, acrobati, pagliacci e ballerine…

Se il potere di influenzare gli altri individui attraverso le proprie interazioni in rete fosse concreto lo scenario sarebbe davvero inquietante.

Ma in realtà la stragrande maggioranza di questi individui stanno solo, molto modestamente, schiacciando uno o più tasti della propria tastiera; altro non fanno e non sono nemmeno in grado di fare. Non scendono in piazza, non si espongono, non rischiano, nemmeno hanno il coraggio di sostenere la propria opinione in faccia alla gente. Dal vivo.

Credo possiate condividere la mia impressione che i cosiddetti ‘leoni da tastiera’, modesti opinionisti e cliccatori seriali, nella vita reale siano in genere persone il cui effettivo contributo alla società è insignificante.

Analizziamo inoltre alcuni numeri.

Digital in 2016 • ITA

In Italia le persone che utilizzano uno dei social network più diffusi sono ufficialmente 30 milioni. Almeno questi sono i dati forniti da Facebook stesso  e tuttavia le cifre vanno decisamente ridimensionate poiché questo è il numero dei profili, ma ciascuno sa per esperienza personale che numerosissime sono le persone che hanno profili multipli, quelle che sono decedute, e poi ci sono i profili aziendali, ecc. Secondo i dati ISTAT chi partecipa ai social network, nella popolazione italiana dai 6 anni in su, è il 57,8%. Le punte più alte tuttavia (oltre l’80%) sono nelle fasce dai 15 ai 24 anni. I dati (qui sopra) contrastano indicando ad un livello inferiore la presenza degli italiani sui social. Qui sotto invece i dati globali.

Digital in 2016 • Global Digital Snapshot

Bufale, fake news, cyber bullismo, ignoranza diffusa e autocompiaciuta, proselitismo a fini destabilizzanti, certamente possono fare danni. Ma la questione è: danni di quale entità? Non tutto il temuto potere di chi esprime la propria opinione su Internet è determinante nella nostra società.

Un esempio: i benpensanti si preoccupano spesso che tutti coloro che attraverso le proprie esternazioni mediatiche dimostrano il proprio livello di analfabetismo funzionale possano votare. Tuttavia negli ultimi anni, in Italia, l’affluenza alle urne è diminuita drasticamente rispetto ad esempio agli anni ’70 del Novecento. E dalle ricerche effettuate sulla popolazione coloro che dichiarano di aver risentito dell’influenza di Internet sulle loro scelte di voto sono solo il 26%.

È d’obbligo tuttavia distinguere: esistono fenomeni preoccupanti, come le affiliazioni fondamentaliste, che hanno attraverso i social un terreno di diffusione fertilissimo. O il dilagare, solo per fare un esempio, dei cosiddetti antivax, le cui scelte possono compromettere la salute della collettività minando l’immunità di gregge raggiunta grazie alla profilassi immunitaria collettiva. Tuttavia provvedimenti legislativi, come quello che prevede la mancata ammissione dei bambini non vaccinati ai nidi ed a tutti gli ordini dell’istruzione obbligatoria, possono ridimensionarne la pericolosità sociale.

È un dato su cui riflettere.

La gogna mediatica cui periodicamente i social sottopongono personaggi pubblici o semplici cittadini per le loro azioni o affermazioni, la ‘viralità’ dei video e delle immagini che circolano in rete, l’impressione che qualsiasi cosa si faccia o dica sia soggetta al giudizio di un pubblico globale, è francamente eccessiva.

Consideriamo invece quanto scarso sia il potere di incidere sull’esistenza di chi deliberatamente non è presente sui social, non twitta e non ha un profilo FB, Instagram et similia. Solo in Italia la metà della popolazione.

E anche solo per sminuirne il peso basterebbe riconsiderare l’importanza che ciascuno attribuisce alle proprie interazioni sociali virtuali.

La percezione del potere ottenuto attraverso la rete funziona ampiamente come uno specchietto per le allodole: quanto è bella e democratica la rete che ci consente di esprimere le nostre idee dribblando i vincoli della censura!

Non è così. Ovvero lo è solo apparentemente. Credo che esprimere la propria disapprovazione o viceversa il proprio sostegno a qualsivoglia istanza non cambi poi granché a livello globale. Però ha il pregio di farci sentire tutti così determinanti. Così importanti, nel mondo.

I social network in special modo danno ad ognuno la visibilità e l’importanza (benché fittizie) che nessuno mai si sarebbe sognato di avere.

Quanto amiamo parlare di noi stessi, metterci in mostra, soprattutto quando non ci costa nulla e possiamo farlo stando comodamente seduti a casa nostra o alla scrivania del nostro ufficio! E quanto amiamo dire la nostra, far sapere la nostra opinione: nessuno fino ad ora ci aveva mai ascoltato, se non i quattro amici al bar con cui trascorrevamo le serate, o le vicine di casa con cui chiacchieravamo nel tempo libero. Oggi invece possiamo raggiungere una moltitudine di persone, commentare, dissentire, attaccare, ricevere apprezzamenti (like), condivisioni, sostegno e approvazione. Senza avere avuto un contatto reale con chicchessia.

L’impero di Mr. Zuckerberg è costruito su questo: la bacheca Facebook di ciascuno è una vetrina personale, e il sistema ci chiede in continuazione di condividere con tutti i nostri stessi pensieri; ci pone domande le cui risposte ci rendono interessanti, unici, importanti. O almeno così ci piace pensare.

Tutto sta nel valore che diamo al mezzo, nell’importanza che esso ha per noi. Del resto l’enorme business di cui facciamo parte quando interagiamo sui social network si regge proprio su questo nostro inesauribile desiderio di attenzione. Per quanto recenti studi dimostrino che chi è depresso non veda accresciuta la propria autostima in presenza di un maggior numero di likes.

Il rovescio della medaglia è purtroppo ben noto alle cronache: chi non riesce ad acquisire visibilità, chi subisce atti di bullismo o diffamazione sui social può essere gettato nello sconforto al punto da togliersi la vita. Forse a causa di una distorta percezione dell’importanza della rete e di chi interagisce con essa.

Sarebbe utile ricordare che chi ci cancella non ci annulla, i like non ricevuti così come quelli ricevuti sono effimere e parziali espressioni di disaccordo o di stima. La realtà è anche altrove.

Auspici per l’anno nuovo? Sono un’inguaribile ottimista e ingenuamente spero che si riesca a dare un po’ meno importanza a ciò che avviene in rete e sui social o che ciascuno possa trovare anche altrove occasioni di gratificazione personale. E magari ottenere un uso migliore del mezzo, più consapevole. Ma soprattutto, nostalgicamente, vorrei che venisse ridimensionato il potere delle interazioni virtuali nella vita degli individui e della società.

Detto questo vi auguro un buon 2018 (e mi raccomando: cliccate mi piace se l’articolo è stato di vostro gradimento, per me è molto importante!)  😉