La cultura, l’istruzione, la lingua stessa sono da sempre una discriminante tra le classi sociali. E tuttavia la celebre affermazione di Don Milani: “Un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è il padrone” oggi non ha forse più senso.
Ecco il punto: democratizzazione della cultura significa oggi libero accesso alle nozioni da parte di chiunque, senza riguardo per l’attendibilità delle fonti, ridimensionamento dei parametri linguistici che vengono adattati ad un livello culturale al ribasso, estensione alle masse di ciò che fino alla seconda metà del Novecento era un fattore di discriminazione sociale potente: la conoscenza. Svuotandola tuttavia di gran parte dei suoi contenuti.
Quale conoscenza quindi? Non importa granché e proprio per questo ho parlato di accesso alle ‘nozioni’, che non significano cultura. E le fonti non vengono nemmeno messe in discussione. Il problema delle fonti, la scientificità nell’acquisizione ed elaborazione delle informazioni: tutto questo è stato spazzato via da Wikipedia, Facebook, e ogni altro mezzo di comunicazione equiparabile. Equiparabile perché creato da tutti e da tutti utilizzato. Estremamente democratico, non c’è che dire. Ma qui il problema è che si intende in modo errato il significato di democrazia: democrazia è il potere del popolo, il governo della cosa pubblica deciso dal popolo; indirettamente tramite i propri rappresentanti e per alcune questioni anche direttamente.
Ma stiamo parlando di politica. Di gestione della cosa pubblica, di potere decisionale. Non di cultura, conoscenza, scienza, divulgazione delle conoscenze. I politici non sono scienziati o ricercatori, né storici, linguisti, fisici o letterati.
A scuola a volte qualche alunno intraprendente si lamenta: ‘non è giusto, non è democratico’. Si riferisce all’insegnamento, alle prove di verifica, ai compiti per casa, alle decisioni del corpo insegnante. La mia risposta è immancabilmente: “La scuola non è democratica”. Ritengo sia un concetto di fondamentale importanza (che si allaccia tra l’altro alla famosa frase del noto epidemiologo Prof. Burioni: ‘la scienza non è democratica’).
Non dobbiamo confondere libertà con conoscenza. Sono libero di curarmi il cancro con l’omeopatia, così come sono libero di suicidarmi. Non sono libero tuttavia di affermare che tali cure omeopatiche siano efficaci, se non lo dimostro scientificamente. Posso scegliere di non vaccinarmi o di non vaccinare i miei figli, ma non posso pretendere, in base a mie personali opinioni non suffragate da riscontri scientifici, di vivere in una comunità di cittadini dei quali potrei mettere a rischio la vita stessa in nome della libertà di pensiero. Si tratta di ambiti del tutto differenti.
Invece questa smania di democrazia, il desiderio di abbattere le barriere culturali che impedivano alle masse ignoranti l’accesso al ‘sapere’ percepito come potere aristocratico degli intellettuali, che guarda caso appartenevano immancabilmente alle classi sociali dominanti, ha fatto sì che sia stata manipolata la conoscenza stessa.
Già l’avvento dell’istruzione di massa ha inevitabilmente ridimensionato la qualità dell’istruzione: è innegabile che il diploma di scuola superiore odierno non regga il confronto con lo stesso titolo di studio conseguito quaranta o cinquant’anni fa. E così per la licenza media. Ma oggi il fenomeno è più diffuso e preoccupante perché il cosiddetto analfabetismo funzionale va di pari passo con la pretesa che la conoscenza on line, a cui comunque anche gli analfabeti funzionali accedono, sia ‘la Conoscenza’. La stessa che possiedono i cosiddetti ‘professoroni’ contro i quali si scagliano i difensori della cultura democratica sul web. E i populisti in politica.
Cultura democratica, inteso come conoscenza democratica, è quanto meno un ossimoro. Accesso alla conoscenza esteso a tutti, invece, è il termine corretto.
Oggi avere una laurea è diventato molto più facile, riconosciamolo. E la laurea stessa, per chi ce l’ha, pare quasi un patentino che autorizza a fare affermazioni in qualsiasi ambito, anche diametralmente opposto a quello in cui ci si è laureati. Quando poi la laurea non sia stata presa alla celeberrima ‘Università della Strada’! La quale per molti ovviamente possiede un valore intrinseco ben superiore a quello di qualsiasi istituzione universitaria ufficialmente riconosciuta, poiché è l’università del popolo; quella dei poveri, dell’esperienza, l’unica alla quale hanno potuto avere accesso coloro che, non per loro incapacità ma a causa della sfortuna e delle vicissitudini della vita, non hanno frequentato un regolare corso accademico di un qualsiasi ateneo legalmente riconosciuto.
Tentare di far valere le proprie ragioni, ampiamente avvalorate dalla cultura ufficiale, incontra la netta opposizione di coloro che sostengono la democrazia culturale e l’accesso senza regole alle fonti dell’informazione da parte di tutti. Fonti che in genere sono Internet e/o la televisione (sempre più in discesa nel gradimento, tuttavia). E che si contrappongono a una cultura a loro avviso strumento del potere, e quindi mendace e fuorviante, fatta per assoggettare e dominare le masse sottomesse; cattiva insomma.
La cultura, quella seria, frutto del libero pensiero e del metodo scientifico, in realtà è a portata di tutti ormai da tempo. La lingua italiana viene insegnata correttamente e gratuitamente in tutte le scuole del nostro paese. Le biblioteche prestano i libri gratis, i musei sono aperti gratuitamente un giorno al mese, la televisione trasmette in continuazione, nei canali dedicati, validi programmi d’informazione scientifica ed approfondimento su qualsivoglia argomento. Perché allora la cultura cosiddetta ‘ufficiale’, aggettivo connotato negativamente poiché associato all’idea di regime, imposizione dall’alto operata da classi egemoni su classi subalterne, è considerata con diffidenza? Se non proprio decisamente osteggiata?
Evito di banalizzare la questione, ma credo che tout simplement sia un problema di pigrizia, oltre che di diffidenza dettata dall’ignoranza stessa (un circolo vizioso, quindi, e aggiungerei estremamente pericoloso). È faticoso studiare, così come parlare correttamente. Pensare, pure; quanto tempo passato sui libri potrebbe essere più volentieri impiegato ad uscire, giocare, divertirsi, ballare, mangiare, bere, amare, ballare, guardare la tv, ascoltare musica, ecc. ecc.
Come se chi studia non facesse anche tutto ciò, oltre a studiare, informarsi adeguatamente, leggere! Ma il dizionario è pesante, sfogliare le pagine di un volume dell’enciclopedia costa sforzi immani, leggere affatica la vista, impegna il cervello con effetti devastanti sulla sua lucidità; come paragonare tutto ciò ad uno schermo luminoso con una bella foto e una scritta a caratteri cubitali? “Leggi e condividi prima che venga censurato”; leggere mai, basta guardare e poi… il click di un mouse è semplice, immediato e così riposante!