Nella nona stagione di Walking Dead, colpo di scena: gli zombi pensano, hanno ricordi e parlano! Oops… ma nelle otto – dicesi otto – stagioni precedenti, dove si erano imbucati, cosa aspettavano? La risposta è facile: aspettavano che gli sceneggiatori raschiassero il fondo del barile; la serie è fortunata e seguitissima, la lotta agli zombi delle prime serie si è trasformata in lotta contro gli umani cattivi, poi contro quelli più cattivi… Nulla di strano se nella decima, prossima serie scapperanno fuori anche gli alieni che manovrano telepaticamente i morti viventi. Perché dopo la prima regola (stupire, non annoiare, tenere desta l’attenzione dello spettatore-consumatore) la seconda è certamente: loro [gli spettatori-consumatori] si bevono qualunque cosa. Restiamo su Walking Dead: se accetti l’a priori dei morti viventi, la possibilità dell’apocalisse zombie, allora ti bevi tutto; un po’ come certi film di fantascienza, anche di qualità, con incongruenze scientifiche grossolane. Un po’ come gli adolescenti dei film americani sempre stronzetti e disturbati. Lo spettatore-consumatore entra in un mondo parallelo accettandone le premesse (sei in un film di fantascienza, sei in una storia di zombie). Una volta accettate le premesse non ti chiedi perché mai gli zombi si siano messi a chiacchierare solo adesso; oppure – questione più subdola – perché Eugene abbia tradito tutto e tutti facendo le peggio cose ma continua a essere benvoluto (o quantomeno tollerato) da tutti, invece di beccarsi una palla in fronte. O perché Rick non abbia ammazzato quello schifosone di Negan quando ne ha avuta la possibilità (e cavolo, quel personaggio ci serve ancora! mi dice lo sceneggiatore grattandosi la fronte).
Poiché il concetto è chiaro, entriamo in quell’altro mondo parallelo che si chiama ‘politica’. È la stessa roba: ci sono attori, copioni, ruoli da interpretare… Qui gli attori sono molto più bravi perché sono anche sceneggiatori e registi, recitano sulla base di canovacci spesso solo abbozzati e hanno i sondaggi al posto dello share (ma qui le differenze sono veramente minime). Prendete Salvini: passa dal peggior linguaggio ur-fascista al tono conciliante (alla manifestazione di Roma del 9 dicembre) come se nulla fosse. Si atteggia a politico di lunghe vedute quando, fino a mezz’ora prima, agitava la ruspa; obbliga il suo popolo in festa a ingoiare frasi di un certo buon senso quando lo aveva ingrassato, fino alla sera prima, con la peggiore pornografia politica. Ma – miracoli della narrazione di successo! – nessuno ha fatto una piega. Accettato l’a priori del capo salvifico, ciò che dice ha un’importanza relativa. L’importante è la continuità narrativa.
Se tale continuità – in Walking Dead – è data dalla sopravvivenza in sé, dalla lotta dei buoni (noi tutti) contro il mondo in rovina (specchio delle paure del presente, come scrivemmo in un post precedente), in politica la narrazione contemporanea è – curiosamente in maniera analoga – la vittoria identitaria. Vittoria contro quello che vi pare, a seconda del grado di ottundimento della ragione che manifestate: i poteri forti, Bruxelles, la Fornero, i pidioti… L’importante è sentirsi dalla parte giusta, che è quella che vince.
Vi risparmio la psicologia spicciola. E anche il sociologismo un po’ accattone. E non perché il fenomeno in questione non sia interessante sotto il profilo psico-sociologico ma, più prosaicamente, perché non ce la faccio più, dopo anni di commenti qui su HR, a ripetere cose dette fino alla nausea. E l’analfabetismo di ritorno. E l’informazione all’epoca dei social. E la vocazione gregaria dell’italiano medio. E la storica mentalità fascista degli italiani. Fatto è che giulivi e contenti i leghisti dai quattro angoli d’Italia sono convenuti a Roma a vedere il loro eroe; colui che li fa sentire bene con la loro voglia di ruspa, che li fa sentire normali (anzi, un pochino più in gamba) con la loro paura dei neri… E pochissimo importa che le parole d’ordine di ieri oggi siano riviste come non importa che i leghisti del Nord continuino a schifarsi dei concittadini del Sud, sia pur camuffati da leghisti. Perché appunto i contenuti importano su altri tavoli, in altri contesti. Tutti costoro vogliono appagati i loro sogni (dal reddito di cittadinanza al Sud alla flat tax an Nord, dal sì Tav al no Tav a seconda delle zone e dalle appartenenze) ma quello è il fastidioso piano della realtà, dove anche Salvini avrà il suo bel daffare per districarsi. Intanto Viva la Ruspa, Sì Tav, Sì reddito, No Fornero, ma anche no, ma forse boh…
È anche su questo piano che Salvini mostra un elemento di presa popolare che Di Maio non avrà mai. Se Salvini può dire tutto, e poi il suo contrario, perché il prodotto è lui, la narrazione è lui, Di Maio su questo è fregato. Il brand di Di Maio non è Di Maio, ma onestà, trasparenza, no Tav, no casta… Una retorica moralista rigida dove difficilmente si passa dal No Tav al Sì, dal No casta al parliamone, dallo streaming con Bersani alle oscure stanze. Al momento il calo 5 Stelle nei sondaggi, pur rilevante, è ancora contenuto solo perché qui l’identità casaleggina è forte, e dall’incredulità allo sconcerto bisogna ingoiare più e più rospi prima di abbandonare il Movimento per delusione. Quelli della Lega, invece, se ne impippano; a parte i residuati celoduristi di bossiana memoria (i più spaesati), oggi appoggiano la Lega e acclamano Salvini persone che provengono dalle più svariate esperienze politiche, PD incluso. Perché l’identità non si fonda su una morale (come per i pentastellati) ma sull’amoralità; su prima gli italiani, e in particolar modo prima io; su via gli immigrati, semmai godendo per i presunti scandali delle ONG, perché si sa che è tutto un magna-magna. Su Fornero al Cimitero perché voglio IO andare in pensione, e i conti dell’INPS non sono un mio problema.
È così che Salvini, pian piano, si sta mangiando il Movimento, che si costruisce una faccia adatta ad ogni situazione (e il prossimo appuntamento sono le Europee…). I giacobini entusiasmano le folle finché tagliano la testa ai ricchi e nobili, ma dopo, che palle! Il rigore, l’onestà, la trasparenza vanno bene finché sono richieste agli altri, ma non se si pretende di essere tutti monachini. La Lega, invece, lascia intendere botti piene e mogli ubriache, un menefrego continuo, uno sfavillante cazziloro buono per ogni occasione e gli italiani impazziscono per questa narrazione.
Quello che ci aspetta è quindi una piccola metamorfosi salviniana: truce come al solito coi deboli (immigrati, rom…), ambiguamente accomodante coi forti (industriali, Bruxelles…) e à la carte con tutto il resto, almeno fino alle elezioni europee. Se tutto andrà bene la Lega farà il pieno e Salvini si accrediterà fortemente come un leader fascio-populista europeo; se poi andrà davvero bene rovescerà il tavolo, manderà a spasso i casaleggini (che saranno perduti) e governerà con un monocolore leghista. Che dite: vi ricorda qualcosa? Vi ricorda qualcuno?