Vendiamo Pompei!

Da una qualunque casa d’aste, prendendo il primo pezzo esposto, vedo questo sasso con un po’ di rilievi egizi, 72 cm, valore d’asta fra i 25.000 e i 35.000 Euro. 

Come tutti sappiamo, in Italia siamo pieni fino agli occhi di cocci, coccetti, statue, anfore, bifore, alti e bassi rilievi, mura, muretti, pezzi di templi assortiti e mezze città diroccate. Fenice, greche, etrusche, ovviamente romane, poi longobarde e mi fermo perché, di fronte a tutta ‘sta roba, anche arrivare al Rinascimento è praticamente modernariato.

Fatemi azzardare dei conti piuttosto acrobatici, perché qualunque stima vaghissimamente seria richiederebbe lunghissime stime e perizie, e questo post, pur essendo serissimo, non è da prendere così sul serio.

Allora: quanti sassi antichi abbiamo in Italia? Metteteci anche le collane, anelli, monete, e insomma tutto quello che è rimasto qui fra il 1.000 a.C e il 1.000 d.C. In 2.000 anni sai te quante tonnellate di roba abbiamo? Tanto per dare un numero a caso, sicuramente di molto inferiore alla realtà (mi basta darvi l’idea della mia proposta) diciamo che abbiamo un miliardo di distinti oggetti: valore medio 1.000 Euro (molto meno del coso egizio sopra, ma tenendo presente che si tratta di una media e ci saranno molti oggettini di minor valore, stiamo bassi, e bene così).

1.000 Euro x 1.000.000.000 di paccottiglie valgono esattamente 1.000.000.000.000 (mille miliardi di euro). Secondo dati 2017 il debito pubblico mondiale ammontava a 44.000 miliardi di dollari (meno in Euro, ma poi il debito è cresciuto…). Se ci vendiamo tutta la paccottiglia, in poche parole, non solo chiudiamo il nostro mostruoso debito, ma ci comperiamo tutti i debiti di tutti i paesi del mondo, Stati Uniti compresi, e li teniamo per le palle. E ci avanzano talmente tanti soldi da passare dieci anni a Riccione tutti, ma proprio tutti, a spese dello Stato.

Calma, non entusiasmatevi. Vendere tutta la mercanzia sarebbe una fatica immane (quante aste dovremmo fare? E i costi? E la spedizione?) e spenderemmo più in documentazione antimafia e controlli di quanto potremmo incassare. Quello sopra era solo un esempio per una visione più grande: vendiamo Pompei! 

Non mi verrete a dire che il valore di Pompei non è comparabile al milione di pezzi di terracotta! Personalmente credo che valga molto di più ma, se anche mi sbagliassi, quanto meno il nostro debito pubblico e un mesetto a Riccione dovrebbero scapparci.

Però non bisogna essere troppo opportunisti. Vendere non significa dare in gestione, ma proprio dare via, dove l’accento è sul via. Eradicare Pompei, come si fece col tempio di File in Egitto, e spostarlo – che so? – in California, è cosa fattibilissima. Il compratore avrebbe in perpetuo un parco giochi unico e col tempo si rifarebbe dalle spese (anche con l’indotto, specie se è un imprenditore serio che mette le giuste hamburgherie, starbucks e similia in giro per la città).

Voi direte: ma come? Dare via Pompei? Ma poi a noi resta un buco immondo, una sconcezza, a danno poi dell’economia locale! No. Nessun buco e nessun danno. Ricostruiamo una Pompei in materiali plastici, resine, quelle cose lì (io non me ne intendo); più piccolina, con una pavimentazione decente, facilmente pulibile e manutenibile. Ai turisti tedeschi e giapponesi andrà benissimo uguale per i loro stupidi selfie, e anzi: “Venite a vedere la Pompei di plexiglas, unica al mondo!”. Credete forse che non possa funzionare? E poi lì vicino c’è la Reggia, la Costiera… C’è pur sempre Ercolano, che è anche meglio… In Italia ne abbiamo talmente tanta di roba che – sono serissimo – dare via un gioiello o due non sarebbe poi un vero danno.

E se i campani fanno storie, in malora! Vendiamo Venezia!

Naturalmente so che questa proposta troverebbe resistenze in grigi burocrati delle amministrazioni, ispettorati, direzioni pagate per avere un attacco isterico ogni volta che si fa un buco per terra, di professori di greco e latino, di quattro vecchi letterati che se ne fregano del debito pubblico e delle misere condizioni della nostra patria. Anche i greci, per vedere i loro templi, devono andare a Berlino, non vedo perché noi italiani non si possa fare un viaggetto per andare a vedere Pompei in California, se proprio non ne potete fare a meno.

E comunque abbiamo tutta Palermo e dintorni, di una bellezza abbacinante. Siena, che i toscani ne hanno altre. Perugia, che potremmo vendere col lago annesso. Urbino, Firenze, Lecce, Napoli, e mi fermo perché alla fine dimenticherei qualcuno e farei dei torti non volendo.

Vendiamo tutto, cribbio! Coi soldi risaniamo l’ambiente; facciamo una differenziata perfetta; bonifichiamo tutte le aree a rischio; avremmo reddito che i 5 Stelle se lo sognano; la mafia si estinguerebbe perché non avrebbe nulla da fare…

Perché l’arte, l’ambiente, le città d’arte, le coste, le isole, i borghi, i meravigliosi monti, i musei, le pinacoteche, sono valore, sono soldi, commercio, turismo, lavoro. Perché non riesco a capacitarmi come mai l’Italia sia quinta al mondo per turismo (prima la Francia con un turismo sostanzialmente parigino, seconda la Spagna, quasi a pari merito, dico: la Spagna! Pur bella eh? Per carità!).

Un Paese intelligente investirebbe fino all’ultimo centesimo di debito pubblico per costruire un sistema di turismo accettabile, non la cacca da rapina italica (andate in un albergo a tre stelle a Roma, poi andate nell’analogo a Berlino per vergognarvi come cani); investirebbe in infrastrutture amichevoli e accoglienti (provate ad andare a vedere i bronzi di Riace, a Reggio C., partendo da Roma, e ditemi se siamo un paese normale; mettetevi nei panni di un americano in arrivo a Roma via Termini, suk immondo, e ditemi se siamo un paese intelligente); controllerebbe prezzi e tariffe, aprirebbe le braccia ai cinesi (altro che le arance siciliane a Pechino!)… 

Ma, onestamente, prima che un governo di extraterrestri, così illuminato e saggio, riesca a promuovere una strategia decennale per rendere l’Italia il paradiso delle vacanze d’arte, credo, sinceramente, che si farà prima a vendere Pompei.

(Da una vecchia idea condivisa con Stefano Sappino)

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