… dice Di Maio dal palco napoletano della festa (?) per i dieci anni del movimento.
Ed è naturalmente vero il contrario: i 5 stelle hanno tradito tutti, ma proprio tutti tutti, i paletti, le parole d’ordine, i riti e i miti pentastellati (trasparenza, onestà, giustizialismo, doppio mandato, e il PD allora?) senza essere mai cambiati di una virgola. Non è contraddittorio. Una formazione populista così raffinata (nel senso dello zucchero: l’anima più pura, senza componenti estranee, e assieme più bianca e accattivante, del populismo protofascista) è costituita sul nulla programmatico, sulla mancanza di valori etici e politici profondi, sull’incapacità di analisi, anzi: sul suo rifiuto come strumento di inganno delle élite contro il popolo (roba da professoroni, come già Manzoni ci insegnò); il populismo non ha idee ma solo pulsioni, mal di pancia, ire, desiderio di vendette e di potere, come un’analisi distaccata del profilo personologico di Di Maio mostra in maniera evidentissima, specie in quest’ultimo periodo, dalla caduta del Conte 1, alla trattativa col PD, alle sue ultime posizioni (?).
I pentastellati restano degli inveterati giustizialisti (vedi la loro intenzione di portare avanti – in barba al PD – la riforma della prescrizione) perché il concetto di giustizia sfugge loro, come sfugge al popolo ignorante che preferisce una bella corda insaponata alle lungaggini del processo equo (e in tale equità incomprensibile).
I pentastellati sono sostanzialmente eversori. Il loro collante è la generica lotta alle istituzioni, alla casta (non usano più questa parola…); abbattere poteri e “privilegi” a colpi di martello senza considerare minimamente come le istituzioni, oltre a essere garanzia per i cittadini, sono anche organicamente intrecciate e funzionali in quanto sistema, ed è semplicemente criminale “tagliare le poltrone” solo come sfregio, come scalpo da esibire al popolino.
I pentastellati rifuggono la complessità – invenzione dei poteri forti – e la loro disperata ricerca di ipersemplificazione li porta a cambiare idee come banderuole, come nel caso della riforma elettorale, necessaria dopo l’assurdo taglio dei parlamentari, quando Di Maio, per rassicurare lo stolido Zingaretti, aveva dichiarato che sarebbero stati leali e ora, invece, strizzando l’occhio a Salvini, dichiara che non ce n’è affatto bisogno.
E soprattutto – se ne parla sempre di meno – i pentastellati rimangono un brand della Casaleggio & associati. Che per un movimento che sul conflitto di interessi ha detto peste e corna dovrebbe apparire di una qualche gravità ma, nella più pura schizofrenia populista, le colpe sono sempre, tutte, degli altri.
Protofascisti, eversori, giustizialisti, eterodiretti, ignoranti e incompetenti. E il PD ci si è infilato dentro allegro e felice, e non passa giornata che qualche illustre esponente non dica quanto è bello il mondo a 5 Stelle. Ma dovrebbe essere facile constatare – solo a volerlo, ovviamente – che i 5 Stelle sono rimasti esattamente lì dov’erano, ed è il PD che ha fatto balzi da gigante verso di loro. Di Maio non sbaglia più i congiuntivi; il buffo Toninelli è stato lasciato in panchina; Taverna – con la scaltrezza della lavandaia di borgata – ha imparato a tenere a freno la lingua. Ed è inevitabile che dai e dai, dopo 16 mesi di Parlamento e Governo, almeno l’ABC l’hanno imparato, come si dice cosa, quando si sorride a chi, il nome del tale Ufficio o Commissione, che Pinochet non era venezuelano e cose simili. Una ripulita che li rende presentabili ai parenti, come il ragazzaccio trucido di borgata che si dà una ripulita e cerca di parlare il meno possibile andando a conoscere i parenti di Zingaretti prima di portarlo al ballo.
A me dispiace enormemente che in casa PD questa situazione non sia compresa: state cambiando voi, cari amici del PD, non i 5 Stelle che sono sempre uguali. State cambiando voi con mille onorevoli (?) scuse: che era necessario per il Paese, che si doveva mandare a casa Salvini, che bisognava evitare l’aumento dell’IVA, che i renziani rompevano le scatole, che in Umbria – cazzo, la bellissima Umbria – non si poteva lasciare la Regione alle destre… Raccontatevela come vi pare, ma alla fine della fiera il risultato è che in questo momento Di Maio – che era politicamente finito, assieme alla sua banda di brancaleoni – è stato resuscitato e tiene per le palle Zingaretti; che farà passare ogni sorta di leggi ad minchiam (come il taglio dei parlamentari, la prescrizione…) lasciando a voi il cerino delle leggi “di responsabilità”, che si chiuderà forse l’esperienza di qualche leggina salviniana ma il reddito di cittadinanza nessuno lo toccherà, che in Umbria – se vincerete – sarete succubi delle posizioni più arretrate in sanità e negli altri temi di interesse regionale. E visto che a quanto pare anche a Sinistra (quella dura e pura) qualcuno cerca di cambiare pelle sposando il populismo grillino, la situazione finale sarà la seguente: avremo un populismo di destra lepeniana, trucesca, fascista; e un populismo moderato, in doppio petto, protofascista ma digeribile. Punto. Nessuna casa per i liberali, i socialisti, i veri riformisti. A parte la troppo debole +Europa e la nuova casa di Renzi, a chi piace.