Poveri politici

Avvertenza: quello che sto per fare è un ragionamento generale; non si applica quindi al politico votato da te, mio lettore, che è un santo poeta navigatore di chiara fama; quando scriverò “Azzolina” o “Gallera”, altresì, non mi starò riferendo agli omonimi politici, ma a figure di pura fantasia. Specifico inoltre che mi concentro, in questo articolo, sui parlamentari italiani, escludendo quasi del tutto i politici locali e quelli stranieri, dei quali ho meno conoscenza.

Fanno tutti schifo. La qualità dei nostri politici è, credo si possa concordare, piuttosto bassa. Le cronache sono piene di tunnel del Brennero (Toninelli), tunnel dalla Svizzera all’Abruzzo (Gelmini), due malati per contagiarne uno (Gallera), app che ti avvisano quando stai per avvicinarti ad un contagiato (Di Maio), imbuti da riempire (Azzolina), Dublino che sta in Scozia (Meloni); ma soprattutto, le cronache non sono piene di quello che invece dovrebbero riportare, cioè proposte interessanti, utili, innovative di cui discutere; il numero di progetti per il futuro partoriti dal nostro Parlamento è terribilmente vicino allo zero.

Un ricordo: quando avevo 15 anni, accarezzavo l’idea di mettermi in politica, e sono andato a sentire qualche comizio (in uno ricordo che mi sono anche alzato a parlare, finendo ferocemente fischiato). Adesso che ho 52 anni la voglia m’è passata. O meglio: se la voglia teoricamente la potrei avere, la ragione mi dice che sarebbe un suicidio abbandonare una carriera avviata e redditizia, per lanciarmi in un’avventura dal dubbio esito. Che cosa è cambiato?

Braccia rubate al business. Le aziende in genere si contendono i giovani talenti, promettendo salari più alti, benefit, premi al raggiungimento di certi obiettivi. Noi che cosa abbiamo promesso ai nostri politici, pur di strapparli ad altre carriere? In altre parole: perché un brillante professionista, commercialista, dirigente d’azienda, accademico di chiara fama dovrebbe mollare tutto per fare il politico? La realtà è che, soprattutto negli ultimi anni, non solo non abbiamo fatto nulla per incentivare le persone ad entrare in politica, ma anzi abbiamo fatto di tutto per allontanare dalla politica le persone capaci.

Negli ultimi vent’anni – da Mani Pulite in avanti – le condizioni per i politici sono continuamente peggiorate. Anziché rilevare che l’origine dei nostri problemi sta nella scarsa capacità dei politici, la vulgata sostiene che il problema siano i loro stipendi, che quindi devono essere tagliati assieme a scorte ed altri privilegi; inoltre gli va tolto il vitalizio (cosicché uno, dopo aver fatto qualche anno di politica, deve morire di fame); vanno ridotti di numero; e gli vanno appiccicate le stimmate del ladro.

Costa tanto, rende poco. Il guadagno di un parlamentare è nella fascia da 10.000 a 20.000 euro mensili lordi, tra stipendio, diarie, e rimborsi spese. Stando ai dati dell’IRPEF 2018, in Italia ci sono almeno cinquecentomila persone che guadagnano cifre simili o superiori, e dico “almeno” perché ovviamente non posso tener conto della notoria evasione fiscale. Diciamo quindi che, per ogni eletto in parlamento, ci sono almeno 500 altre persone che guadagnano la stessa cifra facendo cose forse più interessanti. Possiamo quindi dire che andare in Parlamento non è l’unico modo di fare soldi, e non rende particolarmente ricchi.

E quanto costa entrare in Parlamento? A parte la spesa per la campagna elettorale, il problema vero è che fare il politico significa spesso bruciare i ponti con la propria professione: il tempo richiesto, prima dell’elezione e dopo essere stati eletti, impedisce di svolgere contemporaneamente un’attività impegnativa come ad esempio l’ingegnere strutturista, il dirigente d’azienda, od il commercialista; e trascorrere qualche anno in parlamento, per un professionista od un manager, significherebbe non avere più un lavoro a cui tornare dopo l’esperienza.

Quindi, a chi conviene? Quello che sta emergendo è che fare il politico, pur non richiedendo nessuna specifica preparazione, è un lavoro che a) rende bene ma non benissimo, b) potrebbe durare anche solo qualche anno, c) non permette di proseguire l’attività professionale, d) rende difficile tornarvi.

Quindi a chi conviene fare il politico? Per chi non ha un lavoro e non ha prospettiva di averlo, la politica è una strada percorribile perché in ogni caso egli non ha nulla da perdere; idem per chi ha un lavoro di basso profilo, non so: un bibitaro. Oppure per un dipendente pubblico, il cui posto è garantito al termine dell’esperienza; e va bene anche per il dirigente di una grande azienda alla quale già si sia arrivati grazie alla politica (Osmosi). Fare il politico è invece via via più rischioso per chi ha carriere avviate, esperienza e capacità organizzativa, attività legate agli skill personali; ad esempio i manager di aziende piccole e medie, i consulenti, ingegneri ed architetti, scienziati di ogni genere. Gente che se molla per quattro anni, si gioca il futuro.

Qualche proposta. Lancio qualche proposta alla rinfusa. Una, so già che non piacerà, è alzare gli stipendi dei parlamentari, e/o associarli ad un vitalizio, in modo che mettersi in politica sia meno rischioso, o che il calcolo del rischio/rendimento sia più favorevole.

Un’altra proposta è mettere delle barriere all’ingresso: test di cultura generale, esami di economia, gare di salto in alto, qualsiasi cosa che scremi gli idioti (Onesti o disonesti) lasciando passare solo gli intelligenti (Onesti o disonesti).

L’ultima proposta che faccio è questa: ridurre drasticamente il raggio d’azione nel quale il politico può far danni. Molti pensano che il politico, essendo stato eletto dal popolo, sia una sorta di Unto dal Signore (Copyright Silvio) al quale tutto è lecito, compreso ribaltare completamente il funzionamento dello Stato, della Scuola, della Polizia, della Banca d’Italia. Per fare un esempio: è corretto che il ministro dell’istruzione decida come tenere l’esame di maturità? Forse se non riusciamo ad evitare che gli idioti entrino in Parlamento, potremmo almeno sottrarre parte dei ministeri e dei gangli dello Stato alla loro discrezionalità?

Contributo scritto per Hic Rhodus da Marco Bezzi.
Programmatore di computer. Consulente. Europeista.
Appassionato di fisica astronomia banca e finanza.
Precisino. Affascinato dai numeri. 
Vuole la poltrona di Quintino Sella.