Le parole suonano vuote, già sentite mille e mille volte. Eppure le parole sono giuste. Mettete le mascherine e usate il gel sanificante, tenete le distanze. Per la parte economia ci pensiamo noi: meno tasse, più liquidità per il mondo del lavoro, cassa integrazione, bonus di varia natura, miliardi che arrivano a pioggia e tutto il resto che sentiamo da giorni. Insomma, tutto corretto. Poi le scuole. Già le scuole, quella formazione della mente che aiuta a comprendere gli accadimenti della vita e a starci dentro. La scuola che educa al meglio che ti può accadere e che dovrebbe educarti anche a stare dentro al peggio, allo sconosciuto. Coglierne il senso e non stare lì, ad aspettare, come un’alga sul bagnasciuga quando arriva l’onda a umidificarla, che le cose da sole mutino. E poi c’è il PIL. Mai visto un PIL così, mai vista una recessione così dai tempi dell’ultima guerra mondiale. Eppure, lo diceva Bob Kennedy nel 1968, il PIL non tiene conto di tante cose. Non tiene conto della salute mentale delle persone, ad esempio. Abbiamo paura, abbiamo ancora paura. Non tiene conto delle mascherine che coprono sorrisi. E i sorrisi servirebbero come il pane quando sei affamato. Il PIL non tiene conto del corpo, della fisicità mancata, di quella pacca sulla spalla che dice “forza, ce la facciamo…”. Il PIL non tiene conto dei baci che non si danno, delle mancate gioie, della fatica a prendere tra le mani la speranza e vedere il futuro. Il PIL non ha neppure il dono di farci guardare la nostra vita quotidiana con la coda dell’occhio. Quella particolare angolazione del vedere ed osservare ciò che ci accade e che apre mondi diversi, differenti, creativi. Se fossi un politico, dopo aver detto esattamente cosa si pensa di fare materialmente per il prossimo futuro, parlerei di fiducia e ne parlerei in dosi uguali e forse anche superiori alle cose che si toccano. Sì, dobbiamo mangiare, ma dobbiamo mangiare con uno straccio di sorriso. E poi dobbiamo uscire dalle nostre case, ma fuori ci sentiamo ancora a disagio. E allora, perché non si parla a gran voce del disagio se lo vogliamo risolvere? Il ruolo della nostra vita emozionale è determinante ora, chi ci governa (Stato, Regione, Comuni) dovrebbe tenerne conto. Si tratta di aver cura gli uni degli altri, si tratta di ricominciare a stare nel mondo con gli altri. Si tratta di condividere l’incertezza. Se non capiamo il nostro sentire e non lo trasformiamo ora, la ripresa di questo paese sarà ancora più lenta.