Il pessimo sindacato della scuola e la vergognosa acquiescenza degli insegnanti

Come forse sapete, specie se avete figli in età scolare, dopo l’uso delle scuole come seggi elettorali (e vabbé, si è sempre fatto così e probabilmente è complicato cercare alternative) e dopo la loro necessaria sanificazione, ci sarà uno sciopero del personale scolastico (tutto) indetto da varie sigle sindacali. Due giorni, inusuali, per fare uno splendido ponte fino al fine settimana. Le scolaresche, quindi, staranno a casa da sabato 19 a domenica 27 (ritorno a scuola il 28). NOVE giorni a casa, ad appena una settimana dall’inizio dell’anno scolastico e dopo i fiumi di inchiostro versati sulla scuola, la necessità della sua riapertura, la sacralità della formazione in presenza, l’irrinunciabilità della socializzazione e una montagna di altre balle colossali scritte da pedagogisti, dirigenti scolastici, professori e maestri. Evidentemente balle. Perché le parole contano zero se la pratica, l’azione, la volontà dei soggetti va in una direzione differente.

Vedo da anni giornate di sciopero nelle scuole, rigorosamente di venerdì, per motivi che definire vaghi, fumosi, vagamente velleitari, è dar loro più credito di quanto meritino.

Assieme agli organi collegiali e al berciare delle mamme nelle chat, e a ministri posti su quello scranno per palese incompetenza, il sindacato è il terzo male drammatico della scuola italiana.

Senza alcun contributo costruttivo di idee per migliorare la declinante condizione, il sindacato della scuola, da decenni, si batte solo, ma vigorosamente, contro ogni forma di valutazione e di modernità, strepitando per l’immissione in ruolo senza concorso di migliaia di precari. E queste sono le “motivazioni” anche per questa tornata di scioperi:

Noi ribadiamo ciò che abbiamo chiesto con forza nell’incontro con il Governo Conte agli Stati Generali: massimo 15 alunni per classe ed assunzione di 240mila insegnanti (il terzo necessario in più per ridurre le classi), stabilizzazione dei 150 mila precari con tre anni di servizio attraverso un concorso accessibile a tutti, aumento degli organici della Scuola dell’Infanzia, stabilizzazione diretta degli specializzati di sostegno e percorsi di specializzazione per chi ha esperienza pregressa: è incivile che oltre la metà delle cattedre di sostegno continui a venire assegnata a chi non sa nulla di disabilità. Ma chiediamo anche l’assunzione di almeno 50mila collaboratori scolastici per ricoprire i paurosi vuoti in organico per la vigilanza e garanzia del full time per tutti gli ex lsu-ata internalizzati, incremento di 20mila fra assistenti amministrativi ed assistenti tecnici, nonché di tutto il personale necessario per sopperire alle migliaia di soggetti fragili  che dovranno essere tutelati a partire da settembre (fonte).

La richiesta è irricevibile sotto una tale mole di punti di vista che ritengo superfluo soffermarmici. Ammettendo giuste queste richieste (15 alunni per classe, per esempio), esse devono essere parte di una programmazione che si inquadri nel tipo di didattica che si intende fare in quelle classi, nel tipo di insegnanti che servono, nella valutazione che necessariamente deve essere inclusa. Il numero strepitoso di insegnanti da stabilizzare o assumere, semplicemente per diritto divino, fa a cazzotti con qualunque principio democratico di merito, di uguaglianza dei cittadini nei riguardi degli impieghi pubblici, di compatibilità con le casse dello Stato. E se ai ritardi vergognosi nell’assegnazione delle cattedre (come nell’arrivo dei nuovi banchi, e di tutto il resto), parte delle storiche responsabilità di questo Ministero, si pensa seriamente di rispondere dando un’ulteriore spallata al sistema educativo, allora dico che nel mondo della scuola, e in particolare di questi sindacalisti, qualche concetto democratico fondamentale si è perso da tempo per strada.

E, ovviamente, non sarà questo sciopero a smuovere il Governo o il Ministero. Nel comparto pubblico non si può “bloccare la produzione” del padrone ostile ma solo creare un danno agli utenti; un danno scolastico, un danno di democrazia. Una sorta di ponte lungo a spese delle famiglie che dovranno inventarsi qualcosa per accudire i minori, a spese degli alunni che avevano appena ricominciato la scuola dopo sei mesi, ma non certo a spese degli insegnanti (salvo il ridicolo pedaggio dei due giorni di stipendio).

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