Covid e vaccini: qual è la situazione?

Negli ultimi giorni, si è discusso molto dei progressi fatti dai vaccini in sperimentazione, e di conseguenza di quale potrebbe essere la migliore strategia vaccinale da adottare, tra dichiarazioni ottimistiche ad esempio del ministro Speranza (che annuncia «una campagna di vaccinazione senza precedenti» e prevede di disporre delle prime dosi a fine gennaio) e le solite polemiche, innescate stavolta dalle considerazioni scettiche di Andrea Crisanti («Senza dati a disposizione, io non farei il primo vaccino che dovesse arrivare a gennaio»). Prima di entrare nel merito di quale possa essere in concreto un piano vaccinale realistico (e delle possibili resistenze, di cui ha peraltro già parlato qui Claudio Bezzi pochi giorni fa), però, penso sia importante avere chiaro a che punto sia la ricerca sui vaccini, e sulla base di quali evidenze (o “dati”, per riferirci alle parole di Crisanti) si stia prospettando l’approvazione di uno o più vaccini per l’utilizzo generale.

Innanzitutto, è il caso di premettere che ci sono già dei vaccini ampiamente in uso, perché in Russia e in Cina i governi hanno tranquillamente autorizzato, e anzi promosso, la vaccinazione di centinaia di migliaia di persone senza che prima fosse stato effettuato un trial su un campione esteso di alcune migliaia di soggetti, ossia un trial di fase 3, secondo la normale classificazione dell’iter di sperimentazione. Tuttavia, almeno per ora, i vaccini che più probabilmente potremo utilizzare in Italia e in Europa sono quelli sviluppati secondo le metodologie occidentali, e come sappiamo ce ne sono moltissimi, ciascuno in una fase diversa a seconda di quanto avanzata sia la sua sperimentazione. Ci sono molti siti web che tengono traccia dell’avanzamento delle decine di candidati vaccini, come quella del New York Times, o quella del Guardian.

In questa “corsa” tra i vaccini in sperimentazione, negli ultimi giorni abbiamo avuto importanti notizie: è terminata la Fase 3 per il vaccino sviluppato da Pfizer e BioNTech, per il quale è stata dichiarata un’efficacia intorno al 95%; più o meno lo stesso è stato annunciato da Moderna, e anche le sperimentazioni di altri vaccini, come quello dell’Università di Oxford (per il quale i risultati sono meno chiari) e quello della Johnson&Johnson, sono ormai quasi concluse. In pratica, per fine anno potremmo avere almeno tre o quattro vaccini con la Fase 3 chiusa.

Naturalmente, la fine della sperimentazione non basta. Dopo, i produttori richiedono alle autorità sanitarie dei vari paesi l’autorizzazione alla commercializzazione, e questo iter decisionale, per quanto accelerato, non può essere evitato. Poi, naturalmente, c’è il problema di quante dosi saranno disponibili, e quando. Data la fortissima domanda di vaccino che c’è, e ci sarà, in tutto il mondo, è impossibile che anche le grandi case farmaceutiche come la Pfizer siano in grado di rifornire tutti subito. I paesi più ricchi si sono premuniti, finanziando alcune delle ricerche e stipulando accordi preventivi per grandi forniture; insomma, se è vero che le case farmaceutiche e i centri di ricerca sono impegnati in una “corsa al vaccino” per essere tra i primi ad averne uno commercializzabile, è anche vero che una corsa parallela a questa si svolge tra i grandi paesi per essere tra i primi a disporre di milioni di dosi di un vaccino efficace. Naturalmente in questa corsa si è segnalato per il suo fair play il presidente USA uscente Donald Trump, che, dopo aver a suo tempo tentato di “comprare” un’azienda tedesca per far spostare in USA le sue ricerche sul Covid, adesso vuole che gli USA siano il primo paese al mondo (tolte appunto Russia e Cina) a disporre del vaccino anti-Covid in quantità massicce. Ci sarà un braccio di ferro, o magari un’asta? Quale che sia la risposta, è certo che non potremo vaccinarci tutti subito, e bisognerà affrontare un periodo di parecchi mesi nel quale solo una parte della popolazione, presumibilmente la più vulnerabile, avrà potuto accedere al vaccino.

Per tornare alle perplessità che alcuni hanno sollevato: quanto saranno sicuri i vaccini? E quanto saranno efficaci? Dell’efficacia abbiamo già detto: tutti i vaccini che stanno arrivando alla fase di richiesta di autorizzazione dichiarano un’efficacia superiore al 90%, che (tenendo presente che questi numeri vanno presi con la loro incertezza statistica, che in questa fase è ancora significativa) è decisamente alta, confrontabile con quella di vaccini già sperimentati. Pur prendendo quindi con la dovuta cautela le indicazioni dei trial, mi sentirei di dire che i vaccini che saranno approvati saranno efficaci, almeno nel breve termine, perché è difficile al momento stabilire quanto a lungo durerà l’immunizzazione. Resta la questione della sicurezza, su cui si sta discutendo molto estesamente; personalmente mi permetto di esprimere la mia opinione: i trial che si stanno concludendo, almeno per la parte che riguarda le evidenze sull’efficacia e sugli effetti avversi a breve termine, forniranno elementi sufficienti, e se le autorità sanitarie ne autorizzeranno l’uso penso che grossi rischi non ce ne saranno. Piuttosto, è ovviamente impossibile in questo momento garantire che i vaccini non abbiano effetti indesiderati a lungo termine; d’altronde, se prendiamo ad esempio il protocollo del trial di Fase 3 del vaccino di Oxford/AstraZeneca, leggiamo che tra gli obiettivi primari dello studio c’è rilevare eventi avversi gravi fino a 730 giorni dopo la somministrazione del vaccino. Come è ovvio, il vaccino sarà in realtà somministrato prima che questo studio sia completato, e si avrà in sostanza una sovrapposizione tra il follow-up della Fase 3 e la Fase 4, ossia l’utilizzo clinico nel pubblico generale.

Bisognerebbe quindi considerare pericoloso sottoporsi a uno qualsiasi dei vaccini anti-Covid? Il rischio, in realtà, va sempre confrontato col beneficio che si può ottenere. A differenza di altri vaccini, quello anti-Covid ci dovrà proteggere da un virus che, senza di esso, saremmo praticamente certi di contrarre. Naturalmente essere positivi al virus non significa automaticamente essere malati: secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, la maggioranza dei positivi al virus è anzi asintomatica; tuttavia, è già noto che in caso di malattia seria i pazienti anche dopo la guarigione hanno una probabilità piuttosto elevata di danni anche cronici. In assenza di migliori informazioni, ritengo che tra la probabilità di contrarre una forma seria della malattia (che per fasce di età non giovanissime è significativa) e i possibili danni a lungo termine del virus, che non c’è motivo di ritenere inferiori a quelli, ipotetici, dei vaccini, non ci sia un motivo razionale per non vaccinarsi, almeno per coloro che hanno più di cinquant’anni. E d’altra parte è improbabile che i giovani sarebbero comunque vaccinabili a breve, visto che la disponibilità massiccia di dosi dei vaccini si otterrà gradualmente, nell’arco di mesi. Insomma, io credo che chi potrà vaccinarsi dovrebbe certamente farlo appena possibile, e chi non potrà (tipicamente le fasce di popolazione meno a rischio), dovendo attendere, avrà la possibilità di disporre di maggiori informazioni al momento di farlo.

In questo senso, francamente non capisco le polemiche: è ovvio che occorre che i vari proponenti dei candidati vaccini pubblichino tutti i dati delle loro sperimentazioni, ed è altrettanto ovvio che è solo su quella base che i vaccini potranno o meno essere approvati. È anche ovvio che le procedure accelerate che si stanno adottando comportano un rischio residuo maggiore di quello normalmente associato ai vaccini che si sviluppano nel corso di diversi anni: sarebbe assurdo che non fosse così. Ma alla fine il danno probabile del Covid è certamente superiore a quello che i vaccini, una volta verificati e approvati, avranno, almeno per chi se contagiato rischia una malattia grave o addirittura la morte. Queste scelte non si fanno in astratto, ma in base a una valutazione concreta dei rischi.

L’immagine di apertura è tratta dal sito politico.com.

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