Non vorrei incorrere nel difetto, subdolo e poco consapevole, di adattare i fatti a mie idee preconcette; un errore grave, che spesso descrivo e commento in altri, e che si può evitare solo mantenendo una grande lucidità. Le mie idee “preconcette” sono quelle espresse più volte, qui su HR, relativamente al declino del concetto di democrazia occidentale, come elaborato fra 7 e ‘800, come perseguito e a tratti praticato nel ‘900 e oggi, nel Terzo Millennio segnato dall’esplosione della complessità su scala globale e fortemente in crisi. Temi dibattuti, argomentati, indicati… I fatti sono quelli cui assistiamo negli Stati Uniti da qualche mese, diciamo dalle elezioni in poi, che hanno avuto un epilogo (per ora) nell’assalto al Congresso perpetrato da sostenitori di Trump ieri, con morti, feriti e un tremendo schiaffo alle istituzioni. Non è il caso di ripercorrere la cronaca che troverete, abbondante, su qualunque quotidiano italiano. Trump ha istigato violentemente; i dimostranti hanno obbedito e sono, letteralmente, insorti, armi alla mano, per occupare il Congresso mentre si apprestava a ratificare la vittoria di Biden. Il succo è: Trump mente spudoratamente al popolo per non ammettere la sconfitta; una grossa fetta di popolo gli crede; una minoranza di costoro è disponibile alla sedizione (che si possa trattare di sedizione non lo dico io ma esperti legali americani – fonte).
Dal punto di vista che voglio trattare, che non è quello della mera cronaca, ci sono questioni etiche, politiche e istituzionali di enorme spessore, che oggi, qui a caldo, posso solo tratteggiare a livello generale: le responsabilità di Trump; le responsabilità di coloro (e sono stati molti, anche se oggi le fila si sono assottigliate) che hanno accettato passivamente, girandosi dall’altra parte, la protervia eversiva trumpiana (leggi approfondimento su USA Today); la fine del Partito Repubblicano in USA; l’enorme, profondissima, divisione che lacera nei fatti il popolo americano. Quest’ultimo punto si riallaccia al primo, chiudendo questo cerchio da incubo: Trump è violento ed eversivo perché ha gran parte del popolo dalla sua parte; il popolo è sedizioso e violento perché istigato dal Comandante in Capo; una serie di figure istituzionali minori si adattano, si accomodano, accettano, ingoiano. Un sondaggio Gallup di poco più di una settimana fa indicava in Donald Trump l’uomo più ammirato d’America, col 39% di approvazione (in calo, ma pur sempre un record). Vale la pena segnalare che durante tutta la sua presidenza Trump è rimasto su queste percentuali, contro tutto e malgrado tutto (vedi grafico Gallup qui di seguito).

Il problema che voglio segnalare è che è bastato pochissimo per far saltare gli equilibri democratici in America: la telefonata dello sconfitto al vincitore, la stretta di mano, la coreografia dell’insediamento… a ben guardare sono tutte finzioni, pura scenografia. Una meravigliosa rappresentazione scenica che la Democrazia ha inventato per descrivere se stessa, una liturgia laica che ha funzionato finché non è arrivato qualcuno che se n’è infischiato sonoramente del fair play, dell’agreement, e di tutte le invenzioni (solo formali) dell’apparato liberale. Ovviamente c’è poi una sostanza legale; Biden sarà certamente insediato, giurerà e sarà il prossimo Presidente, ma il giocattolo si è rotto, e sarà impossibile ricomporre i cocci.
Se la parola d’ordine dell’enorme massa di sostenitori di Trump è “ci hanno rubato la vittoria, Biden è un Presidente illegittimo”, ogni segnale anche solo ammiccato, ogni parola di Trump (e sono parole di fuoco), ogni pretesto, darà adito a contestazioni, rimostranze, attriti. Può darsi che non ci saranno altri episodi violenti (anche se non lo credo), ma resterà l’attrito di fondo, la ruvidezza nel rapporto fra vincitori reali e pretesi vincitori che dovranno accettare l’imbroglio, l’usurpatore.
Anche al netto delle violenze, non ci si può attendere un rapido aggiustamento del conflitto, una pacificazione inevitabile, una ripresa di normalità. Trump ha tracciato una linea sulla sabbia e ha mostrato a qualunque avventuriero che basta mentire con continuità, esagerare, sbracciarsi, spararle grosse, violare apertamente la legge facendola franca (non è solo in Italia che ammiriamo i mascalzoni), sedurre il popolo grezzo e ignorante, per mettere in forte difficoltà l’istituzione democratica, che all’opposto si fonda su leggi, regolamenti ma, soprattutto, sull’accettazione condivisa di un codice. Le leggi restano, ma il codice condiviso è andato in frantumi.
In Italia ci hanno provato Salvini e i 5 Stelle, in modi differenti. E certamente la democrazia americana, per forma, storia e contenuti non è traslabile in quella italiana. Ma l’eversività dei 5 Stelle – da noi sempre denunciata e oggi, fortunatamente, in parte rientrata – e quella più dirompente di Salvini, hanno fortemente rischiato di spezzare i codici, i linguaggi, i riti condivisi della nostra democrazia. E oggi siamo semplicemente appesi a un filo, e altri populismi, altri protagonismi stanno emergendo, perché un po’ ovunque, in Occidente, si prende coscienza della fragilità delle istituzioni democratiche costruite sulle macerie del secondo dopoguerra.
E nulla si è fatto per adeguarle al correre dei tempi verso le sfide della globalizzazione e della complessità sociale.
La democrazia occidentale come conosciuta qualche decennio fa è in crisi profonda, e mostra fragilità inimmaginate. Si è sempre detto che ciò che accade in America precede di un decennio quello che avverrà da noi in Europa, in Italia. Siamo avvertiti.