Ma dietro questa apparente continuità [col precedente governo] esistono importanti differenze. Quella principale è di aver chiarito fin dall’inizio quale debba essere il ruolo dello Stato e il perimetro dei suoi interventi nell’economia. «Compito dello Stato è utilizzare le leve della spesa per la ricerca e sviluppo, dell’istruzione e della formazione, della regolamentazione, dell’incentivazione e della tassazione». Il precedente Pnrr [il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che attinge ai fondi europei Next generation EU] non chiariva esplicitamente la questione, ma sembrava orientato verso una maggiore presenza dello Stato nella gestione economica a partire dalla dimensione e dal ruolo previsto per gli investimenti pubblici. […] È significativo, in proposito, quanto Draghi ha detto su quel che serve per ridurre le diseguaglianze territoriali e di genere. Al Mezzogiorno serve la «capacità di attrarre investimenti privati». Questo potrà anche richiedere investimenti pubblici, ma questi saranno utili solo irrobustendo le amministrazioni pubbliche che li gestiscono e creando «un ambiente dove legalità e sicurezza siano sempre garantite». E sulla parità di genere non si punta sul «farisaico rispetto di quote rosa», ma sul creare «parità di condizioni competitive tra generi». Insomma occorre dare opportunità alle donne, per esempio attraverso «eguale accesso alla formazione» e «un sistema di welfare che permetta … di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini».
Carlo Cottarelli, Lo Stato sì, ma non solo, la Republica, 17 feb 2021.
La priorità strategica è “proteggere tutti i lavoratori” con una raffica di misure economiche e sociali che vanno dalla scuola all’ambiente, dalla formazione all’innovazione. Ogni riga del discorso di Draghi contiene almeno una notizia, un numero, un indizio sulla ferrea determinazione a rompere i lacci del Novecento che imprigionano la crescita del nostro Paese tenendo sempre come riferimento la cornice europea e atlantica entro cui operare. […] Svolte politiche e cambiamenti drammatici intervenuti da allora hanno portato all’evento senza precedenti in Europa di un Parlamento in gran parte anti-europeista che sostiene il premier più europeista di sempre. Ma è un equilibrio per definizione precario, che dovrà essere consolidato ogni singolo giorno a colpi di riforme e difeso a denti stretti: dalle pulsioni populiste che ancora albergano fra i grillini e dalle provocazioni sovraniste che continuano ad arrivare dai leghisti. Perché l’Italia resta un laboratorio unico del populismo europeo: prima ne ha sperimentato il traumatico successo con i gialloverdi del Conte I, poi ne ha testato la possibile trasformazione con i giallorossi del Conte II ed ora sta provando a dimostrare di potersene liberare con l’esecutivo Draghi di emergenza nazionale. Reso possibile dalla scelta del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, di rispondere al momento della crisi più difficile con un richiamo all’unità del Paese intero.
Maurizio Molinari, Il pensiero e l’azione, la Repubblica, 18 feb 2021.
Forse è troppo presto per dirlo, ma la politica sta entrando in un nuovo mondo. Va dato merito al presidente della Repubblica Sergio Mattarella di aver lavorato, con tenacia e in silenzio, per la sua affermazione. […] Il premier ha negato che siamo di fronte a un fallimento della politica, ma qualcosa di molto vicino a una disfatta è accaduto nelle settimane scorse. I partiti avranno il tempo per riflettere e per mettere a frutto la lezione di questi mesi; di recuperare serietà nei programmi e, possibilmente, prestigio e competenza nei dirigenti che proporranno al Paese. Ora invece è il tempo della responsabilità, dell’unità intorno a una missione: quella di portare l’Italia fuori dalla crisi sanitaria e dall’emergenza economica sociale. Non pensando mai che quella che stiamo vivendo sia solo una parentesi, dopo di che tutto tornerà come prima.
Luciano Fontana, Il governo Draghi e il nuovo mondo dei partiti, Corriere della Sera, 17 feb 2021.
Cifre e ideali, numeri dei contagi e riforme della sanità, bollettino di guerra sul Pil e visione dello sviluppo industriale. La novità è nel dettaglio con cui Draghi fonda la prospettiva su una chirurgica conoscenza della macchina dello Stato. Non c’è una generica riforma della scuola, ma l’attenzione, ad esempio, agli istituti tecnici, nel raffronto con gli altri paesi europei. Non una generica riforma del fisco, ma già il possibile iter di una riforma organica, ravvisando un limite degli “interventi parziali dettati dall’urgenza del momento”. Non la generica rassicurazione del più lavoro per tutti, ma interventi che sanno immaginare il nuovo mercato del lavoro in relazione ai cambiamenti del sistema produttivo. Non le primule, ma un concreto piano d’azione sui vaccini. Non i titoli sul Recovery, la le linee guida della sua concreta implementazione che, al netto dell’omaggio retorico, riscrive il precedente. Non le quote rosa, ma la creazione di parità di condizioni competitive tra i generi. Non i giovani, come eterno luogo retorico, ma come principale obiettivo della mobilitazione del paese che chiama in causa le responsabilità dei padri e il dovere di “fare per loro tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi, sacrificandosi oltre misura”. In questo alzare il punto di vista sul senso profondo delle cose e della realtà, e dunque agire, c’è una radicale discontinuità rispetto al passato, anzi a più passati. E il cuore politico del mandato di Draghi, che della politica recupera la sua funzione più alta e il suo senso chiamandola, implicitamente, a una rifondazione profonda.
Alessandro De Angelis, Un altro orizzonte, Huffpost, 17 feb 2021.
Di Mario Draghi si vede solo quello che decide di far vedere, e si ascolta in un italiano magistrale, asciutto, pulito senza ostentazione, soltanto, esclusivamente quello che intende esprimere in quel momento. Nella dissipazione si può dissimulare, eludere, sviare con il paradosso e il sofisma, cose che capitano agli irresponsabili che chiacchierano e scribacchiano, ma nella continenza del funzionario e dello statista si realizzano la responsabilità, il dovere di essere sinceri nell’efficacia.
Giuliano Ferrara, Un gran Draghi, con una pecca, il Foglio, 18 feb 2021.
Il discorso di Mario Draghi – che è il discorso di un premier che ragiona su un orizzonte più di legislatura che di breve termine – colpisce per le sue parole nette su temi potenzialmente divisivi come il futuro dell’euro (“irreversibile”), come il destino del sovranismo (“non c’è sovranità nella solitudine”), come la difesa della concorrenza (le cui restrizioni “limitano gli investimenti, sia italiani che esteri”), come la tutela dell’ambiente (la cui protezione va conciliata “con il progresso e il benessere sociale”), come il giusto spazio da concedere allo stato in economia (“il ruolo dello stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione”), come la doverosa svolta sulla pubblica amministrazione (“occorrerà selezionare nelle assunzioni le migliori competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro”) e come la ridefinizione del collocamento atlantista del nostro paese (un po’ più vicino a Israele, un po’ più costruttivo con la Turchia, un po’ più lontano dalla Cina, molto distante dalla Russia). Ma il primo discorso da presidente del Consiglio di Mario Draghi – che prima delle 35 mila battute consegnate ieri al Senato aveva parlato pubblicamente dopo l’incarico ricevuto dal capo dello stato la bellezza di 380 secondi – passerà alla storia più per quello che non ha detto che per quello che ha detto. E in particolare per una rara combinazione tra lo spazio concesso a una parola (pensioni) e lo spazio concesso a un’altra parola (giovani). Draghi non solo non cita una sola volta il tema delle pensioni (zeru tituli) ma sceglie di dedicare un terzo del suo discorso di insediamento a un tema non scontato che riguarda più che la parola giovani (citata nove volte) la parola futuro (citata cinque volte). Parla di futuro Draghi quando ricorda che la pandemia finora ha colpito soprattutto l’occupazione giovanile. Quando ricorda che la non continuità del servizio scolastico creerà diseguaglianze che andranno a colpire soprattutto la generazione più giovane. Quando ricorda che senza investire nella formazione del personale docente non vi sarà un’offerta educativa all’altezza delle nuove generazioni. Quando ricorda che non c’è strategia di sostegno alle imprese che abbia senso se non scommette sui più giovani. Quando ricorda che l’obiettivo di questo governo è costruire un percorso che dovrà puntare a disegnare l’Italia dei prossimi trent’anni.
Claudio Cerasa, La formidabile lezione del professor Draghi, il Foglio, 18 feb 2021.
Con l’intervento al Senato del presidente del Consiglio Mario Draghi abbiamo ora alcune informazioni su come il nuovo governo affronterà il Piano di Ripresa e Resilienza. Ma non sappiamo ancora se nel farlo verrà superata la tara di una cultura arcaica dell’intervento pubblico chiusa ai saperi della società. Se verrà costruito un confronto aperto e informato, per ognuno degli obiettivi strategici. Che richiederebbe assai poco tempo. […] Nel discorso non vi sono indicazioni di merito sulla direzione di revisione del Piano, se non una forte enfasi sui profili attinenti la tecnologia e l’istruzione tecnica, una limitata attenzione al sistema del welfare, peraltro opportunamente citato come requisito della parità di genere, l’assenza di ogni riferimento ai cattivi e buoni lavori, al lavoro irregolare, agli impatti della tecnologia sul lavoro in termini di offerta e condizioni di lavoro, ai lavori sottopagati, al lavoro in schiavitù. Una dimensione, quest’ultima, già povera nel Piano e che domanda un deciso rafforzamento, se la forte apertura ai temi della crisi generazionale e della prospettiva di genere vogliono tradursi in fatti. Ma il silenzio che voglio rimarcare, perché se permanesse sarebbe irrecuperabile, riguarda il dialogo sociale. Il “terzo settore” è citato solo come opportunità per realizzare “leva finanziaria”. Le “parti sociali” solo perché la Commissione fiscale danese, citata a esempio di metodo per la riforma fiscale, le incontrò. Viceversa, non si pensa, o comunque non ci si impegna, a incontrarle per la chiusura del Piano. Non si sopravvalutino i propri saperi, non si lasci che decisioni politiche siano prese senza confronto, come fossero tecniche. Si impegnino i nuovi ministri e le nuove ministre a presidiare il confronto fra le loro tecno-burocrazie, selezionate e rinnovate, e il partenariato. Si ascolti, si valuti, e poi si diano le risposte, positive o negative che siano, ma motivate e pubbliche. E’ il solo modo per trasformare il Piano in una strategia-paese, ricostruire fiducia e riparare un tessuto democratico gravemente lacerato.
Fabrizio Barca, Primo passo per rivedere il Recovery, ora indicare obiettivi i risultati, Domani, 17 feb 2021.