Il verbo è ripreso pari pari dalle parole di Claudia Carbonara, compagna di Walter Biot, il capitano di fregata sorpreso dai Ros a vendere segreti militari ai russi in un parcheggio di Roma: “Mio marito non voleva fottere il Paese, scusate la parola forte”, avrebbe detto la signora. Eccome se la scusiamo, scappano a me, le parolacce, per molto meno. “Ora – dice ancora lei – temo la gogna mediatica, soprattutto. Chi non lo conosce lo ha già condannato, lo ha già crocifisso”. Ha ragione, e non mi vorrei necessariamente aggiungere a quelli che piantano un ulteriore chiodo ma, insomma, io rappresento notoriamente l’ala intransigente di Hic Rhodus e una considerazione sì, mi scappa di farla. Con le indagini ancora in corso, dobbiamo fare come se fosse tutto vero ciò che apprendiamo dai giornali: d’altronde, il capitano è stato colto con le mani nel sacco e la compagna, nelle dichiarazioni alla stampa, fa fin troppe ammissioni. In ogni caso a noi interessa come caso paradigmatico assolutamente non per parlare di Walter Biot, ma per una riflessione sulla responsabilità, di cui andiam spesso cianciando qui su Hic Rhodus.
La ciarliera compagna dell’ufficiale – che fa la psicoterapeuta e dovrebbe conoscere il valore del silenzio quanto e più di quello della parola – spiega che la motivazione del reato è stata economica; scrive l’HuffPost virgolettando:
Io so che Walter era veramente in crisi da tempo, aveva paura di non riuscire più a fronteggiare le tante spese che abbiamo. L’economia di casa. A causa del Covid ci siamo impoveriti, lo sa? [Walter Biot guadagna] tremila euro, ma non bastavano più per mandare avanti una famiglia con 4 figli, 4 cani, la casa di Pomezia ancora tutta da pagare, 268 mila euro di mutuo, 1.200 al mese. E poi la scuola, l’attività fisica, le palestre dei figli a cui lui non voleva assolutamente che dovessero rinunciare.
Dopo questo stralcio sono certo che i nostri lettori sanno dove sto andando a parare; ovviamente non ho idea di quanto guadagnasse la dottoressa Carbonara che, come libera professionista, potrebbe indubbiamente avere visto una contrazione dei guadagni a causa della pandemia. E certamente non sarò io a scagliarmi contro quel mutuo per la casa di Pomezia, contratto certamente in tempi pre-Covid quando tutto sorrideva alla coppia; e ci mancherebbe di scagliare io la pietra dello scandalo sui 4 cani, io che sono canaro e animalista! Per non parlare della palestra ai figli (sempre 4, uno per ciascun cane) che poi, in certi ambienti, se non ci vai fai la figura dello sfigato e ti vengono i traumi. E sì, c’è la scusa, molto penosa, della figlia disabile bisognosa di cure costose, per le quali mica si poteva rinunciare alla casa e alla palestra, dico bene?
Però…
Che splendido esempio sociologico di edonismo del Terzo Millennio! Dove prima di tutto viene il moto autocentrato ed egocentrico (e infantile) volto sul sé, sui propri bisogni che, essendo i propri, sono indiscutibili, primari, fonte di desiderio e di ansia. E che esempio di caduta dei legami forti: la Patria? Il dovere? Aveva “già dato”, dice la compagna, “Walter si è sempre speso per la patria”. In che senso, scusi? Aveva timbrato certamente il cartellino per 30 anni, sarà senz’ombra di dubbio stato diligente ma in cosa si è differenziato il suo lavoro da quello della commessa della Coop? In che senso “si è speso”? In realtà era un impiegato, oppure ha sentito il suo come un impiego, non certo come una missione, un dovere, uno spendersi per la Patria (qui mi permettete la maiuscola) come ha raccontato per esempio in nostro amico e collaboratore Maurizio Sulig nel suo bel libro Soldati tra la polvere. Il mestiere delle armi in un paese che sta smarrendo se stesso, edizioni Eclettica 2017, in cui racconta cosa sia “spendersi” come militari, e come le cose, in anni più recenti, stiano davvero cambiando in peggio. E che esempio di piccolo cabotaggio cialtronesco, quando si dichiara che in fondo l’ufficiale non ha venduto nulla di importante: avrà ceduto ai russi dei segretucci, delle cazzate, “sono sicura che avrà pensato bene a non pregiudicare l’interesse nazionale”, ma sì, fottuti anche i russi, ma chi se ne frega?
La morale è triste e vecchia, scritta da un vecchio che fa riferimento a valori di troppi decenni fa. Quando la palestra e la casa a Pomezia e i 4 cani non venivano in mente a nessuno; quando se ti capitava un tracollo economico (una cosa che non è capitata a Walter Biot, almeno non definibile in questi termini) lo fronteggiavi a testa alta, assumendotene ogni responsabilità, e la povertà non era una vergogna (povertà che non ha mai sfiorato l’ufficiale, sia chiaro); quando il dovere aveva un significato preciso. In una parola, quando il concetto di ‘Responsabilità’ aveva un peso, vincolante, per gli individui.
Vorrei essere chiaro: del destino penale di Walter Biot non me ne importa un fico secco. Qualora fosse ritenuto colpevole avrà in un colpo rovinato se stesso e quei figli che proteggeva al punto di non volere negar loro la palestra. Anche qui: l’altra faccia dell’edonismo egotico è questo senso di impunità, di supereroismo che fa fare, ai tanti stolti nostri coevi, ogni sorta di sciocchezze immaginando che loro, proprio loro, solo loro, la faranno franca (altro tratto prettamente infantile).
Non mi importa di lui, ripeto, ma lui è semplicemente uno dei tanti, dei troppi, che circolano nei ministeri e nelle Regioni, nelle commissioni, negli atenei, sia tecnici che politici, dirigenti, funzionari e ufficiali: inadeguati, insicuri, infantili, autocentrati.
La nuova classe dirigente.