L’ho letto tutto d’un fiato, domenica. E credo che sia così che vada letto, il libro di Filippo Facci, 30 aprile 1993. Bettino Craxi, l’ultimo giorno di una Repubblica e la fine della politica, edito recentemente da Marsilio. Poiché io scrivo – come noto – per chi ha voglia di capire, e quindi principalmente per i lettori che seguono da anni HR, so che non devo spendere una riga su Facci sì o Facci no, Craxi sì o Craxi no e altre semplificazioni del pensiero che, sapete benissimo, cerco di combattere da una vita. Occorre capire. Facci ci aiuta moltissimo, con una ricchezza di citazioni piuttosto incontrovertibile, a capire tre cose: certamente Craxi, ovvio, che giganteggia dalla prima all’ultima pagina. Ma poi le ragioni della fine della politica in Italia, distrutta in pochi anni dall’inchiesta “Mani Pulite” per fare posto al populismo pseudoliberale di Berlusconi prima e a quello più grezzo e genuino di Grillo poi. Non c’è più stata politica, non c’è più stata. In terzo luogo Facci ci aiuta a capire il tremendo disastro morale degli italiani, il furioso giustizialismo che è connaturato nel nostro DNA; un popolo di servitori in cerca di prebende, disposto dall’oggi al domani a partecipare alla cannibalizzazione del Re al quale si era inchinato fino al giorno prima, con una furia iconoclasta spaventosa, irrazionale, che ha radici lontane e non ci ha mai abbandonati (questa parte viene anche sociologicamente rappresentata da Facci nel penultimo capitolo).
Il titolo fa riferimento all’evento centrale del libro, quel 30 aprile ’93 col vergognoso lancio di monetine al Raphael, dove Craxi aveva residenza romana. Facci ci racconta il prima, fino alla giornata parlamentare del 29 aprile con la difesa di Craxi, e con stile analitico, alla Truman Capote, tutta la faticosa giornata del 30, col montare della rabbia popolare. Poi, ancora, si parla dei giorni e anni successivi, fino alla morte del leader socialista. Si parla moltissimo del pool di “Mani pulite” e dell’uso medioevale della galera e dell’intimidazione dei presunti testimoni e rei; si parla dello schifo giornalistico, della pavidità dei politici, della confusione totale del momento.
Si parla delle ruberie, sì, che nessuna viene negata, ma il tema – a saper leggere – è il ruolo torbido che ebbero i molti pavidi, i molti correi, i moltissimi interessati a dare una determinata svolta al corso degli eventi (e no, il PDS di Occhetto non ne esce molto bene).
Io ho provato molta emozione a leggere il libro. E un profondo senso di colpa, che in realtà coltivo da anni. Perché io a lanciare monetine al Raphael non c’ero, ma approvai, e per anni ho approvato, e sostenuto quel che accadeva, senza capire un fico secco, prigioniero di gabbie mentali, di ideologie, di concetti falsi, di pregiudizi. È durissima liberarsene e se, in una qualche misura, ci sono riuscito, devo dire che questo è un libro irrinunciabile. Se – come me – avete un’età, e avete partecipato, anche marginalmente, a quegli anni, credo che veramente dobbiate leggerlo. Perché la memoria ci tradisce (a me certamente) e rileggere quello che dissero, e scrissero, i protagonisti dell’epoca, ci dà una dimensione nuova, ritrovata, di ciò che siamo oggi, e ci dà essenzialmente la possibilità di capirlo, finalmente! Se invece siete giovani, e credete di conoscere la storia italiana per come ve l’hanno raccontata quelli che, all’epoca, fecero questo scempio della Democrazia, beh, forse vi fa bene l’immersione in una verità scomodissima, che vi farà male, e quindi vi farà bene.