Tecnologia “antica” e danni cognitivi della distrazione

Nelle ultime settimane sono stato colpito da un fatto apparentemente marginale: ho cominciato a “incontrare” la pubblicità di nuovi gadget tecnologici la cui caratteristica essenziale è imitare strumenti antichi, ovviamente aggiornandoli e perfezionandoli. Di per sé questo non sarebbe anomalo, ma a mio avviso lo è il fatto che uno dei punti di forza della presentazione di questi strumenti, accanto alle loro capacità, siano le loro limitazioni. Per essere più chiaro presenterò due esempi molto interessanti, premettendo che dato che noi di Hic Rhodus non guadagniamo un euro con la pubblicità (anzi, al contrario) mi sento libero di citare nomi e marchi: sappiate che non mi paga nessuno!

Il primo esempio è un tablet chiamato Remarkable 2 (una prima versione era già stata lanciata con un discreto successo). La sua tagline è «L’unico tablet che dà la sensazione della carta»: il tablet, tecnologicamente molto sofisticato, è stato progettato appunto per consentire di usarlo come se fosse un blocco note di carta, ma consente di apporre annotazioni su documenti digitali, salvare come file di testo gli appunti presi “a penna”, eccetera. Quello che mi interessa sottolineare, però, è uno dei punti di forza che sono messi in evidenza nel video pubblicitario che presenta il prodotto con le parole: «La carta è uno strumento eccezionale per pensare: permette alla tua mente di muoversi liberamente, senza vincoli, le permette di concentrarsi, senza distrazioni…» (traduzione ed enfasi sono mie), e conclude «è progettato per rendere la carta, e il pensiero, ancora migliori. In un mondo di Social Media, notifiche e pop-up, abbiamo creato Remarkable per aiutarti a concentrarti: niente distrazioni, solo tu e i tuoi pensieri. Remarkable: better paper, better thinking».
Come si vede, la pubblicità è basata su quello che nel tablet manca tanto quanto su quello che c’è: certo, la tecnologia, la maneggevolezza, la capacità di sincronizzare i testi con computer e smartphone sono importanti, ma altrettanto importante è la strettissima somiglianza dell’esperienza d’uso con quella delle vecchie carta e penna, e soprattutto l’assenza di elementi di distrazione. Dopo molti anni in cui tutti i produttori di dispositivi digitali facevano (e fanno tuttora) a gara per elencare tutte le funzionalità di cui i loro prodotti sono dotati, ecco che incontriamo una pubblicità che fa leva su ciò che sul tablet non c’è. Niente Social, niente notifiche, niente distrazioni.

Ancora più estremo, in questo nuovo posizionamento “less is more”, è Freewrite, un prodotto molto più limitato e specializzato di Remarkable. Se Remarkable evoca l’esperienza di usare carta e penna, Freewrite è di fatto una macchina per scrivere del XXI secolo, uno strumento tecnologicamente neanche tanto evoluto, che serve a una sola cosa e che ha come potenziali acquirenti gli scrittori di professione, coloro che devono produrre libri, articoli, e altri testi che richiedano creatività intellettuale. Ebbene, Freewrite a queste persone offre soprattutto l’assenza di distrazioni: niente Social, niente Internet, niente di niente. Solo una tastiera e uno schermo molto spartano, che mostra qualche linea di testo un po’ come facevano appunto le vecchie macchine per scrivere.

«Studi scientifici hanno dimostrato che occorrono 25 minuti per riconcentrarsi sul lavoro che si stava facendo dopo una singola interruzione» è il chiarissimo messaggio di Freewrite. Abbandonate il vostro smartphone, usate questo strumento dichiaratamente ispirato a una macchina per scrivere, e «raddoppierete le parole che scrivete in un giorno grazie all’assenza di distrazioni».

A me, che lavoro nel campo dell’informatica e che cerco di mantenermi aggiornato sulle novità tecnologiche, questi “nuovi” strumenti (quelli che ho descritto non sono gli unici, ho scoperto) fanno un certo effetto. In realtà, non sono davvero nuovi, e non solo perché i modelli a cui si ispirano sono “antichi”; entrambi i prodotti che ho citato sono stati concepiti anni fa, ma sappiamo bene che non è per caso che “incontriamo” certe pubblicità in un certo momento. Gli effetti cognitivi delle continue distrazioni che derivano dal bombardamento di messaggi e notifiche che riceviamo sono ormai conosciuti e sono parte della nostra esperienza quotidiana (oltre a essere effettivamente studiati scientificamente, v. ad es. questo articolo del 2018), ed è chiaro che se la pubblicità fa leva su questi fattori non è per via di qualche articolo pubblicato su una rivista scientifica, ma perché noi abbiamo l’esperienza diretta di sentirci meno produttivi e concentrati sui nostri compiti a causa delle “distrazioni digitali” che ci circondano. Se io, che non sono uno scrittore di professione, ricevo certi messaggi pubblicitari, è segno che questa preoccupazione non è limitata a una specifica categoria professionale ma è estesa a tutti.

Conclusioni? Personalmente non credo che comprerò nessuno di questi prodotti che si ispirano a un’esperienza pre-digitale, ma mi verrebbe da dire che, anche senza necessariamente adottare degli strumenti appositi, sia opportuno sorvegliare il livello di distrazione a cui siamo sottoposti (e ci sottoponiamo: non c’è dubbio che ciascuno di noi cerchi attivamente queste distrazioni, altrimenti non sarebbe necessario progettare dispositivi senza giochi, senza browser, ecc.). Prendiamo l’esistenza di questi oggetti come un monito a guardare in modo critico al modo in cui usiamo il nostro tempo, e non solo quando lavoriamo…

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