Berlusconi al Quirinale? E’ la democrazia, bellezza!

Nel dibattito prequirinalizio, che io trovo noioso, fazioso e ingannatore, cresce una certa agitazione per l’ipotesi di Silvio Berlusconi al Quirinale. L’ex Cavaliere ha il desiderio di presidenza da molti anni, è uscito allo scoperto presto, col suo stile tritasassi e, diciamolo, potrebbe anche farcela. Non credo che alla fine succederà ma, al momento, teoricamente, gli mancano pochi voti (voti dichiarati oggi, fra sussieghi e moine storicamente e logicamente dubitabili). C’è perfino una petizione on line, contro questa ipotesi, promossa dal Fatto Quotidiano, che ha l’unico effetto di alimentare un’indignazione che così trova sfogo; per carità, è un nobile intento terapeutico, ma il Presidente della Repubblica viene eletto dal Grandi Elettori, ovvero tutti i parlamentari e i presidenti di Regione in sessione congiunta, e non dai lettori del Fatto o dai preoccupati cittadini che mettono una firma cliccando contro.

Possiamo avere l’opinione che ci pare su questi signori, ma nessuno, in nessun modo e in nessun caso, può affermare che non siano stati eletti democraticamente e che, a loro volta, non voteranno democraticamente. Qualora (sciagura!) Berlusconi salisse al Colle, potremmo essere contrariati quanto ci pare, potremmo vergognarci come cani all’estero, scendere in piazza in una (sterile) manifestazione di protesta ma… contro chi diavolo protesteremmo?

In attesa del verdetto, sperando in san Draghi, in santa Bindi, o addirittura in san Casini o in sant’Amato, non ci resta che una riflessione sui limiti di una democrazia che non ha strumenti per selezionare adeguatamente il suo personale politico e che semmai – nel caso di Berlusconi – ha tentato una discutibile selezione per via giudiziaria. 

Berlusconi è “unfit” a qualunque carica politica, non perché è un donnaiolo, o perché è un imprenditore spregiudicato, ma perché ha disprezzo per le istituzioni (compravendita di parlamentari, leggi ad personam, mancanza di visione…) e per le regole della civile convivenza (falso in bilancio e non solo in quello, sfruttamento di donne…).

Il fatto che alcuni vizietti dell’Uomo si configurassero come reati (ma che pochissimi si siano potuti

dimostrare e trasformare in condanna) è un vulnus del nostro ordinamento garantista; se non sei condannato in via definitiva per reati significativi, la vita politica non ti è impedita (perlomeno: non a vita). Ma il nostro ordinamento, pur garantista, è anche classista, e coi soldi, il potere e le amicizie giuste alla fin fine, ecco: Berlusconi potrebbe addirittura andare a fare il Capo dello Stato.

Viva il garantismo se equo, vorrei dire. Viva il garantismo sempre e comunque, ma a parità di condizioni. Viva il garantismo giudiziario, che deve essere tenuto separato dalla possibilità politica di governare. Non basta la fedina penale pulita; se sei uno stupido non devi potere governare; se sei una persona cattiva, egoista, particolarista, maltrattatore, non devi poter governare; se non hai competenza della machina istituzionale non devi poter governare; se non hai equilibrio, capacità di ascolto, terzietà, non puoi fare il Presidente della repubblica.

Non poche di queste qualità sono “morali” e non ci sono metri e strumenti per misurarle. Per me Berlusconi è indegno ma – per dire – per Matteo Salvini no. Ma per me il giudizio di Matteo Salvini non conta perché anche lui, per me, è indegno. Allora, diciamo che per gli elettori di Matteo Salvini lui è il Capitano, uomo buono e politico eccellente, e qui è il vulnus democratico, perché io non posso andare avanti con la filastrocca e dire che anche gli elettori di Salvini sono indegni. Alcuni lo sono, certo, altri sono stupidi e altri ancora in buona fede, esattamente come gli elettori del PD, di LeU, di Calenda e di tutti gli altri. Siamo arrivati alla zona grigia della democrazia, dove le regole istituzionali (il garantismo è una di queste, visto che è inscritto in Costituzione) si incontra con la mediamente opaca mente degli individui che – grazie a quelle istituzioni – fanno politica attiva e passiva. Per esempio vanno a votare. E uno vota alla sanfrasòn, tanto per mettere una croce sulla scheda come fanno tutti; uno vota come il papà, riposi in pace, che andava tutti gli anni a Pontida al sacro rito del Po, e porta avanti lui la tradizione familiare, al pari di quello che c’aveva il nonno partigiano e quindi vota comunista; uno vota Salvini perché i negri gli fanno schifo, e basta; uno vota purchessia purché non sia Renzi; un altro ha sentito dire dal cugino che ha letto su un blog che con Salvini premier tornerà quota 100 e l’idea lo solletica; e avanti così, in mezzo a decine di casi improbabili, fantastici, casuali, insensati, e in mezzo a tutti costoro, ovvio, c’è anche quello che ha una certa cultura, si informa come può, ci pensa su e vota come vota, ma almeno con un pensiero.

La democrazia plebiscitaria prevede un pensiero informato e razionale, ma non ha strumenti per imporlo. Avrebbe – ma è diverso – strumenti per favorirlo, con buone scuole, buoni servizi sociali, buona protezione sociale, incentivi alla cultura e alla socialità, ma per queste riforme (pensate solo alla serie di riformicchie che hanno ridotto la scuola a quella che è) occorrerebbe una classe politica avveduta, che non abbiamo perché quelle riforme non sono mai state fatte. Se c’è stato un momento (per esempio negli anni ’50 e ’60) in cui la classe politica poteva essere considerata decente, e avrebbe potuto varare misure e norme del tipo che qui ho indicato, probabilmente non era nata l’urgenza e la sensibilità per farlo, perché il mondo era più semplice e tutto pareva scorrere immoto, con un po’ di buon paternalismo democristiano, una sana opposizione togliattiana e qualche rompiscatole accomodante, tipo La Malfa. La complessità sociale ha travolto tutto, e ha minato una classe politica, travolta dagli scandali degli anni ’90, impossibilitata anche semplicemente a concepire la sfida storica che si appalesava, e disponibile ad approfittare – al ribasso – del ricambio politico che ha portato, alla fine della fiera, a ritrovarci coi Salvini e le Meloni dopo 20 anni di Berlusconi (e questa è la destra, sulla “sinistra” taccio perché da anni non pervengono informazioni…).

Quindi sì, speriamo che la voglia di Berlusconi non venga appagata, che l’anagrafe ci aiuti, che un briciolo di pudore serpeggi in almeno alcuni dei Grandi Elettori, che una botta di culo ci aiuti e che alla fine spunti un nome onesto, un nome accettabile, non necessariamente eccezionale.

Ma, attenti: chi sarà eletto, chiunque sia, sarà il frutto della nostra democrazia, come Trump fu il frutto della democrazia americana.