Avrete notato come il tema del superamento del maggioritario sia diventato assai frequente sui giornali, nelle note dei commentatori e nelle dichiarazioni dei politici, ultimo in ordine di tempo, Letta:
“Quella che abbiamo è la peggiore legge che vi possa essere e bisogna lavorare tutti insieme per non avere più un Parlamento così instabile come quello che abbiamo oggi. Siamo aperti a tutte le soluzioni, non vogliamo fare blitz, sappiamo che una legge elettorale nuova deve essere fatta senza forzature, con il consenso possibilmente di tutti i partiti, e il mese di luglio sarà decisivo per capire cosa riusciremo a fare”. Una legge elettorale proporzionale è il sogno. Enrico Letta lo fa capire, con qualche giro di parola; il suo vice, Peppe Provenzano, ce lo conferma, senza giri di parole: “Se si ha come obiettivo la ricostruzione dei partiti, come ce l’abbiamo noi del Pd, non ho dubbi: il proporzionale con soglia alta è il modello migliore”. (fonte)
L’attuale legge elettorale, una delle peggiori delle brutte leggi elettorali che devastano il nostro panorama politico da decenni, è un sistema misto con ben il 61% di seggi attribuiti proporzionalmente; ma il 37% è destinato a collegi uninominali maggioritari (2% rimanente per le circoscrizioni estere). 37% non è poco, e un sistema frastagliato come quello italiano impone alle forze politiche di presentarsi alleate per rastrellare più voti degli avversari. Questa è la ragione della sempre più scomoda alleanza della destra e la ragione dell’immonda alleanza fra PD e 5 Stelle (alleanza che pare ormai al tramonto).
Per uscire dall’abbraccio coi 5 Stelle (per il PD) e da quello con la Lega (per Meloni) l’idea di superare la necessità delle alleanze preventive si chiama ‘proporzionale’; ognuno corre per sé e vinca il migliore; dopo le elezioni, una volta attribuiti i seggi, vediamo chi si alleerà con chi.
Questa logica – che ha visto nei decenni del secolo scorso la Democrazia Cristiana attuare la “politica dei due forni”, vale a dire governare con la destra o con la sinistra a seconda della convenienza – rappresenta oggi il suggello dell’incapacità della politica di fare il proprio dovere (delineare una visione, definire un programma, smussare gli angoli per attrarre le posizioni affini, anche se non identiche) a favore del più scandaloso opportunismo, della più evidente mancanza di visione, dell’aleatorietà dei programmi, ormai ridotti a slogan, e della – già messa in conto – faccia di tolla per future alleanze non chiaramente indicate agli elettori prima del voto.
Vale la pena ricordare ai più giovani lettori come fra la fine degli anni ’80 e i primissimi ’90 ci fu una straordinaria iniziativa politica di Mario Segni (docente universitario, politico cattolico, figlio d’arte) che lanciò un Movimento per la riforma elettorale finalizzato a introdurre in Italia un sistema maggioritario uninominale a doppio turno.
Su questa spinta si promosse un referendum (9 giugno 1991) che ottenne una valanga di “Sì”; gli italiani – 30 anni fa – urlarono il loro favore verso il superamento della palude proporzionale, che aveva prodotto, in quegli anni, uno dei momenti più grigi della politica italiana,
come ha ricordato Giovanni Guzzetta sul Riformista un anno fa.
Quella ventata di speranza precedette l’azione giudiziaria di Mani Pulite: se quest’ultima affossò in modo violento e drammatico il vecchio e corrotto sistema politico (la cosiddetta “Prima Repubblica”), l’iniziativa di Segni provò a farlo in modo istituzionale e partecipato, e funzionò, purtroppo, solo per un battito di ciglia. Come sapete, sia quel referendum sia la vicenda politica di Segni, non ebbero un seguito favorevole. Travolti dal berlusconismo della Seconda Repubblica e da nuove istanze, sia i politici italiani, sia il popolo da loro amministrato, hanno imboccato strade diverse, e le leggi elettorali si sono susseguite, una più orrenda delle altre, sull’onda dei desideri e dei timori di chi aveva i numeri in parlamento per votarle.
Torniamo a noi. Consideriamo pure le peculiarità del sistema politico italiano. Resta il fatto che il proporzionale è il sistema elettorale dei trasformisti, dei populisti, dei comunicatori (che vendono all’elettorato un brand, non un’idea). È la soluzione dei papocchi annunciati, delle alleanze ignobili, del governo tanto per governare. È la formula di chi non ha carisma, non ha leadership, di chi non è stato capace di costruire idee dopo l’ubriacatura delle ideologie, di chi non sa affrontare la complessità con programmi chiari.
L’alternativa c’è, ed è ormai fantascienza: un maggioritario puro di collegio a doppio turno, alla francese. È assolutamente evidente che anche questo sistema (come qualunque) ha dei limiti, non sempre funziona come si vorrebbe, e le ultime elezioni francesi non sono state certamente una buona propaganda per questa soluzione (infatti i critici hanno subito puntato il dito, “eh, vedete? non funziona, non funziona!” – vedi manifesto). Un sistema maggioritario con collegi uninominali a doppio turno, è stato per anni il punto di vista del politologo Giovanni Sartori, che spiegava bene come dietro questo nome generico ci possano stare diverse scelte specifiche (il primo turno potrebbe non essere maggioritario assoluto; si può considerare una quota proporzionale; etc. – Si può leggere QUI un saggio ampio e QUI un testo più giornalistico). Il concetto fondamentale, per Sartori, riguardava il doppio turno (ribadito anche QUI); il doppio turno consente ai partiti di presentarsi liberi, soli, ciascuno “nudo” col proprio programma, e agli elettori di scegliere liberamente, in base a quei programmi (o, per carità, in base a ideologie, a identità, quel che si vuole); il secondo turno, di ballottaggio, consente evidentemente degli apparentamenti, delle alleanze ex post, ma gli elettori sono in grado di comprendere la liceità di tali manovre, sotto il profilo politico, ovviamente.
Questo sistema spezzerebbe la necessità di apparentamenti ex ante; per quale ragione Meloni dovrebbe correre assieme a Salvini quando può cercare di convincere l’elettorato di destra di essere la soluzione migliore, rinviando al secondo turno la necessità di convincere gli altri elettori, non strettamente meloniani, dell’opportunità di consegnarle il premierato? Per quali ragioni Letta dovrebbe correre dietro ai dissennati a 5 Stelle, quando con evidenza sarebbe il suo partito quello egemone del centrosinistra, capace di arrivare al ballottaggio e contendere alla destra la vittoria finale?
L’obiezione maggiore (urlata da sempre a gran voce dalle forze politiche minori) è che l’imbuto del doppio turno escluderebbe i partiti piccoli. Certo, li escluderebbe dalla maggioranza, ma non dal Parlamento, perché sarà facile garantire il cosiddetto “diritto di tribuna”: vale a dire che i partiti che al primo turno supererebbero l’eventuale sbarramento avrebbero comunque una rappresentanza; d’altronde, se non arrivano al ballottaggio, cos’altro dovrebbero pretendere? Sarebbe poi da garantire un premio di maggioranza; come scrisse sempre Sartori all’epoca del famigerato “porcellum” (QUI un intervento video) non un premio a chi ottiene una maggioranza relativa (col 30% di voti Berlusconi si prese il 55% dei seggi) ma a chi ha realmente vinto al ballottaggio, in modo da garantirgli 5 anni di stabilità di governo.
Perché non si fa? Perché tutti i partiti hanno paura. La sinistra (oddio, ‘sinistra’…) ha paura di perdere; i partiti piccoli hanno paura di non poter contare nei veti e nei ricatti; a destra si guardano in cagnesco e la competizione Lega-Fratelli d’Italia si rivelerebbe drammatica… Un bel proporzionale, invece, accontenta tutti; possibilmente con sbarramenti bassi, bassissimi, in modo che proprio tutti abbiano qualche seggio in Parlamento; poi, forza!, dai di compromessi, di contentini, di sottosegretariati, di manovrette che ci facciano arrivare a un altro governicchio, che traccheggerà fin quando qualche sotto-sotto-vice-ministro non tirerà troppo la corda, fin quando una corrente non farà una scissione, fin quando il Presidente del Consiglio non distribuisce sufficienti regalie.
Tutte cose viste per decenni e decenni.
Ma stanno facendovi credere che “per la stabilità” (che sono loro a non sapere garantire) sia meglio il papocchio. Buona fortuna.