Qualche giorno fa, al Festival di Rimini, Enrico Letta ha proposto di rendere obbligatoria la scuola dell’infanzia (qui). Poco dopo, Mara Carfagna ha voluto replicare con una nota molto dura, a tratti sprezzante:
L’idea di Enrico Letta dell’asilo obbligatorio non solo è in perfetto stile sovietico ma anche fuori dalla realtà: lo sa Enrico Letta che l’offerta di nidi e asili in molti Comuni del Sud non arriva al 15 per cento dei bambini residenti? Lo sa che al Sud oltre il 60 per cento delle madri non è occupata né può esserlo per mancanza di asili? …
Il 25 agosto è apparso su la Repubblica un articolo di Chiara Saraceno che stronca Carfagna e promuove la proposta di Letta.
Dell’articolo commenterò qui l’inutile e controproducente polemica con cui si incornicia la tesi centrale, che condivido, della convenienza di offrire a tutti, sin dai 3 anni, un’educazione gratuita e di qualità. I vantaggi sono noti. La capacità di imparare si acquisisce in una fase molto precoce della vita. Da questo punto di vista, la scuola per l’infanzia può anche aiutare a ridurre gli svantaggi legati al contesto d’origine.
Prima di passare agli aspetti polemici dell’articolo, alcune informazioni e dati che saranno utili per interpretare le parole ed interazioni dei nostri tre attori principali, Letta, Carfagna e Saraceno.
- Asili nido e scuola dell’infanzia costituiscono i pilastri del “sistema integrato zero-sei anni” del nostro sistema educativo. Gli asili nido sono gestiti dagli enti locali, direttamente o attraverso la stipula di convenzioni, da altri enti pubblici o dai privati, e sono rivolti alla fascia 3-36 mesi. La scuola dell’infanzia accoglie i bambini/e tra i 3 e i 5 anni di età. Possono iscriversi anche bambini/e dai 2 anni e mezzo, date alcune condizioni. Non è obbligatoria ed ha una durata triennale. Le scuole possono essere statali o paritarie a gestione pubblica o privata. La frequenza di quelle statali è gratuita (a carico delle famiglie resta il costo del pasto e di eventuali servizi a domanda individuale). Il 72% degli alunni è iscritto a scuole pubbliche (ISTAT 2019).
- L’Italia, sin dal Consiglio europeo di Barcellona del 2002, ha sottoscritto due impegni sul fronte zero-sei anni: (1) soddisfare la domanda di asili nido per almeno il 33% dei bambini da 0 a 3 anni (obiettivo integrato anche nella normativa nazionale); (2) garantire ad almeno il 90% dei bambini 3-5 anni l’accesso alle scuole per l’infanzia. Nel 2021 questo target è stato innalzato al 96%, da raggiungere entro il 2030 (Risoluzione 2021/C 66/01). Rispetto al primo obiettivo, solo 6 Regioni italiane hanno superato la soglia del 33%, mentre il dato nazionale è ancora molto basso: 26,9%. L’Italia si colloca invece al di sopra della media europea per le scuole dell’infanzia, con una copertura del 94,6%, oltre quindi il traguardo fissato a Barcellona nel 2002 e poco sotto quello approvato nel 2021.
- Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) mette a disposizione importanti finanziamenti per fascia di età 0-6 anni, la maggior parte destinata gli asili nido. Si tratta del più grande Piano mai realizzato sul tema dell’istruzione dell’infanzia, riferisce il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi (qui), con un investimento complessivo di 4,6 miliardi di euro.
- Infine, secondo un recente report della Commissione europea su 37 paesi europei, in due paesi (Estonia e Croazia) l’età dell’obbligo scolastico inizia a 7 anni, mentre in altri in diciassette (tra cui l’Italia) inizia a 6, in altri tredici a 5, in altri tre a 4 e solo in due a 3 anni, cioè in Francia e in Ungheria.
Analizziamo ora la stroncatura della nota di Carfagna da parte di Saraceno. L’articolo inizia così:
Le ostilità alla proposta del Pd di rendere obbligatoria la frequenza alla scuola dell’infanzia ha suscitato due tipi di reazioni negative diverse. Una, tutta ideologica, che accusa la proposta di ‘sovietismo’, di voler strappare i bambini dalle cure familiari…”.
Segue una serie di affermazioni che forniscono la lettura interpretativa dell’espressione “stile sovietico” contenuta nella prima frase della nota di Carfagna (tra virgolette riporto pezzi dell’articolo):
- avversione nei confronti dello Stato e visione della famiglia proprietaria dei figli (“voler strappare i bambini dalle cure familiari”; “rivendicazione di un diritto proprietario dei genitori sull’educazione”);
- manifestazione di una cultura patriarcale e maschilista (“ovviamente intendendo materne” [si riferisce alle cure familiari]);
- visione della scuola pubblica che indottrina (“si immagina allo scopo di volerli indottrinare precocemente, anche se non è chiaro a che cosa”);
- affinità con Nixon (“Riecheggia l’obiezione dell’allora presidente Nixon…”);
- affinità che il mondo cattolico retrogrado e ipocrita (“Riecheggia anche le obiezioni rivolte a lungo da parti del mondo cattolico … salvo accettare senza problemi che le scuole private confessionali spesso facciano concorrenza a quelle pubbliche proprio perché offrono il tempo pieno”).
Insomma Carfagna avrebbe accusato Letta di sovietismo a partire da questo orribile retroterra culturale. Con queste accuse, l’articolo ha in qualche modo indotto chi legge a stare dalla sua parte, ad inalberarsi contro Carfagna. Come si può infatti non essere contro i 5 punti dell’accusa: il tradizionalismo, Nixon, la speculazione delle scuole private cattoliche, il maschilismo, ecc. Ci si prepara in questo modo ad accogliere l’affondo finale, il giudizio-condanna del pensiero del Ministro: “L’ostilità, infatti, a ben vedere, non riguarda il servizio in sé …. Riguarda il fatto che sia pubblico, ovvero, sperabilmente, pluralistico, aperto alle differenze e inclusivo di tutti, per offrire ai bambini opportunità di crescita non vincolate esclusivamente alle risorse economiche e culturali e alle opzioni valoriali dei genitori, pur nel rispetto di queste ultime.” Carfagna, insomma, per aver rigettato la proposta di Letta, viene dipinta come l’assoluto negativo: è contro il pluralismo, contro le differenze, contro l’inclusione, contro l’uguaglianza delle opportunità.
Importa rilevare qui che la Carfagna non ha usato questi argomenti per criticare il progetto lettiano. Non si è proprio espressa sul pluralismo, le cure materne, ecc. Anzi, stando alla seconda e più importante parte della sua nota, che l’articolo di Saraceno ignora, Carfagna sembrerebbe essere d’accordo con l’inclusione e la lotta alle disuguaglianze. Infatti, sostiene Carfagna, la proposta di Letta è “fuori dalla realtà” perché la realtà è l’enorme deficit di asili nido e la disoccupazione involontaria di tante madri a causa di questo deficit. Da qui, conclude Carfagna, “la sola colossale operazione in favore dei bambini e delle madri” è quella prevista dal PNRR e con la definizione del primo Livello Essenziale di Prestazione: che vi siano 33 posti di asili nido ogni 100 bambini tra i 3 e i 36 mesi. Carfagna qui rivendica il merito di aver promosso la norma, poi inserita all’interno della Legge di Bilancio 2022, grazie alla quale – afferma una nota del Ministero per il Sud e la Coesione Territoriale, “per la prima volta nel nostro Paese trovano finanziamento i LEP. In particolare, per gli asili nido è previsto il graduale raggiungimento entro il 2027 del 33% di posti disponibili rispetto alla popolazione fino a tre anni d’età, iniziando dai Comuni con un livello del servizio inferiore al 28,88% dei posti. In questo modo, si potrà progressivamente colmare il divario tra i Comuni più avvantaggiati e quelli che offrono attualmente meno disponibilità ai cittadini.”
In conclusione, Letta parla di scuola dell’infanzia, Carfagna parla invece di asili nido. L’accusa di sovietismo che rivolge a Letta appare soprattutto senza senso. Ambigua e infelice. Tra l’altro Letta non ha proposto l’obbligatorietà degli asili nido. Quindi Carfagna o parte da un malinteso (la sua nota comincia: “L’idea di Enrico Letta dell’asilo obbligatorio…”) o travisa le parole di Letta. Inoltre, l’investimento sui nidi non esclude che in parallelo si lavori per la scuola per l’infanzia. Carfagna avrebbe fatto meglio a spiegare perché bisogna investire prioritariamente nell’offerta pubblica per la fascia 0-3 anni, invece di tacciare di “fuori dalla realtà” la proposta di Letta. Carfagna, per perorare una causa (i nidi, i nidi al Sud) commette un errore dialettico abbastanza usuale, tipico dei politici: esagera e va oltre, afferma la sua identità per contrasto, ricercando la massima differenza dall’altro, e quindi aggredisce, anche quando non vi sono elementi oggettivi di disaccordo. Infatti, Letta non dice cose incompatibili con le idee di Carfagna (e viceversa), semplicemente si riferisce ad altre cose. A ben vedere le proposte di Letta e le sue possono benissimo andare assieme, ma la foga polemica e un trucco comunicativo grossolano (attacca l’avversario, poi dice quello che ne esalta il valore, spostando il confronto dal piano razionale a quello emotivo) la fa straparlare.
Letta, dal suo canto, avrebbe forse potuto chiarire perché nonostante la situazione attuale – alla scuola dell’infanzia partecipa già il 94,6% della domanda – bisognerebbe far iniziare l’obbligo scolastico a 3 anni, soluzione che in Europa esiste solo in Germania e Ungheria. E perché nell’intervento a Rimini non si è pronunciato sui nidi (il suo discorso, comunque, era sull’obbligo scolastico).
Infine, Saraceno commette più o meno lo stesso errore di Carfagna, ma lei è una studiosa e non è in campagna elettorale. Il suo articolo avrebbe potuto concentrarsi sul merito della proposta di estendere l’obbligo alla fascia 3-5 anni – come fa nella seconda parte del suo articolo (senza più riferimenti a Carfagna) –, indicando cosa comporterebbe questo salto e rispetto ad una realtà che già vede l’Italia tra le nazioni virtuose. Tra l’altro sottolinea giustamente il nesso causale tra un’offerta educativa universale e gratuita di qualità e pari opportunità di sviluppo e crescita e riduzione delle disuguaglianze territoriali, ma questo nesso è valido anche per i nidi, di cui non tratta nell’articolo, e che costituiscono la principale emergenza. Come abbiamo visto, infatti, l’Italia ha superato l’obiettivo fissato nel Consiglio europeo di Barcellona sulla scuola dell’infanzia, mentre è ancora in grave ritardo sull’altro obiettivo, sugli asili nido.
Per concludere, silenzi, forzature, attacchi sembrano essere espedienti comunicativi per attirare, attrarre, persuadere attraverso l’induzione di stati d’animo. I tre interventi sostengono posizioni per nulla irriconciliabili, ma nei due commenti considerati prevale l’intenzione di distinguersi e contrapporre.