Dopo Casaleggio il Movimento avrà ancora un futuro?

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La morte improvvisa di Casaleggio crea inediti interrogativi sul futuro del Movimento 5 Stelle e, conseguentemente, sugli scenari politici complessivi in Italia. Cambierà qualcosa nel M5S? Evolverà, tracollerà… Cosa dobbiamo attenderci?

Su questi temi abbiamo chiesto il parere di alcuni collaboratori di Hic Rhodus.


Ci sono sostanzialmente due tipi di diagnosi della malattia (o del complesso di malattie) che da oltre quaranta anni affligge la società italiana.

La prima, largamente maggioritaria tra i cittadini, ma anche tra gli intellettuali, ne attribuisce la responsabilità prevalente alla qualità dell’offerta politica prodotta dalla cosiddetta “casta”. La classe politica, specie quella dei partiti tradizionali di destra e di sinistra, è ritenuta infatti all’origine di tutti o di gran parte dei mali italiani: dalla corruzione all’inefficienza burocratica, dal gigantesco debito pubblico alla scarsa produttività della nostra economia.

La seconda diagnosi, a lungo minoritaria, rileva invece anzitutto il ruolo delle richieste e delle rivendicazioni che la cosiddetta “società civile” — o meglio, alcune parti rilevanti della stessa — rivolge alla classe politica e all’inefficacia del sistema politico nel selezionarle e nell’attribuire loro una priorità.

Gianroberto Casaleggio aveva fatto sua, arricchendola e trasformandola, la prima diagnosi. Di qui la sua critica a partiti e sindacati, nonché alla “democrazia rappresentativa per delega”. Di qui il suo invito rivoluzionario a adottare nuove forme di “democrazia diretta, resa possibile dalla Rete”, in modo da garantire “una nuova centralità del cittadino nella società”. Come se, da questo punto di vista, il processo democratico consistesse, anzitutto e soprattutto, nel raccogliere in tempo reale pareri e opinioni dei cittadini. Come se i compiti di stabilire priorità tra alternative possibili, di considerare le conseguenze attese e inattese delle decisioni, di trasformare conflitti apparentemente non negoziabili in scelte negoziabili fossero poco rilevanti, quasi trascurabili in un processo decisionale democratico. Compito prioritario della nuova politica, secondo Casaleggio, non consisteva quindi nel riformare le istituzioni politiche previste dalla Costituzione del 1948: un governo debole, un parlamento lento nelle decisioni, spesso influenzato dalle pressioni di coalizioni distributive (sindacati, organizzazioni padronali e confessionali — anzitutto).

Chi propone, come fece Casaleggio e come fa attualmente gran parte del Movimento 5 Stelle, quella diagnosi e questa terapia sembra ritenere che in Italia le richieste e le rivendicazioni della cosiddetta società civile alla classe politica siano sempre e comunque universalistiche e non più spesso particolaristiche, settoriali o corporative. Chiunque studi la storia recente della nostra Repubblica non può invece fare a meno di notare la frequenza e l’insistenza di richieste — spesso espresse mediante azioni collettive — di privilegi, esenzioni e agevolazioni d’ogni tipo: dai regali pensionistici all’evasione fiscale, dalla non punibilità di comportamenti illegali ai condoni edilizi e fiscali, alle assunzioni ope legis nelle scuole d’ogni ordine e grado. Non è inoltre proprio certo che le decisioni individuali di molti cittadini italiani siano sempre e complessivamente razionali. Se gran parte degli italiani è da decenni funzionalmente analfabeta, se il nostro paese si trova agli ultimi posti nelle graduatorie internazionali in materia, la responsabilità non è solo d’istituzioni scolastiche poco efficaci ed efficienti — specie nel Mezzogiorno — ma anzitutto da decisioni considerate ragionevoli dagli individui che le prendono.

Il Movimento 5 Stelle ha buone probabilità di vincere le prossime elezioni politiche nazionali in un ballottaggio con un partito politico tradizionale. La maturità del suo nuovo gruppo dirigente andrà valutata dalla sua capacità di fare i conti con — e di prendere le distanze da — le idee politiche di Gianroberto Casaleggio.

(Alberto Baldissera)


Ieri è morto Casaleggio, fondatore del Movimento 5 Stelle assieme a Grillo ma, notoriamente, sua anima vera e un po’ oscura. Cambierà qualcosa nella sua creatura? Ci si deve attendere un mutamento negli scenari politici? È lecito chiederselo alla luce di alcune considerazioni:

  • da almeno un paio di decenni la politica italiana ha spostato il baricentro dai gruppi dirigenti al leader; il PD è sostanzialmente Renzi, la Lega è Salvini e a lungo la destra moderata è stata Berlusconi, anche se ora non sembra più essere di nessuno. Allo stesso modo il M5S si è identificato nella coppia Grillo-Casaleggio, e se il primo è stato il volto e la pancia delle piazze, Casaleggio è stato il cervello e l’anima; o almeno una loro quota consistente;
  • in particolare il M5S è un partito padronale, senza congressi e senza leader elettivi ma con dei “proprietari” di marchi e diritti; e se un proprietario muore, pur dopo avere lasciata l’eredità al figlio, le cose non sono più esattamente le stesse; non possono essere più le stesse;
  • d’altronde Grillo sta dando da tempo segni di stanchezza; la politica sembra averlo un po’ stancato, o forse deluso, e il suo attuale interesse per il ritorno allo spettacolo ne è una prova evidente. Grillo ha il diritto di fare ciò che vuole, ovviamente, ma la politica è un lavoro a tempo pieno, specie se il consocio muore e non c’è ricambio al vertice;
  • peraltro la classe dirigente attuale (Di Battista, Di Maio e pochi altri), sia pure molto meno rozza di un paio d’anni fa, non mi sembra particolarmente preparata e all’altezza delle enormi sfide che un partito – che voglia essere di governo – deve affrontare; per non parlare delle gravi lacerazioni interne.

Il Movimento 5 Stelle, a mio avviso, gode e avrebbe goduto di un periodo di successo indipendentemente dai palesi limiti intrinseci e dalla evidente inanità per ragioni che ho esposte in un precedente post; ma questo evento inatteso forse potrà mutare la situazione. Il populismo dilagante ha bisogno di una sua rappresentanza, ma questo particolare spazio politico è già ampiamente occupato dalla Lega di Salvini (nella versione lepenista) e dai Fratelli d’Italia (nella versione nazionalista); queste forze sono, in forme e con accenti diversi, anti-sistema e anti-Euro, protezioniste e xenofobe e se aggiungiamo lo scivolamento populista dalla sinistra radicale (nella versione, indubbiamente differente, ideologico-gauchista) la concorrenza diventa forte. Se il M5S ha potuto primeggiare in tale concorrenza è anche perché c’è stata una guida forte e lucida, direi ferrea, di Casaleggio. Non credo che Grillo, anche se lo volesse, avrebbe la stessa sua visione e capacità (nel bene e nel male). Siamo, insomma, di fronte a un evento drammatico e repentino che può diventare causa di cambiamenti interessanti per la politica italiana: a partire dall’enorme occasione che il Movimento ha, proprio adesso, di cambiare ed evolvere compiutamente verso una forma-partito emancipata dai fondatori-padroni.

Perché questa occasione sia colta – come io spero – servono però delle precondizioni che al momento non ci sono o sono ignote. La precondizione fondamentale e imprescindibile è il vero spessore dei migliori fra i parlamentari e attivisti; sono maturi? Sono diventati politici? Sono riconosciuti nella loro leadership? Perché il popolo grillino è, oggi, lo stesso popolo anti-casta, protestatario, impolitico e genericamente indignato di due o tre anni fa e solo una nuova e capace leadership potrebbe traghettarlo entro un progetto realmente politico, cosa che gioverebbe grandemente all’Italia intera. L’altra precondizione essenziale è naturalmente il ruolo di Grillo che, come detto, appare stanco, e di Davide Casaleggio, che raccoglie formalmente lo scettro ma di cui credo tutti ignoriamo la reale capacità.

Se Grillo e i suoi collaboratori sapranno cogliere questa occasione forse il M5S potrà avere un futuro interessante anche per la dialettica politica nazionale. In caso contrario credo sia possibile pensare a un declino rapido, anche se non immediato.

(Bezzicante)

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Le incognite che si aprono a questo punto sono tante. E qui davvero al Movimento 5 Stelle si apre la strada di dimostrare se è cresciuto o meno, se il direttorio, soprattutto è in grado di gestire l’eredità di Casaleggio e condurre una attività nella vuota politica nazionale (e non solo).

Qualcosa secondo me maturerà con il tempo e sarà l’effetto combinato di come andrà il referendum del 17 aprile e ancora di più le amministrative. Importante sarà come gli esiti di questi due appuntamenti verranno gestiti (non più da Casaleggio ormai). Voglio dire che chi è orientato a votare la linea dei 5 stelle lo fa indipendentemente dalla sorte di Casaleggio, ormai. È il dopo, è la gestione dei risultati che conta, cosa che lui ha saputo fare. E Casaleggio lo ha fatto in maniera antitetica rispetto ai leader politici, da antileader. Non appariva, non voleva essere il capo, non si è candidato; gestore e non protagonista.

Vedremo se i prossimi sondaggi che si faranno spostano qualcosa.

(Adele Bianco)


La morte di Casaleggio sottrae al M5S contemporaneamente l’ideatore “visionario” del movimento partecipativo fondato sulla Rete, e quello che potrei definire il CEO del M5S in quanto partito-azienda. Le due cose vivevano in apparente contraddizione nel MoVimento, decentrato e centralista quant’altri mai, e, ritengo, nell’uomo, che per formazione e storia personale era uno stratega e imprenditore.

La sua assenza in quanto stratega si farà sentire, penso, a medio-lungo termine, in quanto non vedo, tra gli esponenti conosciuti del M5S, chi possa sostituirlo nel ruolo; la strategia a breve del movimento è comunque definita, e immagino quindi che i problemi si porranno alle prossime politiche.

La sua scomparsa come CEO, invece, lascia un vuoto di potere che in un’entità così poco strutturata potrebbe condurre a una “guerra di successione” simile a quelle che si verificavano alla morte di un sovrano di forte personalità, tra coloro che sentiranno di poter aspirare a un ruolo di leadership o, almeno, all’indipendenza. Dubito infatti che Grillo voglia riprendere lo “scettro”, e nessuno dei “colonnelli” ha credo il carisma per imbrigliare gli altri.

(Filippo Ottonieri)


La prima cosa che mi sento di dire è che mi dispiace sotto l’aspetto umano (sentimento sincero che non esprimo per ipocrisia e non riservo a tutti) e che anche la progettazione politica di Casaleggio era comunque degna di attenzione seppure mantenuta velata di un certo mistero. Considerate le dimostrazioni sin qui offerte dai cittadini del Movimento non è fuori luogo un certo timore, anche nostro, per l’improvvisa perdita dell’unico riferimento razionale e mai fuori dalle righe nelle rarissime esternazioni. E’ intuitivo pensare che, stante il processo di distacco di Grillo, non sia possibile mantenere il finto organigramma che prevede il pentadirettorio dei pentastellati e dunque si dovrà ricorrere alla designazione del Segret… oops, scusate, del “cittadino delegato”(?) e che questo sarà sicuramente Luigi Di Maio. Sarà però difficile proseguire con la caratteristica fondante della già discutibile organizzazione “via rete” in assenza del timoniere e dunque il M5S dovrà trasformarsi rapidamente in un “normale” partito (anche per motivi finanziari!). La mia previsione, che è anche il mio auspicio, è che non vi sarà più schermo o riparo all’evidenza della mediocrità del livello politico e, nella quasi totalità dei casi, del livello umano, culturale e civile dei rappresentanti del Movimento 5 stelle. E della fumosa vacuità dei millantati programmi.

Allora più di ora si accorgeranno tutti che lo spessore politico di Gianroberto Casaleggio era notevolmente diverso (per eccesso positivo beninteso) da quello quasi inesistente del suo obbediente ma inadeguato gregge.

(Manrico Tropea)